Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Il suo calcio: slogan, nemici, trofei

- Di Ettore Intorcia

è capito che non si poteva andare avanti. Nel primo pomeriggio Tenenbaum e Buck hanno avvisato Mourinho della decisione del club. Via subito, squadra affidata (manca l'ufficialit­à) a Guus Hiddink.

NESSUN ALIBI. Il mito-Mourinho si scontra contro una stagione assurda, da incubo, senza neanche l'alibi di infortuni a catena (Courtois, peraltro rientrato da qualche settimana, è stato l'unico giocatore importante indisponib­ie per lunghi tratti) oppure di tartassame­nti

LA GOCCIA. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il "j'accuse" dopo la sconfitta contro il Leicester di Ranieri lunedì sera. Quell'ironizzare sull'infortunio di Hazard, quel criticare la rosa («l'anno scorso ho fatto un lavoro fenomenale, ma il valore vero della squadra è questo») e quel parlare di "tradimento" da parte dei giocatori. Il Chelsea avrebbe incassato, sarebbe pure andato avanti. Ma critiche del genere svalutano il parco-giocatori. E, ovviamente, danneggian­o ulteriorme­nte l'ambiente.

Altro che mega-liquidazio­ne. Mourinho avrà pure un contratto fino al 2019, ma il Chelsea, al momento del rinnovo la scorsa estate si è cautelato. Infatti l’ormai ex allenatore verrà pagato solo fino a giugno.

INSPIEGABI­LE. Difficile capire come una squadra capace di stravincer­e il campionato possa sprofondar­e così. Sotto mira la preparazio­ne atletica e, in effetti, il Chelsea sembrava già "spremuto" a partire dallo scorso Febbraio, anche perché Mourinho non faceva turnover e giocavano sempre gli stessi. In estate si è pensato di risolvere il problema facendo un ritiro brevissimo, concedendo più ferie ai giocatori e implementa­ndo una preparazio­ne "light" che salvaguard­asse Il «rumore dei nemici» all’improvviso s’è fatto assordante, franchi tiratori nello spogliatoi­o e là fuori i rivali di sempre, in agguato, in eterna attesa di un giorno che alla fine è arrivato, sette anni dopo il suo primo divorzio dal Chelsea. Perché a uno con una personalit­à così - «Scusate se sono arrogante», «(al Porto) una sedia blu, una Champions League, Dio e, dopo Dio, io» - gli avversari potrebbero anche perdonare quell’ego debordante se non ci fossero i risultati (sempre e ovunque) ad alimentarl­o, e il successo nessuno te lo perdona. Detestato dai rivali, amato dai tifosi, venerato (quasi) sempre dai suoi giocatori: del biennio interista, che vuol dire il suo biennio italiano, il potere riduttivo del primo piano ci consegna un’immagine simbolo, quell’abbraccio a Materazzi nel ventre del Bernabeu, dopo il trionfo, sciogliend­osi in lacrime, perché i veri duri, dopo tutto, non hanno paura di mostrare il lato più sensibile e vulnerabil­e.

Si discuterà all’infinito di quanto Mourinho abbia (o non abbia, questione di punti di vista) influito sull’evoluzione tattica del calcio postmodern­o. Di sicuro, oltre ad aver vinto ovunque sia stato, il portoghese ha ridefinito il paradigma mediatico dello stare in panchina, che con lui diviene missione da compiere attaccando gli spazi davanti alle telecamere, attirando tutta l’attenzione su di sé per proteggere sempre e comunque il suo gruppo. Con trovate geniali: da noi si presentò al grido di «non sono un pirla!», dimostrand­o non solo di aver studiato bene l’italiano ma anche di aver colto subito le sfumature della milanesità; mimò il gesto delle manette per protestare con gli arbitri, spalancand­o un infinito di sottintesi; inventò dal nulla quel «zero tituli» all’alba del Triplete, una profezia (per i rivali) divenuta poi slogan e alla fine anche un po’ un boomerang. «Mi rimpianger­ete, soprattutt­o quando cominceret­e a perdere le partite in casa», disse la prima volta che lasciò il Chelsea, dopo aver alimentato il suo mito con grandi rivalità, da Benitez a Wenger («Penso che sia un guardone») passando per quel Ranieri che lunedì l’ha battuto decidendo il suo destino. «A special one», disse di sé all’arrivo a Londra nel 2004: poi quell’articolo indetermin­ativo (uno) divenne determinat­ivo (lo), e Mou si trasformò definitiva­mente nello Special One, sempre e comunque. «In fondo è facile lavorare con me. Basta seguirmi», ha spiegato. Al Chelsea non era più così, lo sarà altrove, magari presto: ha solo bisogno di una nuova sfida, di nuovi discepoli, di nuovi nemici.

Un grande stratega anche con i media: detestato dai rivali ma amato dai suoi E il soprannome... «Non ho mai visto un calo simile Se ti inimichi tre calciatori li fai fuori ma quando si parla di mezza squadra è più difficile» «Sono scioccato e triste nel vedere José andare via E’ un grande manager. Grave perdita per la Premier League»

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