Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
COLANTUONO «IO, CONTE E LA ROMA»
«Con il Ct c’è una bella amicizia, il suo modo di intendere il calcio mi piace. Resto tifoso giallorosso, da ragazzo andavo nella Sud»
Per essere un sergente di ferro, Stefano Colantuono indossa con eleganza il basco, è alto, asciutto, ha mani robuste, nodose, ma modi affabili, diretti, a tratti dolci. Da buon romano parla di tutto in modo spontaneo, senza perifrasi. E’ un po’ la sua fortuna: ai giocatori piace la gente sincera, che ti dice le cose in faccia; ai presidenti, quelli che stanno molto sul campo e lavorano. Però arriva un momento in cui ti accorgi che, passati i cinquant’anni, seppure portati benissimo, la carriera ha fatto di te un cliché, un’etichetta: alleni squadre medio buone, mai una big, mai a Milano o a Roma, mai per giocarsi uno scudetto, e questo anche nell’anno in cui uno più anziano di te e con meno esperienza di te, come Sarri, va al Napoli e fa cose straordinarie. «Ti dicono che non sei da big perché non l’hai mai allenata - si confessa Colantuono - ma se non cominci mai?». Forse adesso non è più un rovello,ecomunqueèapprodato a Udine che, come racconta in esclusiva al Forum del Corriere dello Sport-Stadio, ha un’organizzazione da top club, con quindici fisioterapisti presenti ogni giorno, telecamere su ogni campo d’allenamento, uno scouting preciso alla fine di ogni partita. Da qui per Colantuono, 52 anni, ex buon giocatore di serie A, nato a Roma, cresciuto ad Anzio, romanista grazie al padre, che da ragazzo seguiva la Roma in Curva Sud e poi l’ha studiata da allenatore, comincia un viaggio, che lo ha portato in tutta Italia, ma mai seriamente a Roma.
Succederà un giorno di vedere Colantuono a casa sua? «Ma non lo so, è una domanda che non mi sono mai posto, o forse non più».
Perché, a un certo punto, un tecnico viene associato solo a squadre di una certa fascia? «Credo che nel calcio si vada dietro spesso ai cliché, ai luoghi comuni, alla scia di profumo che qualche allenatore si porta dietro, e non parlo dei miei colleghi italiani, dico in generale. Poi arriva un presidente come De Laurentiis che ascolta solo se stesso e punta su Sarri e i fatti gli danno ragione. E’ il segno che se sai lavorare sul campo, puoi allenare anche una big. Un po’ come successe a Spalletti, quando da Udine andò alla Roma».
Quella Roma era una bella squadra. «Andai a vedere gli allenamenti di Spalletti a Trigoria. Grande intensità, studio del dettaglio. Mi piaceva moltissimo il suo 4-2-3-1 con Perrotta dietro Totti. Grandioso».
A Udine adesso c’è lei. «E sono in quella che considero una società medio alta, che negli anni ha lottato sempre per l’Europa, con un’organizzazione incredibile, a livello di Juve e Milan, non vedo altri club allo stesso livello».
Che cosa le ha chiesto, il presidente Pozzo, quando l’ha cercata? «Di continuare il lavoro sul solco della tradizione, valorizzando i giovani, ma anche cercando di offrire un gioco diverso, più offensivo, per il fatto che con lo stadio nuovo il presidente vuole far divertire il pubblico».
Anche se poi ha vinto più partite fuori casa. «Forse proprio perché in casa vogliamo dare qualcosa di diverso. Ma abbiamo fatto anche grandi partite. Contro l’Inter, per esempio».
Finita male, però. «Malissimo, ma l’Udinese ha messo sotto i nerazzurri: se il primo tempo finiva 2-0 per noi, non ci sarebbe stato niente da dire. Il guaio è che avevamo pagato due errori in difesa. E anche a Firenze avevamo giocato bene, potevamo segnare, poi è andata come sapete...».
Lei ha affrontato le prime cinque in classifica, qual è la squadra che l’ha impressionata di più? «Il Napoli, non ho dubbi. Sarri ha dimostrato grande intelligenza nel rivedere il modulo iniziale, quello con il trequartista, per trovare maggiore equilibrio. Quando li abbiamo affrontati, ho trovato una squadra compatta, forte, veloce, e poi hanno Higuain che è devastante. Giocano sempre gli stessi, ma sono forti. Secondo me si contenderanno lo scudetto con la Juve».
Che lei fermò al debutto. «Ma fummo fortunati, era un’altra Juve».
I bianconeri sono tornati in corsa velocemente. «Anche lì, come per Sarri, mi sembra di aver visto la grande saggezza di un allenatore. Allegri alla fine ha puntato sul modulo vincente del passato, il 3-5-2, e ha infilato una striscia vincente. La mentalità della Juve, poi, non ce l’ha nessuna».
La Fiorentina di Sousa? «Bella squadra, sul solco del gioco dell’anno scorso».
Ma con un organico inferiore. «Beh, non so di chi sia il merito, ma hanno preso un giocatore straordinario».
