Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Ciclone Zeman: tutte le sue verità

«Nella Roma comandano i giocatori: con me in 12 restavano sul lettino e 2 sul raccordo»

- di Antonio Giordano BARTOLETTI

Il doping c’è ancora nel calcio: invece deve vincere il più bravo Vedo l’Inter per il titolo Totti gigante Signori tradito dalla sua bontà

L’addio alla Roma

La crisi di Garcia «Ha toccato il fondo I giocatori migliori preferisco­no altri campionati»

Per cominciare, e quasi banalmente: le manca un po’ l’Italia, Zeman? «No, anche perché a Lugano è come sentirsi in Italia, anche se c’è più organizzaz­ione, più tranquilli­tà e anche più pulizia. E’ diverso il calcio ed in una prospettiv­a è persino meglio: c’è meno tatticismo e la possibilit­à di misurarsi. Io alleno ciò che ho, non abbiamo grandi mezzi economici però ci industriam­o e stiamo facendo il nostro percorso».

Avvertirà meno pressione, perlomeno da parte della stampa. «Questo senz’altro, ma è un dettaglio. Io resto uomo di campo».

L’Italia è il suo passato o pensa possa esserci ancora qualche possibilit­à? «Mi diverto e penso di continuare finché avvertirò in me questo piacere. Se mi sarà offerta la possibilit­à, ed esisterann­o quelle che riterrò le condizioni giuste per esprimere ciò che so, non mi tirerò indietro».

Partiamo dalla sua ultima esperienza: a Cagliari cosa non andava? «E’ stata colpa esclusivam­ente dei risultati: abbiamo fatto in fretta bene e però ci sono mancati i risultati. Poi c’era un retaggio del passato, uomini convinti di dover giocare nello stesso modo in cui per un decennio si erano salvati. Erano intanto cambiate le situazioni ed anche qualche calciatore non c’era più».

Visto dalla Svizzera, pensa come noi che il calcio italiano stia toccando il suo punto più basso? «Probabilme­nte uno dei momenti più critici. C’è stata un’era in cui avevamo il meglio, venivano i calciatori più forti al mondo e producevan­o lo spettacolo. Oggi i più affermati sono in Germania, in Spagna e in Inghilterr­a, o anche in Francia. Abbiamo assistito a questa emorragia che ha varie ragioni: di natura economica, indiscutib­ilmente, essendoci in altri Paesi entrate maggiori; ma anche nell’impegno e nel lavoro siamo finiti indietro».

Faccia una sua classifica del calcio che maggiormen­te la attrae. «Mi sembra che in Spagna ci sia un livello decisament­e alto di tecnica ed un rigore tattico meno pronunciat­o rispetto a quello italiano. Ma la qualità della Bundesliga è elevatissi­ma, persino superiore a quella della Premier. Chiudiamo noi».

Sta per tornare in panchina uno dei tecnici che ha sempre apprezzato di più: Hiddink.

«Le sue squadre mi hanno sempre divertito, ha tentato di arrivare ai risultati attraverso la manovra, ha avuto una sua idea sempre propositiv­a e poi quello che è riuscito a realizzare con i coreani è stato indubbiame­nte impression­ante».

Sedotto anche, verrebbe da dire soprattutt­o, da Guardiola, per lei il numero uno in assoluto: ed è andato a seguirlo in una sua settimana tipo a Monaco. «Avevo il sospetto che a Barcellona potesse vincere chiunque ed invece mi ha smentito, e splendidam­ente, con il Bayern. E’ stato capace di migliorare una squadra che aveva vinto praticamen­te tutto, l’ha resa persino più bella e l’ha trasformat­a, perché adesso c’è un gioco non è solo diverso da quello di Heynkes ma pure dal Barça di Pep. E’ la dimostrazi­one di chi sa offrire vari modi di attaccare: lui che da giocatore non era dinamico, ma gran palleggiat­ore, adesso esprime anche contenuti diversi, verticaliz­za, rimodella la squadra».

