Corriere dello Sport Stadio (Firenze)

L’austriaco: «Ero e resto convinto della mia decisione» Una gara destinata a restare mistero

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meritatame­nte vinse il titolo per poi dire, senza grattare sotto la crosta dell’ovvio: «E’ il mio giorno fortunato».

Fu crudo Jacques Laffite: «Lauda - disse a gara conclusa - ha rinunciato a difendere il titolo e questa sera si mangerà le dita. Se non se la sente di correre in situazioni difficili, non può aspirare a essere il campione».

Né fu tenero Clay Regazzoni che, ricordiamo­lo, era nella nutrita lista dei nemici dell’austriaco. Nel novembre 2006, un mese prima di morire in un incidente stradale, il baffuto svizzero si era pronunciat­o così: «Mai saputo di accordi tra i piloti, che il mio amico Niki si sia un po’ rincoglion­ito? Piuttosto è ora di dire la verità: nei tre anni che ho passato con lui alla Ferrari, Montezemol­o (allora ds di Maranello, ndr) ha appoggiato sempre Niki più di me. Alla fine dei conti potevamo vincere tre Mondiali e ne arrivò solo uno: il Fuji dimostra il perché».

In effetti il box non lavorò per Regazzoni quel giorno, ma non per un oscuro disegno: patì l’inatteso ritiro di Lauda come un colpo d’incontro preso a freddo. «Scheckter si fermò, montò gomme da asciutto e cominciò a girare tre secondi più veloce - il racconto di Regazzoni - Gli altri lo imitarono; io non fui neanche richiamato al box, rientrai di mia iniziativa e lo trovai semivuoto». I capi se ne erano andati in aeroporto assieme a Lauda: «Se avessero gestito la mia corsa sarei arrivato davanti ad Hunt. E Niki avrebbe avuto quel maledetto titolo». Gestendo bene la corsa di Clay forse avremmo salvato il titolo di Lauda. Quando avvisai Enzo Ferrari di come erano andate le cose, la sua reazione fu contenuta: per lui Niki era un redivivo e andava rispettato. Poi il vecchio andò su tutte le furie quando, la settimana dopo, scoprì che gli altri avevano buggerato Niki non fermandosi».

Una variante di questa versione vorrebbe far passare Lauda per un pollo: Niki cedette scioccamen­te all’orgoglio, giacché era palese che gli altri non si sarebbero fermati. Il che ci porta alla domanda: bisogna fare ciò che sembra giusto a noi o ciò che gli altri ritengono giusto?

LE SUE PAROLE. «Su quella giornata si sono dette un sacco di cavolate - ricorda Niki -, a esempio che non ci vedessi bene per via delle palpebre bruciate al Nürburgrin­g. Idiozie: io ci vedevo benissimo, ma correre in quelle condizioni era sempliceme­nte demenziale. Diluviava e avevamo trovato una decisione comune: se la pioggia non diminuisce, non corriamo. Concordamm­o poi di prendere il via per non privare le squadre dei premi-partenza e per la Tv. A un certo punto il direttore di gara ci mise fretta: bisogna partire subito perché presto sarà buio e la gara potrebbe non concluders­i. Andammo via scuotendo la testa».

In questo non detto, nella mancanza di un accordo finale preciso, il destino inserì il suo grimaldell­o e spaccò.

«Quando mi fermai e compresi che gli altri non lo avrebbero fatto, non era più affar mio. Ero e resto convinto di aver fatto la cosa giusta».

Ebbe coraggio, ebbe paura, fu tradito, ripose male la sua fiducia: tutto vero. Comunque sia andata, davanti a Niki Lauda giù il cappello.

3. CONTINUA

Precedenti puntate: 3 gennaio (Spy Story), 6 gennaio (Sexgate di Mosley) e 12 gennaio (scomparsa di Chapman).

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