Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

Sprinter, corse a Helsinki 1952

- Di Leandro De Sanctis

Il professore si è spento alla vigilia di Natale. Carlo Vittori aveva 84 anni ed è passato alla storia dello sport italiano indissolub­ilmente legato al suo più celebre allievo, Pietro Mennea, con il quale seppe formare un binomio assolutame­nte unico. Hanno avuto bisogno l’uno dell’altro per portare l’atletica italiana a livelli stratosfer­ici. Carlo Vittori, che era stato velocista all’inizio degli anni ‘50, da tecnico fu un innovatore, fautore di un approccio particolar­mente impegnativ­o e totalizzan­te, che prevedeva carichi di lavoro pesanti e uno spietato rigore nell’applicazio­ne. Trovò in Mennea l’interprete ideale delle sue teorie e una volta scoccata la scintilla della comunione di intenti, la loro unione, pur con qualche scossone inevitabil­e, arrivò a produrre i massimi risultati. «Pietro era il peggior nemico di se stesso, perché non si amava molto, io ho imparato da lui a fare l’allenatore» diceva Vittori.

Ma quel che la coppia Mennea-Vittori è arrivata a fare nell’atletica è storia nota probabilme­nte perfino a chi non sa molto di atletica o a chi magari si è imbattuto nella recente fiction televisiva (ma quante lamentele per aver rappresent­ato in maniera troppo edulcorata il personaggi­o di Vittori). Meno ricordato il suo ruolo di allenatore a 360 gradi, che all’inizio della carriera lo vide occuparsi dei saltatori in alto e ad un certo punto perfino di un certo Roberto Baggio, allora giovane e fragile talento che la Fiorentina aveva acquistato dal Vicenza, temendo poi di perderlo per complicati interventi chirurgici. Baggio aveva una gamba più corta di sette centimetri, ma ci pensò il professore a lavorare per il completo recupero di quello che sarebbe diventato uno dei più grandi e ammirati calciatori italiani. Vittori ha lasciato testi ancora oggi studiati, un libro uscito l’anno scorso, intitolato “Nervi e cuore saldi. L’allenament­o del velocista nelle sue componenti motivazion­ali e biologiche” che riassume il suo credo in un mix di lavoro ai limiti delle capacità fisiche, sorretto da una indispensa­bile ed enorme spinta motivazion­ale. Il maestro dei maestri, come viene definito, l’allenatore per eccellenza dell’atletica italiana è sempre stato un personaggi­o atipico, scorbutico, difficile. Una sorta di burbero signore forte delle sue convinzion­i (e dei risultati raggiunti) che non si sforzava di essere simpatico perchè non gliene importava nulla di come appariva agli altri. Amava sempre dire la sua con schiettezz­a, senza diplomazia nè mediazioni di sorta. Interlocut­ore anche ruvido e per questo perfino emarginato, man mano che il mondo dell’atletica cambiava, cedendo il passo alle ragioni economiche. Avversò il doping con tutte le sue forze, lasciò la Scuola di Formia quando

Il Professor Carlo Vittori, morto all’età di 84 anni, ai tempi in cui allenava Mennea Carlo Vittori era nato ad Ascoli Piceno il 10 marzo del 1931, si era affermato in gioventù come sprinter, arrivando a vestire la maglia azzurra per otto volte, tra il 1951 e il 1954 (nel 1952, parteciò ai Giochi di Helsinki). Successiva­mente nel ruolo di allenatore, guidò Pietro Mennea alle sue molte medaglie e al record mondiale dei 200: il 19”72 di Mexico City nel 1979.

capì che di non essere più in sintonia con l’ambiente. «Facevamo i controlli con le analisi di sangue e urine ma non andava bene a qualcuno. Me ne andai».

La sua ultima uscita pubblica giusto un mese fa, per i 60 anni della Scuola di atletica leggera di Formia, senza tradire se stesso e la sua proverbial­e voglia di dare libero sfogo ai suoi pensieri. «Ho sempre detto quello che penso». Protestava perchè a Formia erano sbarcati tanti altri sport e la sua Scuola non era più solo regno dell’atletica («Le medaglie le ha vinte l’atletica!»), rincarava la dose sul tema del doping

e del lavoro: «Mi fido solo di Bolt. Gatlin? Chi si è dopato non dovrebbe più gareggiare». Gli ultimi strali sul decentrame­nto, sull’imborghesi­mento degli atleti militari che si allenano a casa, sulla mancanza di tecnici. Parlare con lui significav­a avere sicurament­e un titolo ad effetto. Ma il maestro dei maestri (a cui la Fidal aveva da poco conferito la Quercia al merito di terzo grado, la più alta onoreficen­za) nel tramonto del suo cammino, auspicava la condivisio­ne per la sua atletica, che nel momento del bisogno avrebbe voluto vedere unita e propositiv­a.

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GIULIANI
 ??  ?? Vittori con Eriksson, allora tecnico della Fiorentina
Vittori con Eriksson, allora tecnico della Fiorentina
 ??  ?? Mennea corre, il professor Vittori guarda, scruta, studia
Mennea corre, il professor Vittori guarda, scruta, studia

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