Corriere dello Sport Stadio (Nazionale)
DONADONI «IL MERITO E’ ANCHE DI ROSSI»
Il tecnico da signore: «Ho cercato solo di dare certezze»
Quando l’arbitro fischia la fine, Roberto Donadoni batte tre volte le mani, si tocca un paio di volte all’altezza del taschino della giacca (controlla che ci sia il telefonino?), riceve gli abbracci dei suoi collaboratori, che però sono costretti a rincorrerlo, perché lui sta già infilando il tunnel e rientrando negli spogliatoi, c’è solo il tempo per alzare pudicamente la mano per ringraziare la curva che lo applaude. Piace proprio per questo, il taumaturgo del Bologna; per la sua serietà. Non aizza le folle, magari le conquista. Poi in sala stampa il primo pensiero sarà per il collega Delio Rossi, con cui si era intrattenuto a cena giovedì nel giorno del suo primo allenamento (incontro breve ma costruttivo, che la dice lunga sullo spessore dei due), dice, Donadoni, che «merito di questa vittoria è anche di Rossi, certo, io ho dato qualche concetto, ma tutto il resto del lavoro è stato fatto in precedenza». Piace anche per questo, l’uomo che ha sbloccato il Bologna, dopo che il computer di bordo si era inceppato (spegni, riaccendi), piace perché anzichè fare tre passi avanti ne fa uno indietro e riporta il calcio alla sua semplicità: non esitono le bacchette magiche e quattro allenamenti non sono bastati ad Einstein per la teoria della relatività (E=mc2).
CERTEZZE ED EMOZIONI.
«Ora bisogna essere bravi e veloci a capire tutto», spiega Donadoni, che è già proiettato in avanti. «Ho vissuto questi giorni in accelerata, tanto che le emozioni non sono riuscito a godermele». Ce ne sono state, di emozioni. Donadoni, lo sappiamo tutti, è reduce dalla più sbrindellata e tormentata delle stagioni, quella che ha visto il Parma precipitare nell’incubo, «step by step», come direbbe qualche manager. Di quel Parma Donadoni è stato il condottiero, che con mano salda e mente lucida ha evitato che il dramma si trasformasse in farsa. Se nessuno - da quelle parti - ha sbracato, un po’ di merito è stato anche suo. Si aspettava più riconoscenza, invece il campionato è iniziato senza di lui. «Ora bisogna crescere in fretta, questa città merita di stare in A». Che segno ha lasciato Donadoni? Qualcosa (di suo) ci ha messo di sicuro. I cambi, per esempio. Fuori Ferrari, dentro Maietta, Rossettini a fare il terzino: difesa più equilibrata. Fuori Donsah, Brienza mezzala (bella idea). «Il calcio è fatto di convinzione, io ho cercato di dare quella. Qui c’è materiale per costruire qualcosa. I ragazzi avevano bisogno di tutto fuorché di confusione». L’analisi della partita è presto fatta. «Nel primo tempo l’Atalanta è stata più quadrata, ha avuto due occasioni ma non le ha sfruttate. Il gol nella ripresa ci ha sbloccato, quando segni poi cresci in convinzione. Si era sempre detto che questa squadra calava nella ripresa, invece stavolta abbiamo alzato il ritmo. Abbiamo avuto lo spirito giusto. Cosa ho detto a Destro? Che volevo da lui due corse in meno, ma più aggressività».
I VALORI.
La gioventù, questa volta, è stata un valore premiato dal risultato. «Siamo giovani, cresceremo ancora. Diawara e Masina? Hanno tutto il futuro davanti a loro. Sono ragazzi «giusti», umili senza essere remissivi, hanno carattere e voglia di affermarsi». Alla gioventù si è unita l’esperienza di due over 30 che - entrati nella ripresa - hanno saputo dare spessore e brillantezza alla squadra. «Maietta è entrato in campo benissimo - chiude Donadoni - e anche Brienza ha fatto molto bene. L’ho schierato al posto di Donsah, come mezzala, perché non volevo dare alla squadra un segnale negativo. Volevo che si capisse che, inserendo un giocatore con spiccate qualità offensive, noi la partita la volevamo vincere». E’ andata esattamente così.
«Il resto è lavoro che è già stato fatto in precedenza. Ora bisogna essere bravi e veloci a capire»
«Cosa ho detto a Destro? Che volevo da lui due corse in meno ma più aggressività»