Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
Soleri, il giramondo che guarda Dzeko dall’alto
Un gigante non ancora maggiorenne ma dal carattere d’acciaio: ecco la mossa disperata di Garcia a Borisov
Lì bisognava andarlo a prendere un centravanti più alto di Edin Dzeko, un metro e 94 contro 93, lì nella Primavera, e portarlo in panchina dove tutti i gatti sono scuri e tutti sembrano lunghi allo stesso modo. E poi succede che Edoardo Soleri debba entrare contro il Bate Borisov perché mancano due minuti alla fine di tutto, anche del recupero, e con un gol da rimontare può succedere qualcosa, un’apparizione, un mistero gaudioso.
Non succede perché alcune serate sono impermeabili alla gioia, però Soleri prova a scardinare il piede di un difensore e per un paio di centimetri non arriva a tirare in porta e a quel punto chi può saperlo come s’inverte la rotta del mondo. A diciassette anni, quasi diciotto via, non hai neanche bisogno di segnare un gol del pareggio.Magari ti basta esserci, oppure no, perché i calciatori sono gente particolare e Soleri è più particolare di altri. E’ uno che al padre che cerca di convincerlo a smettere perché tanto gli allenatori pensano ad altro e ad altri risponde: «Non sono un perdente». Ha capito che negli allievi il tecnico Roberto Muzzi non lo sta ignorando, sta solo aspettando il momento giusto, quello in cui il metro e 94 da impiccio diventa arma letale e totale.
Di passo in passo e di categoria in categoria Soleri è arrivato alla Champions League, spreco di energie fisiche in panchina mentre in campo vengono sbalzati via tre uomini fatti che quando hanno stretto la mano all’arbitro hanno dovuto alzare lo sguardo. Non sapevano neppure esattamente come si chiamasse quel ragazzo e sulla sovrimpressione televisiva è apparso soltanto il cognome, Soleri. Facciamo finta sia stato un vezzo sudamericano, dato che Edoardo è nato a Roma ma a tre mesi si è trasferito a Buenos Aires per via del lavoro del padre, allora manager della Telecom. E nel 2001 per il medesimo motivo a San Paolo del Brasile, purché non gli togliate il calcio e da quelle parti non c’è pericolo. Dal barrio Palermo in Argentina alla scuola calcio del Jockey Club brasiliano. E quando nel 2005 torna in Italia va al Fùtbol Club, dove lo allena Roberto Baronio, già centrocampista della Lazio.
Lì c’è un presidente che si chiama Bergamini, c’è Di Livio che gira per i campi e c’è Bruno Conti che ha un filo diretto con entrambi. Nel 2011 Soleri passa alla Roma. Vuole giocare sulla trequarti. Invece Muzzi lo guarda dai piedi alla testa e dalla testa ai piedi e quando, parecchio tempo dopo, ha finito di guardarlo lo mette di punta accanto a Calì.
Il tempo passa, Calì ora è alla Primavera della Lazio, Soleri alla Primavera della Roma dove lo chiamano il Freddo perché il cognome è quello di un personaggio di Romanzo Criminale. Altri lo chiamano Edo. L’Uefa no, ma datele tempo e lo conoscerà.
L’infanzia passata tra Argentina e Brasile, il ritorno e quel soprannome da vero cattivo