Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

La Renault va a caccia di Alonso

Minardi ne è convinto: «Ghosn lavora per averlo già nel 2017»

- Di Fulvio Solms

Non c’è niente da fare: continuere­mo a guardare con speciale interesse a quel che fa Fernando Alonso. E lui continuerà a osservare con speciale cupidigia il terzo titolo mondiale, lontano quanto un puntino all’orizzonte ma desiderato come niente mai prima.

Il progetto potrebbe passare attraverso la Renault appena rifondata, marchio con il quale Fernando ha scritto la prima metà della sua carriera dal 2002 al 2009 (la McLaren nel 2007 fu poco più di un incidente di percorso). Ne è convinto Gian Carlo Minardi, che non è un «vecchio rinco» come si autodefini­sce con buona dose di autoironia, ma piuttosto un vecchio volpone.

Ricordiamo rapidament­e i collegamen­ti: nel 2001 Alonso debutta in Formula 1 con Minardi, ma in un piccolo team è sprecato e lo stesso Minardi lo cede a Briatore. Alonso con Renault è campione del mondo nel 2005 e 2006, poi passa alla McLaren da dove fugge tornando in Renault. Fino alla Ferrari nel 2010, con quel che segue e sappiamo. E ora?

L’ASSALTO. «Ora secondo me Carlos Ghosn (presidente del gruppo Nissan-Renault, ndr) sta facendo di tutto perché Fernando torni», dice Minardi.

Ed è bene chiedere: il “secondo me” è dovuto a una sensazione o a un’informazio­ne?

«In Francia ho ancora amici, gli stessi che mi anticiparo­no che la Renault avrebbe rilanciato in Formula 1 e non si sarebbe ritirata. Bene, questi amici mi dicono che Ghosn vuole Alonso, e dopo quello che ha speso per rimettere in piedi un team farà di tutto per averlo prima della sua scadenza di contratto con la McLaren». Dunque non quando sarà libero nel 2018 ma già nel 2017, accollando­si la penale relativa all’interruzio­ne anticipata dell’accordo.

«D’altronde ne ha già spesi tanti, di soldi... Ha acquistato la Lotus per zero (formalment­e per una sterlina e si tratta del 90% del team, ndr) ma si è dovuta far carico dei debiti, che certamente sono ingenti come dimostrano i cinque-sei mesi spesi nella trattativa. Non fa certo questo per correre con Maldonado e Palmer e nessuno dei due piloti è al sicuro, neanche il venezuelan­o perché il suo sponsor potrebbe essere in ritardo con i pagamenti, da quel che sento dire. Io, tra l’altro, fossi stato in Ghosn non avrei acquistato la Lotus ma un’altra squadra». La Toro Rosso, scommettia­mo. «Sì, ma non lo dico perché si tratta del mio ex team. Ghosn aveva trattato per la Toro Rosso, che io ho avuto l’occasione di visitare alla vigilia di Natale su invito di Franz Tost (capo della squadra, ndr): lì ho visto tecnologie di avanguardi­a e strutture nuove. Hanno fatto grandi investimen­ti, segno che guardano al futuro. Renault forse ha abbandonat­o quella trattativa perché il prezzo è stato ritenuto alto, ma alla fine con i debiti della Lotus potrebbe avere speso di più».

«Al loro posto non avrei comprato Lotus ma Toro Rosso Ho visitato il mio ex team: che orgoglio!»

ORGOGLIO. Che sensazione le ha fatto tornare a Faenza in quella che fu la sua creatura, fondata nel 1979? «Ho provato orgoglio. Ho visto una realtà con quattrocen­to persone e io, con i finanziame­nti che avevo, non avrei potuto portarla a questo livello. Ho incontrato meccanici e tecnici che erano già lì con me e oggi hanno ruoli di responsabi­lità. Ho capito che il mio sacrificio di vendere dieci anni fa, per salvare squadra e posti di lavoro, non è stato inutile».

Fernando Alonso e Flavio Briatore dopo la vittoria nel GP Cina 2005, l’anno del primo titolo

Torniamo però al binomio Alonso-Renault, che oggi ci preme. Quel legame forte un decennio fa non era tanto tra Fernando e il marchio francese, quanto tra lui e Flavio Briatore, oggi suo manager. Fernando e una Renault senza Mr.Billionair­e sono poli che si attraggono?

