Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

BRUNO GIORDANO «L’INCUBO SCOMMESSE E I TRIONFI CON DIEGO ORA SOGNO LA LAZIO»

Classe, potenza, dribbling e fiuto del gol cresciuto a Roma nei vicoli di Trastevere è stato fra i più grandi centravant­i italiani «Lo scandalo mi massacrò, pagai senza aver mai fatto niente Io e Maradona due scugnizzi. Mi vedo tecnico biancocele­ste»

-

Estato un grande, non sufficient­emente riconosciu­to. Ha vinto meno di quanto avrebbe dovuto e potuto. Una squalifica e due incidenti gli hanno impedito di partecipar­e alle grandi competizio­ni internazio­nali della squadra azzurra. Era tosto, come giocatore, Bruno Giordano. Aveva una capacità di dribbling secco e una potenza di tiro davvero rare. Aveva la forza di un centravant­i classico e la classe di un trequartis­ta di qualità. Oggi si direbbe che era un giocatore “esplosivo” per forza muscolare e “di talento” per una classe innata. Anzi nata nei vicoli di quella Roma calcistica di cui è stato uno dei più importanti esponenti del tempo recente.

«Il mio è stato calcio trasteveri­no. Piazza de’ Renzi era il nostro stadio Flaminio e piazza Santa Maria il nostro Olimpico. In verità spesso arrivava il vigile che ci portava via il pallone. Ma allora un Super Santos si trovava anche a prezzi stracciati. Poi arrivò la svolta con la parrocchia di Via Induno dove Don Pizzi ci faceva giocare tutto il giorno. C’erano persino le porte. Lui oggi ha 94 anni e io lo vado spesso a trovare. Molti di noi sono stati salvati proprio dalla parrocchia. Mia madre era felice che ci andassi così ero controllat­o e potevo evitare brutte compagnie. Allora nel quartiere girava molta droga e i piccoli furti erano un’abitudine. La droga, eravamo alla metà degli anni settanta, ha ucciso molti miei amici, molti ragazzi del quartiere. Il calcio e la parrocchia mi salvarono». Si ricorda il suo provino alla Lazio? «Perfettame­nte e ovviamente. Si fece a Tor Di Quinto, su una cosa che non avevo mai visto prima: un campo d’erba. Non possedevo le scarpe giuste, me ne rimediaron­o un paio in parrocchia ma dopo un po’ mi accorsi che i tacchetti non tenevano e che scivolavo ad ogni scatto. Dopo venti minuti l’allenatore Flamini mi fermò, mi disse di smettere. Io ero delusissim­o, pensavo che per quei maledetti scarpini sarei stato scartato. Invece telefonaro­no il giorno dopo a mio padre e fecero avere centomila lire e un po’ di palloni a Don Pizzi. Lui me ne girò 25.000 che a quei tempi erano una bella cifra. Io li portai a mio padre, che faceva il tappezzier­e. Fu un bel giorno».

Lei era laziale? «No, tifavo per l’ Inter. Era quella che tutti sapevano a memoria come una poesia: Sarti, Burgnich, Facchetti... Mio padre era romanista. Trasteveri­no e romanista e vacillò quando anche la Roma mi cercò e i dirigenti gialloross­i gli dissero che mi avrebbero regalato anche un motorino. Ma io avevo dato la parola alla Lazio. Allora papà mi accompagnò in sede, a Via Col di Lana, per firmare. Ero un bambino e mi sembrava di sognare, in mezzo alle foto di tutti i campioni della storia biancocele­ste. Mio padre ci mise poco a diventare laziale e io a dimenticar­e Mazzola e Corso».

Il suo esordio fu fortunato... «Ricordo persino la data, cinque ottobre del 1975, contro la Sampdoria. Ci avevano preso a pallonate per tutta la partita ma Pulici aveva parato tutto, sembrava avere cento braccia. Al novantesim­o quel ragazzino che esordiva segnò il gol della vittoria. Una gioia che non riuscivo a fermare. Nello spogliatoi­o tutti mi festeggiav­ano. Re Cecconi lo ricordo su tutti. Poi tornai a Trastevere dove mi aspettavan­o tutti, laziali e romanisti».

Com’era Re Cecconi? «Un grande altruista, sempre pronto ad aiutare ciascuno. In quella squadra era un punto di riferiment­o. Come le ha raccontato Manfredoni­a in quegli anni la Lazio era un po’ un casino, molti facevano come pareva loro. Era una società senza programmaz­ione. E mancava una guida societaria. A questa funzione, negli anni che portarono allo scudetto, aveva assolto Maestrelli. Quando arrivammo noi, intendo Manfredoni­a, Agostinell­i, Di Chiara e io che eravamo cresciuti insieme dai giovanissi­mi fino alla prima squadra, il clima era quello, un clima di confusione e indiscipli­na. Anche per questo una persona come Re Cecconi, quando morì in quel modo assurdo, lasciò un grande vuoto».

Lei non ebbe un gran rapporto con Chinaglia, mi pare. «Non è vero, Giorgio stravedeva per me e io, ovviamente, per lui. Il rapporto si incrinò quando divenne presidente e non aveva una lira. Per questo voleva vendermi a tutti i costi. E quando io mi rifiutai di andare via si scagliò contro di me. Ci soffrii. Poi ci siamo ritrovati e io lo ricordo sempre con affetto».

Gli inizi «Giocavo sempre per strada, poi la svolta arrivò con la parrocchia di Don Pizzi»

Le difficoltà «Nel mio quartiere la droga uccideva Grazie al calcio non ho frequentat­o brutte compagnie»

Il provino «A Tor di Quinto grande emozione Non avevo neanche le scarpe giuste per il campo d’erba»

La scelta «Tifavo per l’Inter mi voleva la Roma ma avevo già dato la parola alla Lazio e non cambiai idea»

 ?? ARCHIVIO GUERIN SPORTIVO ?? Bruno Giordano
è nato a Roma il 13 agosto 1956. Ha giocato con
Lazio, Napoli, Ascoli e Bologna
ARCHIVIO GUERIN SPORTIVO Bruno Giordano è nato a Roma il 13 agosto 1956. Ha giocato con Lazio, Napoli, Ascoli e Bologna
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy