Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
FAVARO Grinta e placcaggi tocca all’amuleto
L’Italia rilancia il veneto. Quando gioca lui si vince spesso: «Irlanda super: una finale»
INVIATO A LONDRA Stanno ammazzando il rugby. Tra mischie illegibili, punti d’incontro trasformati in risse da osteria, video-arbitri invadenti. Una sola cosa però non potranno togliergli: la necessità di placcare e strappare il pallone all’avversario. I cacciatori di uomini e di palloni saranno sempre insostituibili. Come Simone Favaro, che torna titolare in azzurro domani contro l’Irlanda. L’ultima volta fu sette mesi fa a Murrayfield (e l’Italia vinse). La penultima dieci mesi fa contro l’Argentina (e finché restò in campo, l’Italia vinceva). Prim’ancora contro Samoa (vinta) e Irlanda a Roma nel fausto Sei Nazioni 2013 (altra vittoria). Male che vada, il terza linea trevigiano porta fortuna.
La realtà è che, in uscita Mauro Bergamasco, dalle nostre parti non c’è un altro giocatore così. Feroce nel placcaggio, abile nel recupero, portato a non mollare mai. Quello che serve, assieme al rientro di Parisse, a questa Nazionale priva di certezze.
La storia degli ultimi due anni e mezzo di Simone assomiglia a un giallo di Agatha Christie: impossibile dare un volto al colpevole. «Ho sofferto per un trauma al nervo ascellare della spalla destra. Ho perso massa nell’articolazione, forza nel braccio: non potevo giocare». Il problema sembrava irrisolvibile. «Devo ringraziare un’equipe di Padova e lo staff medico dei Glasgow Warriors (il suo nuovo club; ndr) se sono qui. Elettrostimolazione e vitamina B12 mi hanno rimesso in sesto».
In due anni e mezzo ha giocato cinque partite in azzurro. Uno dei tanti motivi della crisi della Nazionale. «Ma no. Ci sono grandi giocatori che hanno smesso, altri che sono invecchiati. E le regole hanno trasformato una delle mischie più forti del mondo in una delle più penalizzate, una delle maul più efficaci in un’arma spuntata. Favaro non c’entra, si gioca in quindici. Già da domani abbiamo l’occasione di dare una scossa. Con l’Irlanda è una finale: dentro o fuori. Sfidiamo la squadra più in forma d’Europa, dobbiamo dare il 110%».
In estate si è trasferito a Glasgow, nella franchigia scozzese di Celtic League. «La Scozia è stupenda. Certo, cucina e clima lasciano un po’ a desiderare, ma la gente è fantastica, mi ha fatto subito sentire a casa». Lì ha potuto toccare con mano il solco esistente ormai anche tra il rugby scozzese e quello italiano. «Loro hanno creduto in un progetto e l’hanno portato avanti, sostenendolo con investimenti adeguati. Noi abbiamo avuto gli Aironi, le Zebre, eppoi Treviso sì, Treviso no. Glasgow ha vinto la Celtic League a capo di un percorso di crescita durato cinque anni. E ha creduto nei giovani scozzesi. Oggi è la squadra che fornisce più giocatori alla Coppa del Mondo (21; ndr). Non è vero che non esistono potenziali nuovi Favaro. Penso a Mbandà, di cui mi hanno parlato benissimo. E a Lazzaroni, che mi somiglia molto. Ma se non li fanno giocare. Bisogna trovare una soluzione, coinvolgere nell’alto livello 80 ragazzi, non 40».
A quasi 27 anni - li compirà il 7 novembre - si sta scoprendo “vecchio”. In azzurro ormai domina (numericamente) la generazione 90. Quella accusata di avere scarsa personalità. «E’ un discorso che non accetto - replica Favaro - Qui non siamo in un club. Se vesti l’azzurro, devi avere carattere per forza, non conta se sei giovane o vecchio. Però siamo essere umani e capita di sbagliare».
Domani contro l’Irlanda non sarà permesso.
Rientra dopo i guai alla spalla: «Salvo con vitamina B12» E’ al Glasgow: «Lì sposano i progetti»