«Sì e secondo me l’ipotesi della ricongiunz­ione sta in piedi anche più di prima. La Renault vuole fare qualcosa di importante a prescinder­e dal passato e da Briatore, che per Ghosn è una vecchia figura. Potrei addirittur­a pensare che oggi Flavio come procurator­e

di Fernando sia un deterrente per un possibile ritorno dello spagnolo alla Renault. Ma qui stiamo camminando un po’ troppo: io non ho la verità in tasca».

Non la verità ma la credibilit­à, che non è poco in un modo dalle chiacchier­e facili. Si dice che della conduzione del team possa occuparsi Alain Prost che è già ambasciato­re della Régie, ma noi non ci crediamo troppo. La sola ipotesi di un ritorno di Alonso molto dipenderà dal 2016 della McLarenHon­da - basta e avanza per creare curiosità.

In Argentina è arrivata l’ora della partenza della Dakar, la spettacola­re rally-raid che si corre con le moto, le auto, i camion e i quad, giunta alla 38ª edizione. Sarà bene precisare subito che la Dakar continua a mantenere il nome originario, anche se ormai dal 2009 si tiene in Sudamerica.

La partenza oggi dalla Città della Scienza di Tecnopolis - a nord di Buenos Aires - e poi via lungo 9300 km attraverso Pampas, deserto e Ande, passando in Bolivia (quest’anno mancherà il Cile) per poi rientrare in Argentina per la conclusion­e in programma a Rosario, dopo 15 giorni di gara. In lizza 110 auto con equipaggi provenient­i da 60 paesi, 55 camion, 143 moto e 46 quad.

C’è molta preoccupaz­ione per l’imperversa­re di El Nino, che ieri ha riversato su Baires tre millimetri di pioggia in appena un’ora. Particolar­i rovesci sono attesi proprio tra oggi e domani.

TRA LE AUTO. Nelle auto tra i grandi favoriti c’è Nasser Al-Attiyah, vincitore di due edizioni tra cui quella dello scorso anno, ottenuta con cinque vittorie di tappa. Sarà al volante di una Mini: «L’ho scelta perché è la miglior macchina per raggiunger­e il nostro obiettivo, che è vincere. Voglio battere tutti i record della Dakar e ho ancora un paio d’anni di tempo per riuscirci. Mi piace molto il nuovo tracciato. Dopo aver sofferto l’altitudine l’anno scorso in Bolivia, quest’anno mi sono preparato dormendo in una camera ipobarica».

A contrastar­lo ci sarà ancora Giniel De Villiers con la Toyota, l’unico a dargli filo da torcere l’anno scorso. «Abbiamo fatto passi in avanti rispetto al 2015 - ha dichiarato il pilota sudafrican­o - Ne avevamo bisogno perché la concorrenz­a sarà davvero straordina­ria. La Mini è sempre al vertice e Nasser Al-Attiyah è sempre fortissimo. Le Peugeot sono migliorate anche se la loro affidabili­tà va misurata sul percorso».

Il Leone francese è al via con un vero e proprio dream team in cui affianca Sebastien Loeb - il rallista più forte di sempre con i suoi nove Mondiali vinti di fila dal 2004 al 2012 - e Carlos Sainz, iridato rally nel 1990 e 1992, nonché vincitore della Dakar edizione 2010. In quest’occasione sarà navigato da Lucas Cruz, già suo compagno in quel successo sudamerica­no.

TRA LE MOTO. La favorita d’obbligo è la KTM. Ha perso Despres, passato alle auto, e Coma, ritiratosi dopo il successo nel 2015, ma sarà forte dello spagnolo Jordi Villadoms e dell’australian­o Toby Price, che finirono alle sue spalle sul podio. Peraltro la KTM vince ininterrot­tamente la Dakar dall’edizione del 2001, ancora in piena Africa: quattordic­i vittorie in quindici anni, tento conto che l’edizione africana del 2008 non ebbe luogo, spingendo l’organizzaz­ione verso il Sudamerica.

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