Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
«Caro Pallotta meritiamo un’altra Roma»
L’appello: «Non fischiate, io sono dalla vostra parte»
Quasi tre anni e mezzo di promesse, successi parziali, delusioni finali, campioni autentici e immaginati, grandi progetti, ottime iniziative. La presidenza di James Pallotta incontra uno dopo l’altro i suoi scambi ferroviari, o si va dalla parte giusta oppure c’è il pericolo di finire su un binario morto. Sferragliando e beccheggiando la squadra ha superato il primo snodo rischioso, guadagnandosi gli ottavi di finale della Champions League alla seconda stagione di tentativi. Possiamo considerare cruciale anche la partita di domenica a Napoli. Una sconfitta e si saluta forse definitivamente il vertice della classifica - lo scudetto resta pur sempre il principale obiettivo del 2016 - e persino un pari potrebbe portare più depressione che sollievo. Dipende molto dai risultati degli altri, come in Europa è dipeso interamente dal risultato del Barcellona il passaggio poco glorioso alla fase a eliminazione diretta.
PRESENTI.
Ma probabilmente la solidità, l’intera ragione d’essere della proprietà americana si misura nello snodo di queste ore, l’incontro di oggi alle 14.30 a Palazzo Valentini con il prefetto Franco Gabrielli, e nei summit e nelle riunioni di questi giorni che hanno come baricentro il nuovo stadio, il progetto almeno del nuovo stadio che continua a galleggiare come un’onda di nebbia nei pensieri dei dirigenti della Roma, nei rapporti con le istituzioni, senza mai solidificarsi abbastanza da essere afferrato da mano umana.
Nessuno tra quelli che solitamente lo circondano dà Pallotta per stanco della Roma e di Roma. Qualche volta, però, sembra sia vero il contrario. Mercoledì sera all’Olimpico c’erano probabilmente meno di 20.000 spettatori reali a guardare la squadra sfarinarsi a poco a poco picchiando contro un muro neppure costruito a regola d’arte. Il Bate Borisov resisteva e contrattaccava. I tifosi presenti, le famiglie, gli appassionati che si erano impilati in file interminabili per entrare - un labirinto a strettoie il percorso verso lo stadio - hanno tifato con calore all’inizio e hanno fischiato con comprensibile ferocia alla fine.
Ne avevano diritto e non si trattava certamente dei dissidenti della Curva Sud, che continuano a restare fuori mentre la squadra s’impegna con i fatti a dar loro ragione. L’ala dura del tifo non era a vedere Roma-Bate, non quella dei giocatori adulti. Era andata ad assistere in parte alla gara della Primavera e in parte a manifestare, con striscioni e fumogeni, contro la società, contro Pallotta, contro Gabrielli.
LA MANO.
Mercoledì sera, da parte sua, Pallotta si era lamentato dell’atteggiamento di parte della stampa, che secondo lui crea un ambiente ostile intorno alla squadra. Ieri a Mediaset il presidente della Roma è tornato a tendere la mano ai tifosi: «Alla maggior parte dei tifosi. Io viaggio sulla loro stessa barca. I nostri sostenitori sono grandi, ci trasmettono calore. Ma è frustrante vedere lo stadio mezzo vuoto quando siamo arrivati due volte di fila secondi, quando siamo passati agli ottavi di Champions League alla fine di una partita che avremmo potuto vincere 3-0. Mi dispiace sentire lo stadio fischiare i giocatori quando abbiamo un’ottima squadra. Abbiamo vissuto alti e bassi, però aspettiamo la fine della stagione per fare i conti». Ci sta provando, di questo gli va dato atto. Se riuscirà a rimettere insieme i cocci deve dirlo il tempo e il tempo non è molto.
Il presidente tenta di sciogliere i tanti nodi della crisi E teme il disamore dei sostenitori