Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
Adesso fate qualcosa
Cinquemila paganti per Roma-Spezia, di cui almeno duemila ospiti. Mille tifosi per Lazio-Udinese. E’ il punto più basso di un fenomeno però ormai radicato. C’era una volta lo stadio Olimpico, con le sue coreografie, il tutto esaurito, con la gente che s’informava sull’apertura dei cancelli, con quelli che entravano negli ultimi venti minuti (chi non l’ha fatto da ragazzo?) perché gli addetti ti concedevano - dopo tanta attesa e tanta trepidazione - di passare il varco. E chi era dentro vedeva quell’improvviso muoversi in curva, in tribuna, per guadagnarsi un posto e accompagnare la squadra alla fine della partita. C’era addirittura, ed erano tanti, chi per vedere la partita si sistemava sulla montagnola che sormontava lo stadio. Senza coperture, qualcosa si vedeva e qualcosa si intuiva. Ma era bello soprattutto esserci, partecipare all’Evento e alle discussioni che s’intrecciavano fuori dallo stadio. La gente rimaneva lì, a discutere di calcio, aspettando magari l’uscita dei giocatori. Per un coro di disapprovazione, dopo una sconfitta, per un autografo in caso di vittoria. Un bagno di folla per i giocatori, un momento di aggregazione e di partecipazione per i tifosi.
Tutto questo è sparito. All’Olimpico non va più nessuno. Per la protesta legata alle divisioni in curva. E una cosa non si può non dire: mentre in tutto il mondo gli impianti vengono aperti, la gente assiste alle gare da bordo campo, a Roma aumentano gli ostacoli e le barriere. Ma il calo degli spettatori è legato anche ad altri fattori. Squadre che non fanno innamorare, società che sembrano distanti dalle esigenze del loro pubblico, caro prezzi, perché ci hanno raccontato per anni la più colossale balla che si poteva immaginare: con i diritti televisivi, calerà il costo dei biglietti. Una bugia, perché i prezzi sono aumentati. Insomma, sembra quasi che ci sia stato un passaparola: facciamo in modo che allo stadio non vada più nessuno. Sicuramente non sarà così, ma il risultato è stato comunque spaventoso. Lo stadio Olimpico è oggi uno stadio deserto, una replica - riuscita malissimo - di quello che c’era fino a qualche tempo fa. E allora è arrivato il momento di affrontare la questione. Perché Roma e Lazio sono due squadre in difficoltà, con risultati sempre meno brillanti e problemi tecnici evidenti e di cui seguiremo puntualmente l’evoluzione: ma questo, paradossalmente, non è il problema maggiore. Anche perché, nella loro storia, Lazio e Roma hanno sempre scatenato entusiasmo e portato gente allo stadio, anche quando i risultati non erano (purtroppo) strepitosi. Insomma, non sono sempre e solo le vittorie a fare la differenza.
La vera, scomoda, novità è in questo deserto che non è più accettabile. Non indifferenza, perché i tifosi sono sempre lì, a soffrire, a discutere. Non indifferenza, ma sofferenza a distanza. Un fenomeno ancora più grave e inammissibile. Perché, e non è una bestemmia scomodare una parola così, il calcio vissuto allo stadio è anche un fatto culturale. Che appartiene alla cultura della città. E far finta di nulla, o peggio ancora adagiarsi sulla questione, non è più possibile. Da oggi apriamo ufficialmente il Problema. Lo faremo chiamando ognuno alle proprie responsabilità. Lo faremo chiedendo e ospitando gli interventi di tanti. Lo faremo, promuovendo alla fine di questo giro d’orizzonte, un grande incontro nella sede centrale del Corriere dello Sport. Inviteremo tutti: dalle Istituzioni della città ad alcuni rappresentanti dei tifosi, dalle istituzioni sportive - i presidenti del Coni, della Federazione, della Lega - ai presidenti e ai dirigenti delle due società, con il contributo di osservatori qualificati. Diremo anche chi, invitato, ci dirà che non è disponibile. Perché è arrivato il momento, come dicevamo, delle assunzioni di responsabilità. E nessuno si può più permettere di far finta di nulla.