In Italia, dal punto di vista spettacola­re, è il momento del Napoli di Sarri, che gode della sua simpatia. «E’ una sorpresa relativa, però. Sa attrarre, gioca offensivo, ha materiale fortissimo in avanti, perché Callejon, Higuain, Insigne e Mertens soddisfano del tutto quello che sono le mie esigenze. E dunque guardarli dà soddisfazi­one. Ma c’è anche la Fiorentina che ha una sua forte identità, anche se mira più al possesso; e poi l’Inter, che ha un’anima tedesca o forse anglosasso­ne, concede poco ma ottieni i risultati e sa come farlo attraverso il proprio senso pratico».

Con il Napoli di Sarri è tornato di moda anche il suo 4-3-3. «Vent’anni fa si diceva che era un sistema di gioco superato però adesso m’accorgo

«Ne avevo sempre dodici sul lettino e due in auto sul Gra Juve? Lì non è così» Il calcio degli altri «In Spagna tecnica senza rigore tattico Bundesliga meglio della Premier»

che sono in tanti ancora ad apprezzarl­o. C’è chi ci riesce bene, chi meno bene, chi non ci riesce. Intorno a questo modulo, si sono spesi chilometri di inchiostro, a proposito dell’equilibrio, parola della quale mi sfugge ancora il significat­o: chi vince 1-0 è più equilibrat­o di chi vince 5-4? Lo 0-0 annoia, in genere, chiunque, non solo me; meglio persino perdere 5-4, perlomeno contiene emozioni».

Gli stadi italiani sono sempre più vuoti e l’Olimpico, che con la sua Lazio o con la sua Roma era invece spesso pieno, ne è la raffiguraz­ione. Tutta colpa della tv? «Per niente, perché le television­i su scala nazionale hanno preso il lancio proprio a quei tempi. Semmai va ricreato l’ambiente ideale intorno al calcio, attraverso figure dominanti o il gioco: mancano i campioni, potrebbero provvedere le squadre in campo. Se la gente sa di poter avere la possibilit­à di godersi un bel pomeriggio, non se ne sta a casa; altrimenti, è chiaro che preferisce rimanere in poltrona».

Sembra una critica, neppur troppo velata, agli allenatori: focalizzan­do l’attenzione sulla Roma, si può avanzare il sospetto che manchi una certa cultura del lavoro? «Non sono in grado di rispondere, non ne sono a conoscenza. So però che i calciatori si sentono appagati, quasi rifiutano il migliorame­nto al quale si arriva attraverso l’allenament­o. E’ una forma di appiattime­nto mentale. Quanto a Roma e a Lazio, hanno organici di spessore».

Riflession­i su Garcia: secondo lei è più allenatore o più assemblato­re di uomini? «Non posso valutare, ma vedere le ultime partite è stato triste. C’è qualcosa che non va e mi sembra sin troppo ovvio. Ho avuto modo di commentare la sfida con il Barcellona alla tv svizzera e non è stato semplice. Posso capire se si perde, anche male, giocando; ma senza averci provato. E comunque, ci fossi stato io, si sarebbe detto: le solite squadre di Zeman».

Il suo esonero venne catalogato in vari modi.... «Accadde tutto dopo un’intervista nella quale chiedevo, sempliceme­nte, il rispetto delle regole, di un ordine che abbia la priorità all’interno di un sistema organizzat­o: non si può fare a meno di principi chiari e di norme, senza non c’è futuro. Il calcio è cambiato, adesso il ruolo dell’allenatore viene accostato a quello del gestore e tecnici e società sono succubi dei giocatori. Ma i casi sono ampi».

Alla Roma preferiron­o la squadra alle teorie di Zeman. «Io ho l’abitudine a costruire e stavamo cercando di farlo anche in quel caso. A Roma i calciatori fanno quello che vogliono, ne avevo sempre dodici sul lettino e due bloccati sul Raccordo Anulare e non mi andava bene. C’è un senso della profession­alità che va tutelato, sempre, ed io a questo miravo».

A Natale era a due punti dalla Champions. «E dunque la distanza, nei dialoghi, non era rappresent­ata dai risultati: eravamo diversi, io e la società, nell’analizzare le vicende, nell’osservare le situazioni. Io privilegio la profession­alità».

Queste licenze appartengo­no secondo lei anche al Barcellona e al Bayern, tanto per fare due esempi? «Mi pare proprio di no. Semmai è concetto diffuso che l’orientamen­to dell’organizzaz­ione interna è mutata: un club ha interesse a tenere elevato il valore del proprio calciatore e questo induce a subirne certi atteggiame­nti. Prima si parlava di gruppo, adesso domina l’interesse individual­e e poi ci sono squadre nelle quali trovi dieci stranieri ed un solo indigeno: diventa tutto più complicato, perché sono estrazioni diverse, culture lontane, hanno bisogno di ambientame­nto».

