Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
Tifosi, non fermate il cuore di Roma
Olimpico senza spettatori. Prosegue il dibattito aperto ieri dal nostro direttore Vocalelli La parola a Malagò presidente del Coni
Inutile mettersi a cercare colpevoli Ma i problemi non si risolvono rinunciando a gioire
Triste, desolante e brutto. Tre aggettivi per descrivere una malattia. La diagnosi è spietata: lo Stadio Olimpico vuoto rappresenta un’emorragia inarrestabile di calore umano, di attaccamento ai colori, di affetto verso i propri beniamini, biancocelesti o giallorossi che siano. Diciamolo subito e con forza: così non si può andare avanti, serve una cura forte da affrontare subito e senza indugi.
Le colpe? Possono essere tante, ma è inutile guardarci indietro. I colpevoli? Anche qui ognuno ha la sua lista ma io non partecipo a questo gioco. A tutti i protagonisti che hanno a cuore questo tema chiedo solo un segnale di discontinuità affinché si possa realmente riscontrare un’inversione di tendenza e fare uno sforzo per venire incontro alle ragioni degli altri.
Roma e Lazio rappresentano un patrimonio del calcio e della storia dello sport italiano. Lo Stadio Olimpico è da oltre sessant’anni il loro “rifugio” settimanale. Vuoto, senza bandiere, senza colori, senza cori è come un presepe senza pastori: in una parola, povero. Soprattutto in una città come Roma, dove storicamente le due tifoserie – quella laziale e quella romanista – si sono sempre contraddistinte per coreografie e sfottò (quelli sani, simpatici, goliardici), che spesso hanno fatto divertire anche più di un gol e che sono ogni tanto il sale della mia stessa quotidianità.
In questa stagione, invece, per diverse ragioni, Lazio e Roma si stanno trovando a giocare quasi sempre in uno stadio semi-vuoto. In un anno, i due club hanno perso oltre diecimila spettatori a partita. E, a volte, sembra addirittura che giochino in trasferta: gli ultimi due esempi questa settimana in Coppa Italia (la Roma contro lo Spezia e la Lazio con l’Udinese) sono un’amara testimonianza.
Invece ai miei concittadini romani, laziali o romanisti che siano, chiedo di ritrovare la forza di tornare all’Olimpico, di riavvicinarsi alle loro squadre, soprattutto se attraversano momenti non facili e non felici sul piano dei risultati. L’amore per la squadra del cuore non è un sentimento alienabile. Ci possono essere mille problemi, mille difficoltà, nuove regole, nuove norme, ma chi ama la Roma e la Lazio non può far mancare ai giocatori quel sostegno incessante che per anni è stato decisivo per raggiungere traguardi e obiettivi di assoluto prestigio.
Poi, se le cose non vanno bene in campo, si è legittimati a manifestare civilmente il proprio disappunto, ma solo dopo aver tifato dal primo all’ultimo minuto sugli spalti come altrettanto devono fare i calciatori sudando e lottando in campo. Sbaglia invece chi pensa che restare a casa sia il sistema per far emergere con più vigore una protesta che può essere interpretata come il tradimento di un amore che Lazio e Roma non si possono permettere.
Sembra sia trascorsa un’eternità, eppure appena tre mesi fa i giallorossi, in un Olimpico strapieno, riagguantarono il Barcellona con uno straordinario gol di Florenzi, spinti dal popolo giallorosso. E lo stesso discorso vale per la straordinaria cavalcata nell’ultimo campionato della squadra di Pioli che, grazie anche all’incitamento dei suoi tifosi, ha raggiunto la qualificazione in Champions League su cui, ad inizio stagione, in pochi avrebbero scommesso.
Cari romani, nel calcio, come nello sport, si vince e si perde insieme. Per quanto possiate essere delusi o arrabbiati, mi risulta difficile credere che questo perdurante disamore sia un male incurabile. Io non ho la presunzione di avere la medicina giusta ma non penso che i problemi si risolvano abbandonando la propria squadra del cuore. E non credo, inoltre, che qualcuno scenda in campo per giocare contro (società o tifosi). Sono, invece, convinto che, anche quando tentate di prendere le distanze, Lazio e Roma siano comunque nei vostri pensieri, nei vostri cuori. E allora perché soffrire e gioire da soli, a casa, in quei 90 minuti? Lo sport è partecipazione, saper condividere le vittorie e accettare le sconfitte.
Roma, la nostra città, insieme al Paese sta giocando anche un’altra partita molto impegnativa a livello internazionale per l’assegnazione delle Olimpiadi del 2024. E il nostro stadio Olimpico, tra nove anni, potrebbe riempirsi di atleti e spettatori di oltre duecento nazioni differenti. Mostrate al mondo
Mostriamo al mondo l’entusiasmo di questa città Sarà il lasciapassare per l’Olimpiade
quanto può essere coinvolgente l’atmosfera che vi si respira. Perché, come accade in teatro, gli attori rendono al meglio quando avvertono il battito pulsante del proprio pubblico. E il cuore di Roma non può fermarsi proprio ora.