Kalinic. «Lui. Attacca, fa reparto da solo, dà profondità. Con Higuain è il giocatore che mi ha impressionato di più. E comunque quando hai giocatori come Borja Valero, Badelj e Bernardeschi, che fa cose straordinarie, beh, puoi fare cose importanti». Credo che lui e Totti sono giocatori che sanno quello che possono dare. Conta molto il modo con cui ti relazioni, non puoi trattarli come qualsiasi altro elemento della squadra, ma loro sono i primi ad aiutarti».
Di Natale continuerà a giocare? «Penso di sì. A Torino ha fatto una grandissima partita, con il Bologna ce l’ha fatta vincere, con il Chievo è stato decisivo. Credo che la sua voglia di smettere sia coincisa con un momento di down che durante la stagione e in coda a una lunga carriera può succedere».
Un fuoriclasse in mezzo a tanti giovani. Come si vive questo rapporto? «E’ chiaro che con lui ho un rapporto diverso rispetto a Perica, ma le regole valgono per tutti, altrimenti è la fine».
Lei è considerato un sergente di ferro. Mai messe le mani addosso a qualcuno? «No, mai. Quello del sergente è un luogo comune. Sono soltanto uno che ama lavorare molto sul campo, con intensità. E amo gli allenatori che lavorano così».
Diceva di Spalletti. «Sì, ma mi piace il modo di intendere il calcio di Antonio Conte, un grande allenatore, oltre che un amico».
Come è nata l’amicizia? «Lui aveva appena finito l’esperienza con l’Atalanta, io ero al Torino. Ci frequentammo e da lì è nato tutto. Conte è un martello, fa lavorare molto con il pallone e senza, e cura i dettagli, senza fare distinzioni tra i giocatori».
Tra i suoi giocatori ci sono ragazzi interessanti. Nomi? «Intanto direi i due portieri: Karnezis è una garanzia, Meret
è uno dal grande futuro».
Meret è friulano. «Il tipico friulano: umile, serio, silenzioso. Credo di non aver mai sentito la sua voce nello spogliatoio. Lui, Scuffet e Donnarumma sono il futuro del nostro calcio».
A proposito di Scuffet, che cosa è successo? Stava per entrare nel giro della Nazionale, poi è sparito. «Ma l’Udinese crede molto in lui. Ora fa un po’ di esperienza in B, ma tornerà».
Heurteaux è uno dei suoi giocatori più seguiti: è pronto per una big? «Direi di sì, in una rosa di una grande ci può stare. Può fare il terzino e il centrale in una difesa a tre, ha forza, equilibrio e personalità».
Wague? «Ha una forza mostruosa, impressionante, sta migliorando ma deve ancora crescere. Ha il futuro dalla sua».
Widmer è un altro dei talenti interessanti: potrebbe partire a gennaio? «Non credo, ma non si può mai dire. Se arriva una big e ti offre i soldi, ci pensi. L’Udinese vive di cessioni e di investimenti, programma tutto, e quello che guadagna lo reinveste in strutture. Per questo è al top».
I Pozzo sono proprietari del Watford che ha appena trattato Iturbe. Eppure è l’Udinese d’Inghilterra.. «Lì la situazione economica dei club è diversa: intanto, se non sbaglio, il Watford incassa il doppio dei diritti tv rispetto all’Udinese, poi hanno uno stadio sempre pieno, con i biglietti esauriti per i prossimi cinque anni».
Alla ripresa l’Udinese affronterà Atalanta e Carpi. «Partite da giocare con attenzione, che potrebbero migliorare la nostra classifica».
Lei ha fatto bene a Udine come a Bergamo, città molto diverse da Roma. Pensa che la sua diversità l’abbia aiutata? «Si sa come al nord vengono dipinti i romani, ma io ho pensato sempre a lavorare sul campo, senza risparmiarmi. Forse il nostro modo di essere spontanei, diretti, ci aiuta, se lavori seriamente».
Di Natale «Con lui il rapporto è diverso, però le regole valgono come per i giovani Penso continui»
Lotito «Io, romanista, sfiorai la Lazio Mi chiamò Lotito, poi prese Rossi: scelta vincente»
Scudetto «Nessuna squadra mi ha colpito come il Napoli: contende il titolo alla Juve tornata in alto»
Udinese «Mai guidata una big, forse è colpa dei cliché... Ma qui l’organizzazione è incredibile»
Mai pensato di andare all’estero? «A dire la verità no, anche se in Inghilterra, per esempio, vivi il calcio più serenamente. Finita la partita, si occupano di te una settimana dopo. In Italia, invece, i processi cominciano a fine gara».
Mai rischiato l’esonero, quest’anno, dopo le quattro sconfitte consecutive? «No, assolutamente, lo posso garantire. Con il presidente Pozzo c’è un rapporto sincero: mi diceva “mister, vediamo quali nomi faranno domani in tv come suo successore”. E ci ridevamo sopra».
Dunque all’estero vivrebbe più sereno. «Ma io amo il calcio che si fa qui in Italia. E’ tatticamente migliore. In Inghilterra, in media, c’è meno tattica, puntano tutto sui duelli individuali, anche gli stessi giocatori, da quello che sento, non amano stare molto sulla tattica. Meglio il calcio italiano, forse non il più bello, ma di sicuro il più difficile».
Adesso partirà per le Seychelles anche lei? «No, i miei gusti sono rigorosamente italiani anche lì».