Corriere dello Sport Stadio (Toscana)
Donadoni: Bologna seguimi salvezza con i gol di Destro
«Chiedo cose semplici, ora limitiamo i danni. Possiamo farcela»
Cita Al Pacino (per caricare il gruppo) e Nils Liedholm (per sdrammatizzare). Citazioni azzeccate. Parla con una serenità che gli deriva parimenti dalla naturale inclinazione del bergamasco che sa come va il mondo (piove, apri l’ombrello) e dall’abitudine a quella perversione che si chiama golf: ha un buon handicap, potrebbe giocarsela con i professionisti, è stato iniziato al gioco dai compagni ai tempi del Milan, Van Basten e Tassotti, la scorsa settimana era a Brescia che si esibiva con Luca Bucci, preparatore dei portieri che ha voluto con sé a Bologna. Il tono della voce è volutamente monocorde, la linea della bocca di frequente si stira in un accenno di sorriso: sembra stia conversando con un conoscente al bordo della piscina, mentre vede il figlio fare le vasche, avanti e indietro. «Scusi, e Destro che non segna?». «Mah sì, dai che non ha dimenticato come si fa gol». Rilassato? Di più. E’ vestito tutto di verde, come un elfo. L’impressione è di una serietà concreta. Niente fuffa. Niente slogan. Dice che gli è piaciuto Joey Saputo perché «misura le parole e dà loro il giusto peso». E’ al quinto subentro di una carriera che ha avuto i suoi zenit con il biennio in nazionale (2006-08, fuori ai quarti di finale degli Europei, eliminato dalla Spagna che poi avrebbe sbranato il mondo) e dal ciclo di Parma, ottimi risultati (il top un 6° posto, Europa League negata per la licenza Uefa: fu l’inizio della fine) prima dell’ultima tormentata stagione, da incubo o da reality show, dipende dalla prospettiva. Ogni volta che è salito sulla giostra in corsa ha fatto bene, prima ha «normalizzato» il contesto, poi ha lasciato l’impronta. A Bologna l’hanno chiamato per questo. Per condurre alla salvezza una squadra che ha perso otto delle prime dieci partite, che sta al terzultimo posto (a -4 dalla quartultima) e che segna meno di tutti in serie A (6 gol).
SERENITA’ E STIMOLI. Ha un contratto fino al 2017, ha portato con sé cinque collaboratori (Gotti, Bortolazzi, Andreini, Olive e Bucci), scansa la questione del modulo perché «il primo anno da allenatore pensavo di far giocare la squadra come giocavo io nel Milan e invece ho cambiato tutto e subito. Bisogna adattarsi ai giocatori, altro da fare non c’è», partirà con un 4-33, o comunque con la difesa a quattro «perché non è intelligente stravolgere le cose, poi strada facendo vedremo». La scheda tecnica elaborata dal Bfc 1909 lo ricorda come un «talentuoso centrocampista», ma la definizione è riduttiva: da calciatore Donadoni ha riassunto fantasia e geometrie, è stato forse la prima ala-regista dei tempi moderni, quelli cominciati con la rivoluzione di Arrigo Sacchi. Sapeva dribblare, da bimbo a Bergamo lo paragonavano a Beccalossi, dribblatore incallito; ma aveva in sé il dono della semplicità. Giocatori come era lui, in questo Bologna non ce ne sono; ma non se ne fa un cruccio. L’obiettivo di Donadoni è un altro: «I giocato-