Tutto ciò alla Juventus non succede. «Va detto che la Juventus gestisce i propri giocatori in modo diverso e chi non si adegua non fa strada. A me non piace l’uso della forza, però la modalità è quella giusta. Ai calciatori, parlando genericame­nte, manca il senso della responsabi­lità».

Le vengono mossi una serie di appunti... «Ci sono due concetti: vincere a tutti i costi o vincere meritandol­o sul campo, facendo

meglio del tuo avversario. Io preferisco il secondo, tutto qua. Quando invece qualcuno ha voluto necessaria­mente sposare la prima tesi, sono state usate tante cose».

Lei ha scoperchia­to il pentolone del doping, ha spinto il calcio a guardarsi dentro: è finita quell’era? «No, il doping c’è ancora. E vengono fuori, ogni tanto, nuove notizie: lo scandalo in Russia, ad esempio; o anche uno studio di alcuni americani, attraverso la rilettura di vecchi esami, che sottolinea l’esistenza del doping nel sedici per cento di atleti. Il sedici per cento è tanto....».

E’ una battaglia che perderemo? «Va affrontata spargendo lezioni di cultura: vince chi è più bravo, non chi bara».

Il nuovo Zeman dov’è? «Oltre all’allenatore dell’Abano Terme, mio Karel, al quale auguro di arrivare a San Siro, all’Olimpico, c’è Di

Francesco che gioca come piace a me. Ed ha gli uomini giusti per farlo».

I sorteggi di Champions sono stati impietosi o ci sono speranze? «Se si giocasse adesso, nessuna; poi vedremo a febbraio che succede, come ci arrivano. A gennaio, in Germania, c’è una lunga pausa: può far bene ma anche male».

Chi sono i più forti in Italia? «L’Inter: ha giocatori che possa far male ed una sua mentalità mirata al risultato».

Intorno alla Roma circolano vari nomi, tra cui Lippi e Conte: non esistono, in panchina, le bandiere. «Non venite a dirlo a me, che sono passato dalla Lazio alla Roma».

Ci sono allenatori, ex romanisti, come Francesco Rocca, che sono stati dimenticat­i perché...

«Vedere le ultime partite è stato triste Si può perdere, ma senza provarci...»

Il nostro calcio L’Olimpico vuoto «Non è per niente colpa delle tv Va ricreato semmai l’ambiente ideale»

La carriera «Avrei lavorato con Boniperti: lui sapeva di calcio Fui vicino all’Inter»

Il nuovo Napoli «Sarri mi diverte: gioca all’attacco E il mio 4-3-3 ancora si fa apprezzare»

I nuovi talenti «Insigne il migliore Ma ci sono anche Verratti, Berardi e Bernardesc­hi»

«Perché si dice facciano lavorare troppo: alla Roma vige il concetto massimo risultato con il minimo sforzo».

Perché Zeman viene considerat­o più romanista? «Io ho amici da una parte e dall’altra, ho avuto soddisfazi­oni su un fronte e su quell’altro; i tifosi della Lazio firmarono, fecero petizioni per evitare l’esonero; quelli gialloross­i sono caldi, passionali: io ho avuto il piacere di vivere l’Olimpico pieno e so cosa vuol dire».

Il miglior calcio zemaniano...? «L’ha fatto il Licata, anche se so che adesso mi date del paradossal­e: ma giocavamo ad occhi chiusi, eravamo esagerati, gli avversari non passavano la metà campo per lunghi tratti delle partite. Però c’era un progetto dietro di anni ed anni».

Il miglior talento italiano è il suo Insigne? «Lui ma anche Verratti e poi sono venuti su e bene anche Berardi e Bernardesc­hi. Se aiutati, possono fare molta strada».

Zeman è uno da panchina del Centro-Sud: mai cercato da club del Nord? «Forse mi hanno cercato qualche volta e non si è mai saputo. E comunque non conosco le ragioni di questo gradimento del Meridione: sarà la passione; e comunque al Settentrio­ne il calcio vale assai di più sul piano, diciamo così, politico: fonte di soldi, d’immagine».

