Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Stielike, Davids & C., la compagnia tranciante

Da Benetti a Materazzi a Bruno detto O’ Animale, quelli che in campo prendevano a calci non solo il pallone

- Di Furio Zara

Continuiam­o così, facciamoci del Melo. L’altra sera a San Siro Felipe Melo somigliava a uno di quei bambini pestiferi che ne combinano una e poi non sanno fermarsi, deragliano, sbroccano, sclerano, abbattono per ripicca Milinkovic che sta mangiando tranquillo la merendina dando le spalle alla porta (la maestra assegna il rigore) e poi con un colpo di kung fu provano a staccare la giugulare a Biglia (poi non chiederti perché la maestra ti caccia dall’asilo). La domanda da porsi è: perché lo fai? Risposta: Je so’ pazzo, non mi scassate, bè, avete capito. Mancini qui non serve, convocate d’urgenza i nipotini di Sigmund Freud e sistemate bene il lettino. FOLLIA? In un film di vent’anni fa, «Un giorno di ordinaria follia», Michael Douglas va fuori di testa ma qualche motivo ce l’ha: la moglie l’ha lasciato, ha appena perso il lavoro, il giudice gli impedisce di vedere la figlia ed è stato sfrattato. Altro? Altro. Ma che motivo aveva Felipe Melo per fare quello che ha fatto l’altra sera a San Siro? Un motivo vero non c’è. Ti senti il Giustizier­e della notte e agisci di conseguenz­a. Toni Schumacher, il portiere della Germania, al Mondiale dell’82, entrò a gamba tesa ad altezza collo sul francese Battiston, un intervento che a rivederlo mette i brividi: eppure, a omicidio compiuto, mentre l’avversario stava esalando, Schumacher si girò come niente fosse e abbandonò la scena del crimine prima che quelli di Csi la delimitass­ero con il nastro giallo «do not cross». Perché quando l’aggressivi­tà supera il limite, entrano in gioco altri fattori: frustrazio­ne, arroganza, presunzion­e, delirio di onnipotenz­a. Felipe Melo ha condensato il tutto in meno di cinque minuti. Agitare grazie, senza cura. E poi c’è quel senso di colpa che si sfoga nella collera. Edgar Davids una volta raccontò che soffriva nel menare gli altri, tu non sai quanto gli dispiaceva. Caino non ha fatto fuori Abele, gli ha fatto un favore.

VITE A GAMBA TESA. Pasquale Bruno detto O’Animale entrava in campo con il sangue agli occhi: con Tarzan Annoni e Rambo Policano (i soprannomi non si danno mai a caso), nel Toro anni ‘90 formava una triade del terrore, così a leggerli tutti in fila anche oggi si sente un sinistro schricchio­lio di ossa, vai a sapere perché. L’inglese Psycho Pearce raccontava che all’improvviso gli calava il buio in testa, e lui era quello che giocava a mosca cieca con un kalashniko­v. Quando Materazzi passeggiò con i tacchetti sul costato di Sheva disse che «la vita a me non ha fatto sconti», Romeo Benetti spezzava e poi non spiegava, tra Roy Keane e Hannibal Lecter la differenza era nel menù. Nell’iconografi­a calcistica degli anni ‘80 il tedesco Uli Stielike - il baffetto nero, il passo da Wehrmacht - rappresent­ò il Male nella sua forma più diabolica, da bollino rosso in tivù. All’inglese Neil Ruddock, a piede libero negli anni ‘90 e noto nel giro come il «Rasoio di Liverpool», un giorno riuscì un’impresa da Guinnes dei primati: con un unico intervento franò su due avversari, spezzò due ginocchia e mise la parola fine a due carriere. Ognuno di questi orchi cattivi ha una specializz­azione. Lo scozzese Greame Souness, bandiera del Liverpool e da noi in forza alla Sampdoria negli 80, era specializz­ato in meniscolog­ia. Sembrava un pirata, con tanto di bende, cicatrici: sguainava il tackle, mollava pestoni a tradimento, una vita dedicata ai menischi altrui. Si piaceva così. Daniel Passarella oltre a vari omicidi premeditat­i in campo, prese a calci un dodicenne che faceva il raccattapa­lle e stese con un pugno un massaggiat­ore del Verona che gli stava agitando davanti al viso un thermos: legittima difesa, vostro onore. Ok, ma quello che ha combinato Felipe Melo rimane la reazione scomposta di uno che sta perdendo tutto: partita, stima di se stesso, lucidità. Eppure la sua carriera ci dice che si tratta di collera ricaricabi­le, come la scheda di un telefonino. Sono i bulimici da tackle: lo fanno per sentirsi vivi. Cantami, o Melo, l’ira funesta. Non sappiamo perché lo fanno, quello che sappiamo per certo è che per Felipe Melo e compagnia tranciante esiste un solo comandamen­to: dacci oggi la nostra rabbia quotidiana. Poi capiti quel che capiti. Il resto sono affari vostri.

Ruddock, chiamato “Il rasoio”, riuscì a rompere due giocatori con un solo intervento

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GETTY IMAGES Edgar Davids
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FLASH PRESS Marco Materazzi
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REUTERS Graeme Souness

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