Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)

Rugby mondiale gli All Blacks ancora in trionfo

Ultimo regalo di Carter, ora per la Nuova Zelanda sarà rivoluzion­e

- di Marco Evangelist­i

Tutto quello che vorreste sapere sul rugby, tutto insieme in una sola partita, non bella se volete, una distesa di acqua scura, una tavola di mare notturna in cui si riflettono i lampi del cielo. E’ un vasto luogo comune questa finale della Coppa del Mondo, la rabbia, la sofferenza, il dominio, la rimonta, si gioca in 23 contro 23 perché nessuno resta fuori e alla fine vincono gli All Blacks.

Non è come nella storiella, non accade sempre che la Nuova Zelanda esca intera e festante. Però succede spesso. Sono tre coppe con questa, più titoli mondiali di chiunque altro, ma per la prima volta fuori di casa, proprio nell’Inghiltera in cui tutto cominciò, il rugby, la storia stessa dell’Emisfero Sud vista dalle pupille europee. Loro sono i migliori e forse adesso ricomincer­anno da capo, con una generazion­e appena sbocciata nel cerchio della vita. Dan Carter piega la partita come un origami, a suo piacere e a sua volontà. Segna 19 punti, soprattutt­o schianta la riscossa australian­a con un drop da dentro una gabbia e una punizione da cinquanta metri, viene eletto uomo del match e adesso probabilme­nte smette di navigare per il mondo vestito di nero. Ma per esempio Richie McCaw è sereno e non sazio, «orgoglioso di vivere questo momento, di essere parte della prima squadra capace di difendere il titolo. Perché dovrei desiderare di essere altrove, d’ora in poi?».

Carter scolpisce l’aria con i suoi calci da qualsiasi punto del campo, «soffiavo, soffiavo, il pallone volava e io pensavo alla finale negata di quattro anni fa, quando ero infortunat­o». E’ l’uomo a cui si aggrappa la squadra negli attimi in cui si scivola, però non è mai solo. Gli All Blacks sono assai più temibili di qualsiasi delle maschere di Halloween che riempiono le tribune di Twickenham e se per dieci minuti rabbrividi­scono è solo perché Ben Smith a un certo punto ribalta Mitchell e si fa cacciare. In quei dieci minuti l’Australia si accende, comincia a brillare e a scottare, arriva a quattro punti dopo essere stata in fondo a una fossa di 18, scarto mai recuperato da nessuno in una finale di Coppa.

Ma questa partita è stata un luogo comune. La Nuova Zelanda ha una seconda linea che è un muro di ghiaccio e acciaio, ha Ma’a Nonu e Savea che inchiodano ai loro doveri due avversari alla volta. L’Australia ha la piratesca consapevol­ezza che la vita va abbordata e la lucidità necessaria a non lasciar prendere velocità al pallone. Finché è possibile. A un certo punto non lo è più e il gioco reclama la sua logica. Il principe Harry solleva la Web Ellis Cup, la consegna a McCaw e quel macigno di metallo si alza verso l’alto, improvvisa­mente leggero.

Australia indomita però i campioni non falliscono Primi a imporsi due volte di fila

Un drop pazzesco dell’apertura frena la rimonta: «Quel pallone è rimasto in aria un’eternità»

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Carter (33 anni), McCaw (34) e Nonu (33) con la coppa
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GETTY Richie McCaw, 34 anni, a sinistra, e Dan Carter, 33 anni, sollevano la Coppa circondati dalla marea nera degli All Blacks

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