Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
Mancini e Zenga, dove batte il cuore
Tra Sampdoria e Inter hanno vissuto gli anni migliori. Ma il cordone ombelicale...
Il cordone ombelicale, se avete presente. Mancini, vedi alla voce Sampdoria. Zenga, segui il cartello che porta all’Inter. Cuore, incroci di sentimenti, paesaggi dell’anima, rotonde della nostalgia. Il passato quando è passato è sempre un posto bellissimo, chiedetelo ad entrambi: eravamo giovani, non siamo mai stati così felici. Roberto Mancini cresce juventino (idolo: Bettega), esplode a Bologna, trova il senso della vita a Genova, sponda blucerchiata. Alla Sampdoria ci va per quattro miliardi di vecchie lire (cifra marziana per un ragazzo appena diciottenne), più Galdiolo, Roselli e Logozzo, tutti girati al Bologna. E’ il 1982: nello stesso anno Walter Zenga (di quattro anni più vecchio del collega), svezzato da Sonetti alla Sambenedettese, torna all’Inter, dove è cresciuto, per fare la riserva a Ivano Bordon. Un anno, poi conquista porta e curva (che frequentava da ragazzino).
A Genova Roberto viene subito adottato dal presidente: Paolo Mantovani ne riconosce immediatamente la classe, la naturale eleganza nel porgersi, in campo e fuori. In blucerchiato Roberto ci resterà quindici anni, fino all’estate del 1997. E’ una parentesi temporale che copre anche Zenga all’Inter: quattordici stagioni (1982-1994), per poi trasferirsi proprio alla Samp e dividere per un paio d’anni lo spogliatoio col Mancio. E’ l’età dell’oro del calcio italiano, la nostra serie A è l’Eldorado, siamo belli e ricchi, da Maradona a Platini, da Zico a Falcao, da Rummenigge a Van Basten, da noi ci gioca l’élite del mondo.
Mancini e Zenga fanno parte di una generazione generosa di talenti, loro due più Vialli, Bergomi, Maldini, Ferrara, Berti, Giannini: un gruppo che si forma nell’Under 21 di Vicini e poi - dal 1986 al 1990 - gioca probabilmente il miglior calcio azzurro degli ultimi trent’anni: il più spettacolare, il più allegro, il più moderno. Però è una generazione che in nazionale non vince nulla. All’Europeo del 1988 ci fa fuori l’Urss di Lobanowski e ai Mondiali del ‘90 la storia è nota: certo, le notti magiche (ma per gli altri).
Caratteri opposti: sobrio il Mancio, guascone l’Uomo Ragno. Uno regna, l’altro detta legge: sono due cose diverse. Zenga frequenta i salotti della tivù, Mancini il salottino di Edilio, il ristorante dove nasce e si alimenta la fratellanza di «Biancaneve e i sette nani» (lui è Cucciolo). Bandiera e figlioccio del presidente, per almeno un decennio il Mancio alla Samp fa un po’ quello che gli pare: consiglia i giocatori da prendere, sceglie le maglie, dal tessuto al disegno, discute di premi, chiede e ottiene il pullman personale per la squadra. Per vincere lo storico scudetto - di anni - ne impiega undici, ma ne varrà la pensa. Sono anni irresistibili, quella rimarrà la Samp più bella di sempre. In blucerchiato il Mancio vince, oltre allo scudetto, quattro Coppa Italia, una Supercoppa di Lega e la Coppa delle Coppe. Pure per Zenga in bacheca ci sono uno scudetto, una Supercoppa italiana e due Coppa Uefa. Hanno fatto entrambi la Storia, eppure alla Samp e all’Inter vincono entrambi meno di quanto vorrebbero (e potrebbero).
La vita è agra, quando vuole. Senza voler spezzare sogni, diciamo che sono esigue o quasi nulle le possibilità che - in un futuro più o meno lontano - Zenga alleni l’Inter e Mancini la Sampdoria. Walter per anni si è candidato alla panchina nerazzurra, una volta (2004) ci andò pure vicino: fu invece Mancini il prescelto di Moratti. Possiamo dirlo? Nel momento in cui ha smesso di sognare l’Inter, Zenga è diventato un allenatore più maturo. Quella di Mancini che chiude la sua carriera alla Sampdoria è più che altro una suggestione da nostalgici nel bla-bla-bla dell’apericena: ormai il Mancio e la Doria giocano due campionati diversi, se sei abituato a mangiare da “Nobu” fai fatica a sederti al tavolo della trattoria da Bepi, con tutto il rispetto. Per questi e altri motivi la Samp e l’Inter, per il Mancio e Walter, resteranno sempre isole irraggiungibili, dove siamo stati una sola volta nella vita, poi ci siamo voltati di spalle, siamo partiti e zac, era il cordone ombelicale quello che si spezzava. Eppure i nostri migliori anni sono rimasti lì nell’isola, come palme spettinate dal vento caldo dei ricordi.
Il Mancio a Genova regnava, Walter dettava legge: due modi diversi di essere leader