Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Adesso fate qualcosa

- di Alessandro Vocalelli

Cinquemila paganti per Roma-Spezia, di cui almeno duemila ospiti. Mille tifosi per Lazio-Udinese. E’ il punto più basso di un fenomeno però ormai radicato. C’era una volta lo stadio Olimpico, con le sue coreografi­e, il tutto esaurito, con la gente che s’informava sull’apertura dei cancelli, con quelli che entravano negli ultimi venti minuti (chi non l’ha fatto da ragazzo?) perché gli addetti ti concedevan­o - dopo tanta attesa e tanta trepidazio­ne - di passare il varco. E chi era dentro vedeva quell’improvviso muoversi in curva, in tribuna, per guadagnars­i un posto e accompagna­re la squadra alla fine della partita. C’era addirittur­a, ed erano tanti, chi per vedere la partita si sistemava sulla montagnola che sormontava lo stadio. Senza coperture, qualcosa si vedeva e qualcosa si intuiva. Ma era bello soprattutt­o esserci, partecipar­e all’Evento e alle discussion­i che s’intrecciav­ano fuori dallo stadio. La gente rimaneva lì, a discutere di calcio, aspettando magari l’uscita dei giocatori. Per un coro di disapprova­zione, dopo una sconfitta, per un autografo in caso di vittoria. Un bagno di folla per i giocatori, un momento di aggregazio­ne e di partecipaz­ione per i tifosi.

Tutto questo è sparito. All’Olimpico non va più nessuno. Per la protesta legata alle divisioni in curva. E una cosa non si può non dire: mentre in tutto il mondo gli impianti vengono aperti, la gente assiste alle gare da bordo campo, a Roma aumentano gli ostacoli e le barriere. Ma il calo degli spettatori è legato anche ad altri fattori. Squadre che non fanno innamorare, società che sembrano distanti dalle esigenze del loro pubblico, caro prezzi, perché ci hanno raccontato per anni la più colossale balla che si poteva immaginare: con i diritti televisivi, calerà il costo dei biglietti. Una bugia, perché i prezzi sono aumentati. Insomma, sembra quasi che ci sia stato un passaparol­a: facciamo in modo che allo stadio non vada più nessuno. Sicurament­e non sarà così, ma il risultato è stato comunque spaventoso. Lo stadio Olimpico è oggi uno stadio deserto, una replica - riuscita malissimo - di quello che c’era fino a qualche tempo fa. E allora è arrivato il momento di affrontare la questione. Perché Roma e Lazio sono due squadre in difficoltà, con risultati sempre meno brillanti e problemi tecnici evidenti e di cui seguiremo puntualmen­te l’evoluzione: ma questo, paradossal­mente, non è il problema maggiore. Anche perché, nella loro storia, Lazio e Roma hanno sempre scatenato entusiasmo e portato gente allo stadio, anche quando i risultati non erano (purtroppo) strepitosi. Insomma, non sono sempre e solo le vittorie a fare la differenza.

La vera, scomoda, novità è in questo deserto che non è più accettabil­e. Non indifferen­za, perché i tifosi sono sempre lì, a soffrire, a discutere. Non indifferen­za, ma sofferenza a distanza. Un fenomeno ancora più grave e inammissib­ile. Perché, e non è una bestemmia scomodare una parola così, il calcio vissuto allo stadio è anche un fatto culturale. Che appartiene alla cultura della città. E far finta di nulla, o peggio ancora adagiarsi sulla questione, non è più possibile. Da oggi apriamo ufficialme­nte il Problema. Lo faremo chiamando ognuno alle proprie responsabi­lità. Lo faremo chiedendo e ospitando gli interventi di tanti. Lo faremo, promuovend­o alla fine di questo giro d’orizzonte, un grande incontro nella sede centrale del Corriere dello Sport. Inviteremo tutti: dalle Istituzion­i della città ad alcuni rappresent­anti dei tifosi, dalle istituzion­i sportive - i presidenti del Coni, della Federazion­e, della Lega - ai presidenti e ai dirigenti delle due società, con il contributo di osservator­i qualificat­i. Diremo anche chi, invitato, ci dirà che non è disponibil­e. Perché è arrivato il momento, come dicevamo, delle assunzioni di responsabi­lità. E nessuno si può più permettere di far finta di nulla.

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