Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
SERIE A ITALIANI “SUPERATI”
Tesserati ben 98 stranieri i nostri atleti sono solo 77
Domenica scatta la serie A, il massimo campionato italiano di basket. Ecco, in questa frase c’è un errore. Non lo trovate? In effetti non è poi così semplice scoprirlo.
L’errore sta nella parola “italiano”. Perché ormai la A sembra sempre più lontana da un torneo organizzato nel nostro Paese. Secondo uno studio fatto dalla newsletter “Spicchi d’Arancia”, su 181 atleti tesserati sino ad oggi, ben 98 sono stranieri (ovvero extracomunitari, comunitari e cotonou) e solo 77 italiani di passaporto e formazione. Ne mancano 6? Anche volendo aggiungere i “passaportati” Forray, Cerella, Viggiano e Nicevic, il polacco Wojchiechowski e il georgiano Metreveli cresciuti nei nostri vivai, i nostri atleti sono comunque in minoranza.
RIFLESSIONI. E allora, leggendo questi numeri, viene subito da chiedersi dove sta andando la nostra pallacanestro? Se questo è l’andamento, iniziato tra l’altro già da diversi anni, quale sarà il futuro del basket nazionale, e ovviamente della Nazionale che non partecipa alle Olimpiadi dal 204? Se gli stranieri che sbarcano oggi nella penisola fossero tutti del livello di quelli degli anni 80 e
Mario Boni (Giba): «Non è vero che costano. Se li fai giocare sono meglio di tanti americani!»
90, ovvero fuoriclasse che diventavano immediatamente maestri e tutor per i giovani, sarebbero un gran valore aggiunto per il movimento, a prescindere dal passaporto.
Il problema è che la qualità media di americani, comunitari e cotonou è drammaticamente calata, di pari passo con le disponibilità economiche dei club. Così nessuno impara. E i settori giovanili non sembra stiano vivendo un periodo troppo felice, tutt’altro, visto che anche qualche società famosa sta riducendo il suo impegno nel settore.
La Giba, il sindacato dei giocatori italiani, sottolinea che la scorsa stagione l’utilizzo dei suoi tesserati è cresciuto, seppure appena del 2%, rispetto al 2013-14, ma è pronta ad opporsi da subito alle voci di una possibile formula che prevederebbe il 6+6 (6 stranieri senza alcun distinguo, e 6 italiani). «Non abbiamo ricevuto alcuna proposta in tal senso - dice il presidente Alessandro Marzoli -. Anche perché le regole attuali sono già penalizzanti per noi. Inoltre la convenzione a riguardo scadrà nel 2017. Noi ne facciamo una questione culturale, e invitiamo i club a scommettere sugli italiani».
Chi non ha mezze misure per commentare simili dati è come sempre Mario Boni, straordinario cannoniere tra gli anni 80 e 90 e oggi vicepresidente della Giba: «Per me gli italiani, se li fai giocare, sono migliori di tanti americani. Oggi gli stranieri che arrivano sono davvero scarsi! Ecco perché la nostra identità culturale dovrebbe essere mantenuta e difesa. Guardate quello che ha fatto Reggio Emilia: ha investito sui giovani, li fa giocare e vince. Andatevi a rivedere come quei ragazzi sono andati in campo contro Milano nella finale della Supercoppa, e quanto senso di appartenenza alla maglia avevano. Purtroppo nel basket sta accadendo ciò che è già successo nel calcio, dove il nome straniero è sempre più appetibile. Non venite a dirmi che un atleta italiano costa di più, perché non è vero. I più forti hanno un ingaggio maggiore perché se lo meritano, ma ce ne sono tanti che vengono dal sommerso, come Pascolo di Trento ad esempio, ai quali andrebbe data molta più fiducia. Quello economico è un falso problema».
REGGIANA. L’impressione è che buona parte dei nostri club sia entrata in un giro vizioso: non credendo in un ritorno economico e sportivo, investono poco nel settore giovanile. E quando devono costruire la squadra maggiore, sono costrette a guardare all’estero e ad atleti non sempre degni di militare in serie A. Reggio Emilia invece da anni punta sui suoi ragazzi e ottimi allenatori (gente come Andrea Menozzi , quello che nelle file della Reggiana ha avuto tra i suoi allievi l’adolescente Kobe Bryant...), o comunque su prospetti italiani. La passata stagione ha sfiorato lo scudetto, pochi giorni fa ha vinto la Supercoppa. Forse sarebbe il caso di chiedersi se non è il caso di seguire il suoi esempio.