Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
Rinasce lo stadio della leggenda
Sabato il via alla ricostruzione del Filadelfia, il mitico teatro dell’epopea del Grande Torino
Il Filadelfia non è solo polvere e ruggine, erba alta, mozziconi di tribuna. Il Filadelfia è una delle Meraviglie del calcio, è la memoria del Grande Torino. Sabato rinascerà, in realtà non è mai morto, come la squadra caduta a Superga il 4 maggio 1949 che qui vinse cinque scudetti e rimase imbattuta per cento partite.
Diverso è stato il destino. Quando degli Invincibili rimasero corpi martoriati, rischiarati dai lampi sul costone della collina tra rottami bagnati di sangue e di pioggia, Carlin scrisse che la squadra granata era forse troppo bella per invecchiare. Il Fila, invece, ha sfidato e sconfitto il tempo, però ne ha sopportato i segni fino in fondo: spogliato delle partite nel ‘63, ospitò fino all’89 gli allenamenti della prima squadra e rimase culla delle giovanili fino agli Anni Novanta, poi monumento silenzioso, sempre più in rovina eppure sempre più maestoso. Man mano le tribune sono crollate, le ruspe hanno aggredito la storia, crepe e rovi si sono allungati, promesse e progetti si sono sovrapposti.
DESTINO.
Ma adesso ci siamo, il Fila torna a vivere. La Fondazione, che non ha mai mollato, restituisce il tempio alla gente granata che l’ha protetto negli
PRINCIPE.
sempre tanti amici per fargli compagnia; un giorno mandò via tutti perché voleva stare solo con me». Eccolo il cuore tenero di Moroso. Come del resto quello di sua moglie, il fatto di vedere quel Fila abbandonato proprio non lo mandava giù: «Che brutto vederlo in quelle condizoni: erba alta, animali randagi e tanto degrado. Secondo me già era sbagliato demolirlo, ma non avrebbero mai dovuto lasciarlo in quello stato».
Adesso però il Fila torna a vivere: «Ormai non ci credevo più, sembra essere finalmente arrivata la volta buona. Era doveroso, lo dovevano al pubblico del Torino». Sabato la cerimonia per porre la prima pietra e dare l’inizio ufficiale ai lavori: «Sicuramente sarò presente. Dicono che lo finiranno entro un anno, me lo auguro». Tanti aneddoti custoditi nel cuore della signora Carla, uno su tutti, però, quello che le è rimasto più impresso: «Mi ricordo che una volta mio marito aveva perso una collanina in campo e non la trovava più, un avversario gli disse che se gli avesse fatto toccare due o tre volte il pallone gliel’avrebbe trovata lui». Imprendibile Maroso in campo, correva veloce come i ricordi della vedova Carla. Belli e brutti, ma sempre con il mitico Fila sullo sfondo.
LA RINASCITA.
anni dell’incuria: 8 milioni d’investimento di cui 7 finanziati da Regione e Comune e uno personalmente da Urbano Cairo, il presidente che ha voluto la rinascita più di qualsiasi predecessore. Sabato la prima pietra, poi il cantiere e un traguardo: taglio del nastro il 17 ottobre 2016, novant’anni esatti dopo la prima inaugurazione. All’epoca si giocò un’amichevole con la Fortitudo Roma e accanto al presidente Enrico Marone di Cinzano, nella tribuna di legno e ghisa stile liberty, sedevano il principe ereditario Umberto II e la principessa Maria Adelaide.
Il Toro non giocherà nel nuovo impianto, però preparerà qui le partite e avrà accanto, ogni giorno, le giovanili. E oltre ai due campi ci sarà un museo e la leggenda tornerà a tramandarsi senza cantori. Già, perché il vecchio Fila non era fatto solo di mattoni rossi e di calce: «C’erano muri che sembravano persone e persone che erano muri» la sintesi di Walter Novellino, ragazzo del Fila, perché si respirava storia e assorbiva grinta, si sentiva addosso una maglia speciale. La maglia di Valentino Mazzola, il Capitano, che si rimboccava le maniche quando il tifoso Oreste Bolmida suonava la sua tromba di capostazione: dava il via al “quarto d’ora granata” e allora non ce n’era più per nessuno. Talento puro, Valentino, più alto dei giganti: «Quando penso al campione più utile per una squadra - la testimonianza di Giampiero Boniperti - non penso a Cruijff, Di Stefano, Maradona, Pelè o Platini: meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola...». La maglia di Valerio Bacigalupo, il portiere che sedeva a volte sulla linea bianca tanto il Toro schiacciava le avversarie: immenso e solo per caso unico escluso nella Nazionale che, contro l’Ungheria, schierò tutti insieme i dieci compagni. La maglia di Guglielmo Gabetto, che chiamavano Barone per la brillantina nei capelli e Santa Rita perché segnava gol miracolosi; quella di Virgilio Maroso ch’era invalicabile e non commetteva mai fallo.
MURI.
In realtà, i cantori del Toro c’erano pure. Erano i pensionati che al Fila passavano i pomeriggi all’epoca di Pulici presente sabato alla cerimonia - e di Graziani, e raccontavano
CANTORI.
la favola che avevano visto coi loro occhi prima che la sorte portasse via il Grande Torino. Parlavano ai giovani tifosi, e parlavano ai nuovi campioni, perché allora non c’erano barriere e l’allenamento si vedeva pure dalla strada e capitava che Gigi Radice, l’allenatore, alzasse gli occhi e chiedesse a Sergio Vatta, affacciato al balcone, di scendere a dargli una mano. «Chi indossa la maglia del Toro, non lo scorda più tutta la vita. Lo dico io che sono stato una meteora, uno degli ultimi giocatori ad aver calpestato l’erba del Fila,
C’è un investimento di otto milioni, uno messo da Cairo Obiettivo: aprire fra un anno esatto
Avrà due campi e ospiterà il museo con i cimeli della squadra scomparsa nel ‘49
testimone di qualcosa di speciale: Cravero e Marchegiani mi parlavano del cuore granata e mi chiedevo cosa volessero dire, poi sono entrato in quello stadio e ho capito». Parole di Angelo Gregucci, che arrivò a trent’anni e rimase una sola stagione: forse per questo valgono di più, non c’è rischio di facili retoriche.
Adesso sarà un altro Fila, avrà un campo in erba naturale delle dimensioni dell’Olimpico e uno, appena più piccolo, con superficie mista tra erba naturale e sintetica, 4000 posti di cui metà in tribuna coperta per guardare i campioni e ascoltare la fiaba. Il fascino, la magia, la leggenda non si smarriranno tra acciaio e cristalli: quelli sono sempre rimasti, anche quando crescevano le erbacce.
ERBACCE.