Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
«Preparo una Lazio vincente»
Per me è arrivata l’ora di conquistare un grande trofeo Mi ispiro a Guardiola e vorrei rigiocare la sfida di Champions
Come nasce Pioli alla Lazio? Chi o cosa ha suggerito il primo approccio per questa avventura?
«Credo che non siano mai gli allenatori a scegliere, ma noi allenatori veniamo scelti e chiamati in causa. Prima ho incontrato il ds Tare, fu un confronto nel suo ufficio sul tipo di gestione, sulla metodologia di lavoro, poi la sera stessa incontrai Lotito. Da lì è nato qualcosa di positivo. Ho avvertito stima, rispetto, fiducia».
Ha avuto subito la percezione che sarebbe stato l’allenatore della Lazio? E se sì, perché?
«Ho avuto subito delle sensazioni positive, ho dato fiducia a quello che mi aveva detto Lotito. “Stia tranquillo, sarà il nuovo allenatore della Lazio”. Ho aspettato il mio turno sapendo che la firma sarebbe arrivata più avanti, c’erano dei tempi stabiliti. Il presidente è stato di parola».
Quindici mesi dopo la dimensione della Lazio è quella che pensava o credeva di arrivare in un club con minori, maggiori o con queste aspirazioni?
«Sapevo di arrivare in un club importante, prestigioso. E’ una tappa importante per mia la crescita, un club dove si poteva essere ambiziosi ed è ciò che ho provato a fare sin dall’inizio per arrivare il più in alto possibile».
Qual è la dote che si riconosce come allenatore?
«Punto molto sui rapporti, sulla professionalità e sul cercare di far giocare bene la mia squadra».
Di alcuni allenatori si dice “quello ha un gran carattere” oppure di “grande personalità”. Di Pioli si dice “è una brava persona”. Lo vede come un pregio o un limite?
«Credo a volte si confonda l’educazione e il rispetto con la mancanza di personalità. E’ un errore. Credo di avere il carattere giusto, non serve fare dei proclami o dichiarazioni che possono piacere ai media e ai tifosi».
Qual è il salto di qualità per arrivare ai livelli dei Capello, dei Lippi, degli Ancelotti?
«I grandi allenatori sono considerati grandi quando cominciano a vincere qualcosa. Se voglio essere considerato grande anche io devo cominciare a vincere qualcosa. E’ quello che vorrei fare e con tutto il cuore vorrei riuscirci con la Lazio. Mi trovo bene qui. Sono contento, orgoglioso di essere l’allenatore della Lazio, di questi colori, di questi tifosi. Il sogno, l’obiettivo è vincere qualcosa. Potevamo già farlo, non ci siamo riusciti, è stato un peccato. Una grande stagione come quella passata andava completata con una vittoria. E penso la Coppa Italia avevamo dimostrato di poterla meritare. Purtroppo è sfuggiata, ma voglio continuare a pensare in grande».
Vincere qualcosa che significa? La Coppa Italia o l’Europa League? E in campionato cosa significa vincere?
«Vincere significa vincere una competizione, qualunque essa sia. Sarebbe importante per il nostro lavoro, per quello che cerchiamo di costruire. La Coppa Italia o altro. Se riusciremo a dare il massimo, potremo giocarci le nostre carte in tutte e tre le competizioni».
In campionato ci sono sempre delle gerarchie, ma quest’anno davvero possono vincerlo cinque o sei squadre?
«Penso sia troppo presto. La classifica sarà giusta guardarla a febbraio, non prima. Gli equilibri ci sono, ci vuole poco tra vincere e perdere una partita. Le squadre forti ci sono e saranno loro ad arrivare nelle prime posizioni. Noi possiamo competere con queste squadre forti».
Il Napoli è da scudetto?
«Il Napoli era già una squadra forte anche l’anno scorso, come noi aveva mancato i preliminari. Ha grande qualità. Juve, Roma, Napoli e forse Inter hanno qualcosa in più delle altre. Poi ci siamo noi e la Fiorentina. C’è un lotto di squadre di alto livello».
Perché il Napoli, con tre punti in meno della Lazio e avendo già giocato lo scontro diretto in casa, può pensare allo scudetto e la Lazio no?
«Questo non lo dico io, lo dite voi, quando fate le interviste o chiedete i pronostici. Il Napoli ha ricevuto tantissimi voti dagli addetti ai lavori, la Lazio solo uno. Credo nella mia squadra, ma credo anche ci siano dei valori da rispettare».
Il figlio di Maestrelli ha detto che Pioli ricorda più di tutti suo papà Tommaso. L’ha colpita questo paragone?
«Sì ed è una cosa che mi fa piacere, perché credo che il Maestro avesse determinate caratteristiche, valori e qualità, non posso che essere orgoglioso di essere paragonato a lui. Ma devo dimostrare di poter arrivare a quel livello».
Dopo il terzo posto, un risultato molto importante, si credeva che Pioli potesse pretendere di più in campagna acquisti dalla società.
«Il ruolo dell’allenatore è allenare, ma dare anche indicazioni alla società, soprattutto se hanno lavorato insieme nell’anno precedente. E’ quello che ho fatto. Insieme abbiamo scelto di dare continuità alla squadra dell’anno scorso, eravamo sicuri e siamo sicuri che potesse fare meglio. Abbiamo preso giocatori nuovi, giovani, che avevano già dato dimostrazione delle proprie qualità. Stanno dando dei risultati e ce ne daranno ancora. E’ giusto fare chiarezza. Se avessimo saputo di giocare il ritorno del preliminare di Champions senza Marchetti, Biglia, Klose e Djordjevic saremmo intervenuti. Ma non si poteva prevedere quello che è successo».
Quindi è questo quello che Pioli ha chiesto? Mancini arriva e si fa comprare quindici giocatori. Non è una qualità, è una condizione per allenare?
«Non mi permetto di giudicare. Se Mancini l’ha fatto, è perché riteneva che andasse fatto. Io ha dato le indicazioni che ritenevo giuste e in relazione alle possibilità della società».
Torniamo al campionato. La Juve resta la più attrezzata per lo scudetto?
«Al momento la Juve è la squadra più forte del campionato insieme alla Roma».
Le viene rimproverato di perdere nei grandi appuntamenti. Lo avverte come un problema oppure è una sciocchezza che diciamo noi media?
«Abbiamo perso due finali, non le abbiamo perse con il Canicattì, ma con la Juve, è normale si possa dire che Pioli non ha vinto. E’ la verità. Abbiamo sempre perso con la Juve, questo mi dà fastidio, credo per come l’abbiamo giocata si potesse vincere la finale di Coppa Italia».
Se facciamo riferimento alle due finali con la Juve, al derby del 24 maggio e al preliminare di ritorno con il Bayer, quale partita vorrebbe rigiocare?
«Il preliminare e non deve essere per mancanza di rispetto, sono convinto che la squadra presentata a Leverkusen fosse competiviva. Ma quella partita vorrei rigiocarla con la squadra al completo».
Ha giocato con tre grandi maestri come Trapattoni, Bagnoli e Ranieri. Ci tracci un profilo dei tre e cosa si è portato dietro di loro nel lavoro di allenatore?
«Sono stati allenatori importanti. Li ho apprezzati molto. Di Trapattoni mi è rimasto tanto dell’allenatore e della persona per l’entusiasmo e la passione che metteva nel suo lavoro. Coinvolgeva tutti, trascinava tutti. Questo è un aspetto fondamentale. Di Bagnoli ho un grandissimo ricordo, pur nel suo parlare molto poco sapeva essere diretto come pochi altri. Era l’allenatore che ho avuto che parlava meno con la squadra. Le sue valutazioni e le sue discussioni con la squadra era uno spettacolo per chiarezza e il modo diretto di dire le cose. Ranieri a livello tattico è stato il primo a fare un certo tipo di lavoro, l’ho avuto a 2728 anni, nell’età giusta per capirne meglio l’importanza».
Sarebbe servito un difensore centrale come Pioli alla Lazio?
«No. Ci sono. Abbiamo difensori centrali che sanno giocare bene a calcio, spesso lascio a loro l’impostazione, non hanno solo la tecnica, leggono bene la situazione, vedono i compagni smarcati. Credo la Lazio sia ben attrezzata. De Vrij è un giocatore importante, ma gli stessi Gentiletti e Hoedt sanno costruire, anche Mauricio con la sua semplicità. I difensori devono essere molto semplici, rapidi nella costrzuone e nella scelta. Dare ritmo significa muovere velocemente la palla da dietro, se lo facciamo sappiamo trovare gli spazi con i nostri giocatori offensivi. Quando siamo lenti, troviamo difficoltà».
Da allenatore ha mai avuto un modello di riferimento?
