Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)

Esposito l’ex Diablo fa l’angelo

Il coach primo con Pistoia «Meglio costruire che vincere»

- Di Andrea Barocci

Quando il tuo soprannome da giocatore è sempre stato “El Diablo”, è difficile farsi accettare come un Nuovo Angelo capace di guidare un piccolo sulle vette più alte. Enzo Esposito, straordina­rio talento cestistico ed ex bomber di razza, allo scetticism­o nei suoi confronti è abituato da sempre. La scorsa stagione gli venne affidata una Caserta con un record di 0-14 e lui la portò a giocarsi la salvezza all’ultima gara con Pesaro; dimostrand­o di essere diventato anche un allenatore vero, capace non solo di gridare «forza!», ma di far giocare alle sue squadre un buon basket.

Oggi, scelta la panchina di Pistoia, dopo tre giornate è primo in classifica insieme con la Reggiana. Con una società il cui budget è tra i più bassi della serie A. «Avevo offerte anche dall’estero: ho preferito scegliere la piazza che mi dava più tranquilli­tà».

Pistoia pratica un gioco d’altri tempi? Forse, e per due motivi.

«La nostra è una squadra giovane, la media non arriva ai 25 anni - dice l’ex guardia dei Toronto Raptors, oggi 46enne -. E i miei ragazzi (Lombardi, Mastellari, Severini, ndr) stanno

ALTRI TEMPI.

giocando minuti veri, non vanno 20” in campo solo per dar respiro ai compagni. Poi abbiamo Kirk (16,7 punti e 8,7 rimbalzi di media in A, lo scorso anno 4 gare a Cleveland ndr). E’ un pivottone bianco vecchio stile che viene servito e utilizzato sotto canestro: non sa soltanto prendere rimbalzi o dare stoppate, questo sa giocare a pallacanes­tro, sa leggere bene le situazioni. Avere un lungo così, al quale non devi ripetere dieci volte le stesse cose, è come avere un altro playmaker in quintetto. Puntare su un centro come Kirk significa fare vecchia pallacanes­tro? No, non sono tornato indietro e non sto inventando nulla: credo sempliceme­nte in quello che mi hanno insegnato, ovvero che l’asse play-pivot è fondamenta­le. E, a proposito, noi ogni settimana lavoriamo sui fondamenta­li, sessioni a cui partecipan­o anche gli americani».

Sarà, però anche Pistoia, come club e come cittadina, ricorda i piccoli centri che tra gli anni 70 e 90 sono stati la linfa vitale del nostro basket.

«Lavorare qui è una fortuna, è come essere in una piazza a conduzione familiare: giocatori, staff, tifosi, sono tutti parte integrante di un’unica casa. E questo ci spingere a lavorare ancora di più. Io ad esempio mi sento viziato

PISTOIA-CASA.

e coccolato, un po’ come mi è accaduto a Imola».

Esposito come guardia ha debuttato ad appena 15 anni. Oggi, da coach, ammette: «Dal punto di vista organizzat­ivo ed economico dare sempre più spazio agli italiani è complicato, dal punto di vista tecnico è fattibile. Ma poi bisogna mandarli in campo e farli giocare davvero, e allo stesso tempo pretendere che questo spazio se lo guadagnino, in settimana e la domenica, andando sul parquet

MOMENTO STORICO.

senza paura. Non devono pensare che, in quanto italiani, gli sia dovuto un certo minutaggio. Se queste condizioni dovessero essere rispettate, allora da questa gioventù potremmo tirare fuori “roba buona”».

E le squadre italiane che combattono contro la crisi, gli impianti inadeguati e stranieri non sempre all’altezza della serie A, che dovrebbero fare?

«In questo momento storico, per me non è tanto importante vincere, ma costruire».

«Il nostro Kirk è un pivottone bianco vecchio stile: con lui è come avere due play in campo»

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Vincenzo Esposito, 46 anni, coach della Tesi Group Pistoia

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