Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Vertebra fratturata per l’austriaco nella libera in Gardena La Dainese collabora con Austria e Canada

- Di Fulvio Solms INVIATO IN VAL GARDENA

Uno sciatore in balia delle leggi della fisica, diecimila persone che trattengon­o il fiato giù nel parterre, un tipo che si frega le mani. Quest’ultima immagine è metaforica. È in corso il primo incidente di gara che comporta l’apertura dell’airbag per sciatori: era successo già due volte, ma sempre in allenament­o. Il tecnico della Dainese che segue il progetto, Marco Pastore, sa che una botta del genere è preziosa, perché i dati che verranno ricavati dalla scatola nera - chiamiamol­a così ma si tratta di un microchip - varranno più di cento test in laboratori­o.

Nella discesa che sarà infine vinta da Aksel Lund Svindal - quest’anno cannibale della velocità - l’austriaco Matthias Mayer ha perso il controllo di uno sci subito prima del Ciaslat e in questo istante congelato nel tempo vola, pericolosa­mente ruotato su se stesso. Atterra sulla schiena e l’airbag, lo diciamo subito, si apre correttame­nte, trasforman­dolo in un omino Michelin. Però botta tremenda, fiato che manca a lungo, soccorsi, elicottero fino all’ospedale di Bolzano, frattura della settima vertebra dorsale e trauma toracico. Senza l’ordigno salvavita sarebbe andata peggio.

OGNUNO A MODO SUO. Il problema è che questo airbag è un problema. Nel senso che c’è sì consenso unanime sull’utilità del dispositiv­o, ma non esiste (ancora) un’obbligator­ietà nel regolament­o e ogni atleta vede la questione a modo suo: c’è chi non si fida, chi preferisce non indossarlo, chi aspetta di vedere cosa fanno gli altri e chi - questo è il peggio vorrebbe averlo ma non può.

In tutta questa storia l’Italia non esce benissimo perché fummo noi ad aprire la strada - ricordiamo cinque anni fa a Kitzbühel un’interessan­te dimostrazi­one con un prototipo della Dainese che furono in due a farsi esplodere addosso: Kristian Ghedina e Werner Heel - ma poi siamo stati superati da destra e da sinistra. Ieri in gara, tra i 55 partenti ce l’avevano in sei: gli austriaci Mayer, Reichelt, Striedinge­r e Scheiber, i canadesi Osborne Paradis e Guay. Frutto di un preciso accordo della casa italiana con Austria e Canada.

LE ATTESE. Perché gli altri no? Perché gli azzurri no? Eppure un contratto tra la Dainese e la Fisi (Federazion­e Italiana). Fill (ieri appena giù dal podio, ma resta il nostro uomo più in forma) è come San Tommaso: «Io prima o poi lo metterò, ma se non vedo non credo. Aspetto che lo testino ben bene, non voglio arrivare alla Gobbe del Cammello, saltare a braccia larghe e “pum”, sentirmi gonfiare addosso quel coso».

Christof Innerhofer (ieri disastrosa­mente 40º, confida nell’arrivo di piste più tecniche) invece si è convinto: «Io l’ho usato in prova e non dà alcun fastidio, però in gara non posso, non ho ancora la tuta modificata per contenere l’airbag. Spero preparino presto la mia tuta anche perché quando vedi incidenti come questo di Mayer... ma dubito che ce la faranno prima di fine gennaio». ORA BASTA. E Heel (ieri 28º) che fu il primo a credere nell’esperiment­o? «Basta, mi sono rotto le scatole. Ho lavorato per migliorare l’airbag da cinque anni fa fino alla stagione scorsa, poi nonostante le mie insistenze la Dainese e la Kappa (che produce le tute degli azzurri, ndr) non parlavano tra loro. Non so di chi sia la colpa ma così non si combina nulla, è come muoversi nelle sabbie

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