«Allenatori di riferimento no. Se mi chiedete quello quello che mi piace di più per come fa giocare la squadra e quello che rappresenta, dico Guardiola. Il suo calcio mi piace tantissimo. Lo conosco. Grande persona, grande allenatore. In Italia ce ne sono tanti bravi, non ho un nome solo. La scuola di Coverciano è ottima, ti dà tanto, siamo molto preparati, a volte pensiamo di esserlo anche troppo».
Perché Guardiola?
«Mi piace la sua filosofia, l’identità della squadra. Non mi piacciono gli schemi, il giocatore in campo deve essere libero ma deve sapere che suona in un’orchestra, non è uno sport individuale. Guardiola non dà punti di riferimento, vuole fare la partita e controllarla. Non significa non difendere. Controllare la partita significa spostare il baricentro in avanti, avere idee, giocatori in movimento e una squadra che porti soluzioni in possesso palla e che lavori insieme. Nel suo piccolo, la Lazio sta cercando di fare questo. Voglio giocatori che prendano iniziativa, quelli di qualità devono entrare in possesso palla più volte nella metà campo offensiva, non nella nostra. L’obiettivo è divertire i nostri tifosi. Non basta giocare bene, ma bisogna accompagnare il gioco con il risultato. Questo fa la differenza. Ma giocare bene significa avere più possibilità di fare risultato».
Chi è che nel mondo interpreta al meglio questa filosofia?
«Se potessi scegliere, prenderei Muller del Bayern Monaco. Ha tutto: intensità, sacrificio, generosità. Dal punto di vista tecnico non è neppure un campione, ma si muove continuamente, può giocare in qualsiasi ruolo. Per quanto riguarda Guardiola ci sono due giocatori che ho fatto studiare anche ai nostri: Robben e Ribery. Prima di arrivare al Bayern li consideravo grandi, ma non continui. Entravano e uscivano dalla partita. Ora sono diventati completi con il lavoro di Guardiola. Attaccano e difendono senza nessun problema. Non chiedono all’allenatore sino a dove devono rientrare, giocano con e per la squadra. Il sogno dell’allenatore è quello. Avere giocatori che mettono le proprie qualità a disposizione della squadra. E’ quello che abbiamo fatto l’anno scorso. Tutti si sono messi a disposizione e hanno rinunciato a qualcosa di proprio, di individuale».
Parliamo di Felipe Anderson: fuoriclasse, grande giocatore, ottimo giocatore?
«Quello che diventerà Felipe è difficile prevederlo, vale per tutti in giovani. Ha qualità tecniche e fisiche. Continuo a dire che è un ragazzo volenteroso, lui lo sa, lavoriamo in campo e davanti ai video, nelle scelte di gioco può migliorare. Quando parlo con il mio ds, non mi interessa se un giocatore è destro, mancino, alto o basso. Gli chiedo se è un giocatore intelligente. Servono giocatori intelligenti. Il calcio è semplice, ma le situazioni in campo cambiano velocemente. Sei in possesso, non lo sei, sei in inferiorità numerica e così via. Chi legge più velocemente, ha dei vantaggi. Felipe è un giocatore intelligente per capire quando deve puntare l’uomo o scaricare la palla, deve migliorare nel gioco senza palla. Questo vale per Candreva, per Kishna, per Keita, tutti dotati di grande velocità. Se sapranno andare senza palla diventeranno ancora più forti».
Chi è il giocatore più decisivo del campionato italiano?
«In questo momento dico Higuain. Può fare la differenza, la squadra che ce l’ha a disposizione parte quasi con un gol in più».
L’8 novembre c’è il derby, tre giorni prima giocherete in Norvegia. Non si può chiedere il rinvio a causa della sosta.
«So che la risposta non vi piacerà. Prima del derby e del Rosenborg ci sono cinque partite. Noi volevamo tornare in Europa, ora ci siamo e non ci lamenteremo mai di giocare partite così importanti e ravvicinate. Il derby lo prepareremo al meglio, non ci sono dubbi. L’orario? Credo proprio che lo giocheremo alle 15».
Tra qualche giorno Pioli compirà cinquant’anni. Che regalo vorrebbe?
«Vorrei che io e i miei giocatori, l’ambiente della Lazio, a fine stagione fossimo tutti soddisfatti. E’ la cosa che mi interessa di più, alla quale tengo tanto. Con i tifosi siamo più forti, spero di poterli riportare in tanti allo stadio grazie alle nostre prestazioni. Io ci credo».