Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

La folle corsa che ha creato miti

- P.d.s.

In principio era deserto, quello vero, quello africano, quando ancora lo si poteva attraversa­re senza rischiare la testa, per motivi che nulla hanno a che fare con i rischi insiti nei raid di questo tipo.

In principio era deserto, era Parigi-Dakar e bastava il nome per evocare avventura, rischio, il fascino dell’ignoto unito a quello della sfida sportiva, della resistenza umana e meccanica alle sollecitaz­ioni delle dune di sabbia e delle loro mille insidie nascoste. L’aveva inventata, prendendo spunto dalla storia vissuta di persona, Thierry Sabine, un pilota francese scampato nel 1977 al “naufragio” nell’oceano Sahara con la sua moto durante il rally Abidjan-Nizza. E l’anno dopo Sabine riuscì a riunire 182 veicoli alla partenza della prima edizione da Place du Trocadero a Parigi con destinazio­ne Dakar, lungo un percorso di oltre diecimila chilometri. Era il 26 dicembre 1978, era la prima ParigiDaka­r della storia, quella che fu definita la “sfida per quelli che partecipan­o e un sogno per quelli che seguono”. E nessuno sapeva si stesse scrivendo una pagina importante del motorismo mondiale. tanto importante che la Parigi-Dakar divenne presto un fenomeno di costume nel mondo e anche in Italia. Fenomeno capace di celebrare i mille personaggi che ci si sono avvicinati negli anni e di ricordare le tante, troppe tragedie che l’hanno accompagna­ta. Il bilancio, in effetti, è devastante: 28 piloti morti, tra cui i nostri Marinoni e Meoni (vincitore di due edizioni con le moto) e altri 40 decessi tra giornalist­i, fotografi, spettatori. Ma niente e nessuno è mai riuscito a fermare l’energia trascinant­e di questa folle corsa nel deserto, capace nel 1988 di vedere alla partenza ben 600 veicoli, a dimostrazi­one di una fama senza confini. Fu l’anno in cui il finlandese Kankkunen regalò a Peugeot la terza di quattro vittorie consecutiv­e, soffiando il successo al connaziona­le Vatanen, al quale era stata rubata la sua 405 Turbo. Fece in tempo a ritrovarla e ripartire, ma ormai la vittoria era sfumata: si sarebbe rifatto nei succesivi tre anni.

La Parigi- Dakar ha creato dei miti, degli uomini metà piloti metà eroi, capaci non solo di sopravvive­re al deserto ma di vincere e vincere spesso, tanto. Come Stephane Peterhanse­l trionfator­e di 11 edizioni, di cui 5 in auto.

In principio era deserto e Parigi-Dakar, ora è Sud America e di Dakar è rimasto solo il nome, troppo famoso per abbandonar­lo, dopo l’addio all’Africa nel 2008, a causa dell’uccisione di un cittadino francese da parte di alcuni soldati mauritani. Eppure il mito resiste visto che il 2 gennaio da Buenos Aires saranno 427 veicoli alla partenza (152 moto, 169 auto, 58 camion e 48 quad). Perché, la Dakar è una storia infinita che merita ancora di essere vissuta o almeno raccontata.

La Peugeot 405 T16 che vinse la Dakar nel 1989, con Ari Vatanen Oltre i campioni come Loeb, Sainz, Hirvonen e Nasser Al-Attiyah; oltre l’obiettivo delle MIni All4Racing di arrivare alla cinquina consecutiv­a, c’è la nostra Dakar, quella degli italiani che inseguono il sogno di trionfare nel deserto sudamerica­no. In tutto sono quindici i nostri connaziona­li, al via tra moto e quad. Di questi tre saranno in sella a mezzi di team ufficiali. Alesandro Botturi, 40 anni, bresciano, guiderà la Yamaha WR450F con ambizioni da podio dopo una stagione da protagonis­ta che lo ha visto rionare al Merzouga e finire sul podio in Tunisia e al Transanato­lia. Poi c’è Paolo Ceci, 40 anni di Modena che sulla Honda HRC aiuterà Barreda e Goncalves a centrare l’obiettivo vittoria. Infine Jacopo Cerruti, 26 anni di Como che con l’Husqvarna cercherà spazio per affermare il ruolo di rookie terribile. Non si può però dimenticar­e un veterano dello spessore di Franco Picco (11 presenze alla Dakar in moto, 7 in auto e 7 in assistenza) che per celebrare i 60 anni, a 30 dal debutto, ha scelto di provarci con un quad.

In auto invece correranno l’ex rallysta Michele Cinotto, Gianpaolo Bedin e Stefano Marrini.

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