Corriere dello Sport Stadio (Firenze)
«Mia moglie insegna ballo e mi cura... le piroette A gennaio ho la qualifica decisiva»
«In senso letterale è “l’arte di colpire con pugni e calci”, ma fino a Londra era basato soprattutto sui calci, sulle azioni aeree spettacolari. Poi, con il maestro Yoon Soon Cheul, il tecnico della Nazionale, abbiamo cercato un’alternativa».
«A 12 anni ripetevo in classe: “Vincerò le Olimpiadi” E firmavo autografi»
E sarebbe? «Con l’adozione del corpetto e del caschetto elettronico ci siamo accorti che anche i pugni potevano diventare un’arma tattica importante e abbiamo cominciato ad allenarli. Ai Giochi è stato proprio così, sono stato uno dei precursori del taekwondo nuova maniera: che poi è quella antica, ma i rivali ne sono rimasti sorpresi e per me è diventata una tecnica fondamentale».
All’epoca di Londra uscì un fumetto, quello del “Lupo” … «Sì, il Lupo ero io, così mi conoscono soprattutto nei Paesi latino-americani, dove questo sport è popolarissimo: e il Lupo vinceva contro il Gigante del Mali, che poi era Modibo Keita, il mio avversario nella semifinale di Londra».
E’ stato quello il momento decisivo? «Keita era il favorito di tutti, un colosso di 2.06 per 116 kg: pur essendo entrambi supermassimi, tra me e lui c’erano tre categorie di differenza, ma l’ho battuto all’ultimo secondo».
Una specie di finale anticipata. «Ok, ma non è che poi la finale per l’oro sia stata una passeggiata: con l’atleta del Gabon, Anthony Obame, ero sotto 0-6 quando mancava