Corriere dello Sport Stadio (Bologna)

L’Irlanda all’Europeo Fuori Dzeko e Pjanic

Decide la doppietta di Walters: 2-0 Primo gol segnato su rigore discusso

- Di Alessandra Giardini BOLOGNA

In principio è una storia come tante. Quella di un ragazzo che dopo il liceo sceglie di andare all’università lontano da casa, per uscire dal guscio, per cominciare una vita nuova, autonoma, indipenden­te. Michele Uva sceglie, come molti, Bologna: da casa sua, nel centro incantato di Matera, sono più di settecento chilometri. «Volevo andare lontano, fare un’esperienza nuova. Ma nello stesso tempo Bologna non era del tutto estranea. C’era già mio fratello Aldo che studiava qui». Un bilocale nel cuore del quartiere universita­rio, in via del Borgo, le lezioni alla facoltà di Farmacia, scelta perché è l’attività di famiglia e c’è bisogno di qualcuno che la porti avanti (alla fine non sarà lui, ma la più piccola di casa, Teresa), gli amici, lo sport. Che in quel momento è soltanto praticato. Lo sport è la pallavolo, la squadra è la formazione B della Zinella, a San Lazzaro: ci sono i ragazzi che aspirano ad arrivare un giorno in prima squadra e i vecchi che hanno smesso di giocare ad alti livelli. «Ero un modesto giocatore, mi resi conto dei miei limiti, capii che non sarei mai arrivato a giocare in Serie A, che portavo soltanto via tempo allo studio». Decide di smettere e il presidente della società, Giorgio Belli, lo invita a una partita, al PalaDozza. «Perché non fai il responsabi­le del settore giovanile?». E’ il 1985, trent’anni fa. IL PASSATO. Comincia così, da un «perché no?» detto per istinto, una carriera che porterà Michele Uva ai massimi livelli dirigenzia­li dello sport. Pallavolo, basket, calcio. Oggi, a cinquantun’anni appena compiuti, età in cui in Italia sei ancora un giovane manager, Uva è il direttore generale della Federcalci­o. E torna nella «sua» Bologna per l’amichevole fra l’Italia e la Romania. «E’ sempre speciale venire qui. Ho ancora tantissimi amici, che hanno condiviso con me anni bellissimi, indimentic­abili. La prima esperienza da solo, il primo impatto con la vita vera. E poi l’incontro con lo sport dirigenzia­le. Non avevo mai pensato che potesse diventare il mio lavoro». Nel settore giovanile della Zinella Uva vede aumentare in fretta le sue responsabi­lità. «Conoscevo l’inglese, quella è stata la chiave. Quando la Zinella prese il canadese John Barrett cominciai ad avere contatti con la prima squadra. E poi fui coinvolto nell’organizzaz­ione delle due finali di Coppa Cev». Intanto dal settore giovanile arrivavano le prime soddisfazi­oni, «lo scudetto Under 17 contro Falconara di Paolini e Papi rimane il successo più bello della mia carriera». IL FUTURO. Uva rimane a Bologna fino al 1990. Lo notano i dirigenti della Sisley, e lo portano a Treviso. Gli anni del volontaria­to sono finiti, in Veneto arriva il primo stipendio e l’idea che lo sport può essere una profession­e. «Fino a quel momento ero ancora convinto che sarei tornato a Matera a fare il farmacista. Trent’anni fa non era ipotizzabi­le una carriera da dirigente sportivo. E’ stato casuale, e graduale. Ma gli anni di Bologna, la palestra del volontaria­to, sono stati essenziali. Si lavorava con passione, con dedizione. Lì ho capito che la profession­alità è più importante del profession­ismo. Bologna mi ha anche avvicinato al basket: la pallavolo qui ha sempre combattuto ad armi impari con la pallacanes­tro, ma l’idea di polisporti­vità è importante. Il basket è stato un altro sport fondamenta­le nella mia vita». Treviso, Parma, Roma, «Bologna è una giusta via di mezzo fra Matera, la città dove sono nato, e Roma, la città in cui vivo». Oggi il Bologna ha una nuova proprietà e un futuro che appare solido. «Ho conosciuto Joey Saputo, e mi è piaciuta molto la sua chiarezza. Per uno che viene dall’altra parte del mondo poteva non essere facile entrare in un mondo come quello del calcio italiano, ma Claudio Fenucci è la persona giusta per dargli tutte le chiavi. C’è un bisogno assoluto di gente che porti qualcosa di nuovo da fuori: non soltanto a livello economico, ma soprattutt­o a livello di mentalità. Abbiamo necessità di un calcio credibile e sostenibil­e, e vogliamo testimonia­rlo anche fuori dall’Italia. Aver portato la Nazionale a Bologna è anche un riconoscim­ento all’investimen­to che Saputo ha fatto nel calcio italiano».

«Questa partita è un grazie per l’impegno di Saputo Per me tornare è sempre speciale»

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La gioia degli irlandesi per il pass agli Europei
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GETTY IMAGES Michele Uva, 51 anni, lucano, si è laureato in Farmacia all’università di Bologna

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