Tra Moratti, Berlusconi e Agnelli c’è un presidente con il quale le sarebbe piaciuto lavorare? «Mi stuzzicava farlo con Boniperti, che capiva assai di calcio». Ma è stato veramente vicino all’Inter, come s’è scritto in una circostanz­a? «Diciamo che non era una voce e che è accaduto in epoche diverse: sia con Pellegrini che con Moratti».

Ormai la disegnano come l’anti-juventino. «Eppure sono nato juventino e lo ero per tanti motivi. Poi ce l’ho avuto con chi era alla Juventus, non con la Juve, gente che ha fatto male al calcio».

Guai se le toccano Totti. «Lui è fuori dal normale: per vent’anni si è portato la Roma sulle spalle. Oggi sono contento che non ci sia, così non si può dire che è colpa sua. La Roma senza Totti non esiste e lui deve fare quello che sente: se crede di essere in grado d’aiutare, va bene; ma io, al posto suo, alla sua età non me la sentirei».

Lo vede come tecnico del futuro? «Non credo: lui è leader in campo».

Chi le fu al fianco, all’epoca? «Lamela, Marquinos, Florenzi, ma anche Pjanic ha fatto il suo dovere, anche se si lamentava. Peccato, perché lui era dentro un equivoco: fu preso per sostituire Totti. Quella Roma aveva Marquinos e Romagnoli e io lo dissi: finisco con loro titolari».

Preferì Tachtsidis a De Rossi. «Uno è regista e l’altro non l’ha mai fatto, né lo può fare e adesso gioca quinto di difesa».

Tra i suoi preferiti, se ce lo consente, c’è sempre stato Beppe Signori. «Si è trovato in una brutta situazione perché è sempre stato troppo buono con tutti e si è lasciato influenzar­e».

Si disse, in quel fine anni ‘90: per vincere, Sensi ha dovuto prendere Capello. «Forse perché se fossi rimasto, non si sarebbe vinto ma per altri motivi. E se legge Calciopoli capirà».

Quante ne ha sentite: non le piacevano i calciatori forti.... «Infatti: chiesi Batistuta e potevamo scambiarlo con Balbo e un conguaglio di dieci miliardi. Niente da fare. Però poi lo comprarono e lo pagarono sessanta un anno dopo».

Quanti anni Roma dovrà aspettare lo scudetto? «Spero non tanto».

Dopo Totti qual è stato il più forte calciatore allenato? «Fisicament­e, non mentalment­e, Boksic: però dipendeva da come si svegliava. Una forza della natura».

Il più sopravvalu­tato? «Non lo ricordo e comunque se lo ricordassi non ve lo direi».

«Il doping c’è ancora Vinca il più bravo non quello che bara»

Lui e Totti /1 «Sono contento che non ci sia: così non possono dire che è colpa sua»

Lui e Totti /2

«Fossi al suo posto non continuere­i Ma se Francesco se la sente, è ok» Lui e De Rossi «Tatchtsidi­s era regista, Daniele no E ora gioca come quinto di difesa»

Il nuovo Zeman «A mio figlio Karel auguro... San Siro E Di Francesco gioca come me»

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Zeman all’arrivo del Corriere dello Sport
 ?? BARTOLETTI ?? Zdenek Zeman, 68 anni, è l’allenatore del Lugano
BARTOLETTI Zdenek Zeman, 68 anni, è l’allenatore del Lugano
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Zdenek Zeman, 68 anni, allena il Lugano in Svizzera
 ?? BARTOLETTI ?? Un momento del forum: con Zdenek Zeman, il direttore Alessandro Vocalelli, il condiretto­re Stefano Barigelli e i nostri Antonio Barillà, Alberto Dalla Palma e Antonio Giordano
BARTOLETTI Un momento del forum: con Zdenek Zeman, il direttore Alessandro Vocalelli, il condiretto­re Stefano Barigelli e i nostri Antonio Barillà, Alberto Dalla Palma e Antonio Giordano
 ?? BARTOLETTI ?? Zeman nei nostri studi tv
BARTOLETTI Zeman nei nostri studi tv
 ?? BARTOLETTI ?? Zeman, la lupa e i gemelli
BARTOLETTI Zeman, la lupa e i gemelli

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