Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
«LAZIO, GOL ED ERRORI CON SCIREA VICINO SAREI STATO AL TOP»
«I biancocelesti nel destino, ma poi sbagliai per troppa superficialità Con Bearzot litigai per presunzione, ora dico: aveva ragione»
ionello Manfredonia aveva un portamento austero, quasi aristocratico, in campo. Giocava a testa alta, con sicurezza. Era capace di contrastare, per questo fu utilizzato in difesa, e di impostare, per questo fu utilizzato a centrocampo. Il calcio, come abbiamo raccontato nei precedenti colloqui è, in genere , uno sport che fa nascere i suoi campioni nelle fasce più povere della popolazione. Voglia di riscatto, disponibilità al sacrificio, adattabilità alla durezza del gioco. Manfredonia è uno dei rari casi di giocatori che nascono in una famiglia di ceto alto e che ce l’hanno fatta. In questa conversazione Manfredonia parla con sincerità anche dei suoi errori e non è una cosa frequente. Della sua vita da laziale, e non solo.
«Era destino. Sono nato in Piazza della Libertà, dove fu fondata la Lazio. La mia famiglia era della media borghesia romana, mio padre avvocato e mia madre casalinga. Andavo a scuola al Marcantonio Colonna, un liceo classico privato gestito da preti irlandesi. Mio padre era perplesso, mi diceva “Se vuoi giocare gioca, ma studia per avere delle alternative”. Penso immaginasse che avrei continuato una lunga tradizione familiare. Ma le cose sono andate diversamente».
Come ha cominciato?
«Tirando calci al pallone in cortile. Come in un film, o in una favola, la mia vita cambiò perché un condomino mi guardava giocare dalla finestra, pensò che fossi bravo e mi convinse a fare un provino al Don Orione. Avevo dodici anni. Era la prima volta che giocavo con la formazione a undici. Me la cavai e indossai la mia prima maglietta, tutta bianca con una croce nera. Me la cavavo e allora l’allenatore che aveva un cognome adatto per lavorare al Don Orione, si chiamava Paradiso, mi portò a fare provini con Juve, Inter, Fiorentina. Mi bocciarono tutti. Ma tanto io sapevo che se anche mi avessero preso mio padre non mi avrebbe fatto andare via di casa così presto».
«Visto il lavoro di mio padre, tutti pensavano che fossi raccomandato. Ma nel calcio non vale»