Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
DE BIASI «HO RIUNITO UN POPOLO»
L’Albania sarà per la prima volta all’Europeo grazie al lavoro di un italiano e del suo staff «Alla base volontà, orgoglio e talento»
Una qualificazione storica all’Europeo, una laurea honoris causa in scienze sociali, il Paese ai piedi come si fa con gli eroi nazionali. Gianni De Biasi è l’italiano più famoso d’Albania e se consideriamo che da sette mesi è anche cittadino onorario lì, è anche tra gli albanesi più celebri. Ci scherza su ma quando parla della sua tesi di laurea e di quello che sta ricevendo da un Paese a cui ha sicuramente dato tanto, diventa profondamente serio e orgoglioso. «In questa Nazionale, sotto un’unica bandiera - si legge nella tesi - si uniscono individui che si sentono albanesi, d’animo, e di sangue. L’appartenenza albanese associata ai successi internazionali, a una immagine rinata positivamente, rappresenta un grande contributo alla storia moderna del Paese».
Un grande risultato sul campo: storico. Accompagnato da quali sensazioni personali?
«C’è una grande soddisfazione e un grande orgoglio nell’aver raggiunto il traguardo storico della qualificazione all’Europeo in un Paese piccolo come l’Albania. E poi c’è la consapevolezza di averlo fatto in uno dei gironi più difficili: squadre come Portogallo, Serbia e Danimarca hanno valori tecnici superiori ai nostri, oltre a tradizione e strutture diverse».
A chi livello è il calcio albanese?
«La Federazione sta lavorando molto per cercare di crescere e far crescere tutto il movimento. Le strutture mancano, gli stadi sono datati. Quello che non manca è la volontà e soprattutto il talento di strada che trovi nelle realtà piccole e povere. E noi abbiamo fatto leva anche su questo. Con la guerra nei Balcani tanti albanesi sono emigrati in Italia, Germania, Francia. E lì hanno fatto esperienze nuove che ci sono anche servite per formare un gruppo alla fine vincente».
La migliore squadra albanese dove giocherebbe in Italia?
«In una B di mezza classifica. Il Modena che avevo io in B o in C vince il campionato tutti gli anni in Albania».
Come si monitora il territorio a caccia di potenziali nazionali da cooptare nel progetto?
«Paolo Tramezzani lavora con me e gira tutta l’Europa. Il nostro lavoro più grosso è stato quello di convincere i nostri ragazzi all’estero a venire a giocare per la nazione madre. E con tanti ce l’abbiamo fatta. Oggi è cambiato anche l’appeal dell’Albania, adesso ci chiamano anche per venire da noi. E noi ai ragazzi che abbiamo riportato qui abbiamo detto che c’era l’occasione per tentare una grande impresa ed entrare nella storia. Ci presero un po’ per matti in Albania: e invece...».
C’è stato un calciatore-pilota che ha aperto la strada ai ritorni in patria?
«Basha. Aveva già giocato alcune partite nell’Under 21 svizzera, fino a prima del nostro arrivo tutti pensavano che non fosse possibile recuperarlo con un cambio di federazione. Un avvocato italiano che vive a Londra e che conosco, mi ha indicato la strada. Da lì si è aperta una breccia con i vari Paesi, a cominciare dalla Svizzera che sotto questo profilo, dei passaporti, è la nostra prima... antagonista».
Ci racconta gli “italiani” d’Albania rimasti ora che Cana ha lasciato la Serie A?
«Hysaj ha un destino segnato: ha 21 anni e una personalità straordinaria. Sapevo che passando da Empoli a Napoli sarebbe andato al doppio. E ha margini di miglioramento oltre che duttilità tattica. Berisha paga il fatto di avere davanti Marchetti, ma questa esperienza lo formerà. Lui è tutto istinto e qualità naturali, non ha avuto una scuola di portieri. Sta migliorando e spero che possa giocare con maggiore continuità: sarebbe un bene per noi e per la Lazio. Quanto a Memushaj del Pescara, mi chiedo perché giochi in B. Ha tutto, qualità tecnica, fisicità, gioca con la testa».
E con Manaj dell’Inter come è andata? L’ha fatta arrabbiare un po’...
«Ma no, lì c’è stato un equivoco. Gli hanno riportato una cosa per un’altra. Io avevo solo detto che lui ha talmente voglia di far parte della nostra Nazionale che tempesta di messaggi Paolo (si volta a guardare Tramezzani, ndr) e un po’ anche me. Ma lo dicevo in senso positivo. Lui ha buttato lì una cosa, poi ha chiesto scusa, ci siamo visti. Ha personalità, ha buone doti. Deve crescere con gradualità».
La svolta per l’Europeo è stata la partita in Portogallo?
«E’ stata una grossa iniezione di fiducia. Poi la Danimarca in casa che per me è un’ottima squadra, con un talento come Eriksen. Considerate che i nostri tifosi li troviamo ovunque, hanno una passione paragonabile ai tifosi del Napoli. Erano in 500 anche in Islanda. Per me la partita più bella l’abbiamo fatta a Rennes con la Francia, loro al completo, abbiamo pareggiato. Lì ho capito che avevamo qualcosa da dire».
Tra le piccole sorprese dell’Europeo quale l’ha stupita di più?
«L’Islanda. L’Austria ha nomi troppo importanti».
La finale di Francia 2016?
«Il Belgio può essere la sorpresa, anche se guidano il ranking quindi tanto sorpresa magari non è. Poi se la giocano Germania, Italia e Spagna. La Francia potrebbe sentire troppa pressione: tipo il Brasile in Brasile...».
Se la immagina Italia-Albania all’Europeo? E all’inno?
«Sarebbe un’emozione. E sarebbe molto tosta. L’inno? Canterei quello italiano e farfuglierei quello albanese. Anche se qualche parola nella loro lingua la so».
Ma questo miracolo Albania può diventare qualcosa che dura nel tempo? Ora ci sono le qualifiche mondiali...
«Possiamo crescere e migliorare, il problema è capire se questo meccanismo che si è innescato può andare avanti perché il sistema calcio e il sistema Paese devono poter camminare sulla stessa lunghezza d’onda. Per le qualifiche mondiali basta che ricordi le avversarie: Spagna, Italia, ci siamo noi. Passa una e l’altra va ai play off. Vi basta?»
Perché è andato via dall’Italia?
«Ero stanco di prendermi carico di pesi che non erano miei. Volevo rifare quello che ho fatto a Ferrara, a Modena, a Torino il primo anno: allenare, progettare, scegliere calciatori. In Italia sei sempre messo in discussione, non si guarda il lavoro. Il guardiolismo ha fatto danni. Di Guardiola ce ne è uno, gli altri sono esperimenti improvvisati a basso costo. Io dopo Ferrara o Modena e i campionati vinti sono andato al Brescia. Se mi fosse successo oggi sarei andato... forse al Milan».
Il complimento più bello che ha ricevuto?
L’impresa «E’ il battesimo di un Paese piccolo in una grande kermesse dopo un girone tosto»
La sfida «Abbiamo convinto chi era partito a tornare e vestire la maglia della casa madre per sognare»
Gli “italiani” «Hysaj un leader Berisha crescerà ancora. Non so perché Memushaj non giochi in A»
Il caso «L’interista Manaj? Ha frainteso le mie parole ma poi si è scusato: deve poter maturare»
L’Italia «Sfidarla in Francia sarebbe durissima Canterei i due inni Io via perché da noi questo mestiere è poco rispettato»
«Mi ha reso orgoglioso la laurea honoris causa in scienze sociali perché mi ha dato il senso dell’importanza di aver riunito un popolo diviso dalla diaspora, tutti sotto la stessa bandiera e tutti dietro alla nostra Nazionale».