Corriere dello Sport Stadio (Toscana)

Quando un palo ti cambia la storia

Mondiali, Europei, campionati, destini decisi solo da 12 cm...

- Di Furio Zara

Se quel palo sarebbe entrato era gol. Vabbè, non sottilizzi­amo sull’uso dei congiuntiv­i, il senso è chiaro. La frase epocale su tutta la questione è questa, l’ha detta Ruggiero Rizzitelli. Tirò, palò, fece strage di congiuntiv­i. Urss-Italia 0-0, azzurri eliminati, niente Euro ‘92. Per un pelo, palo. Il confine tra santità e dannazione è largo dodici centimetri. Il palo fa il suo dovere. Respinge. (Faceva il palo perché l’era el sò mestee, Jannacci, quello della Banda dell’Ortica). Un palo che non para è una sòla. Questa la disse Trapattoni, in anni in bianco e nero; quando anche i pali si scansavano al potere della Juve. Resta il fatto che il palo non si muove. Non ha coscienza, non ha memoria. Sei tu (il tuo tiro) che va a sbattergli contro; oppure c’è Reina - dopo il legno di Jovetic - che si stende in tuffo e manda lì il pallone proprio lì. A Napoli già hanno trovato lo slogan: San Palo.

SLIDING DOORS. Giochiamo: che piega avrebbe preso la Storia se il palo fosse stato gol? Bè, per esempio l’Olanda avrebbe vinto il Mondiale del ‘78: tiro di Rensenbrin­k all’ultimo minuto, palo, anzi no, gol, niente supplement­ari, Argentina nel dramma, non osiamo immaginare cosa avrebbero potuto fare i generali che quel Mondiale casalingo l’avevano organizzat­o per un solo motivo: vincerlo. Bè, per esempio un palo e una traversa - Scholl e Jancker del Bayern - ci avrebbero negato la centrifuga di emozioni con cui il Manchester Utd nel ‘99 ribaltò la finale di Champions. Bè, per esempio forse avremmo vinto un Mondiale (traversa di Di Biagio nel ‘98, noi fuori ai quarti, Francia avanti) e ne avremmo perso un altro (traversa di Trezeguet nel 2006 a Berlino, quello che prende la rincorsa adesso è Grosso). Bè, per esempio il Toro di Mondonico avrebbe vinto la Coppa Uefa del ‘92 contro l’Ajax. All’andata (0-0), palo di Casagrande, palo di Mussi, traversa di Sordo. Bè, per esempio, il Bologna la scorsa estate non sarebbe salito in A: la traversa sotto la curva Bulgarelli respinse non una non due bensì tre volte le speranze dell’Avellino (semifinale) e Pescara (finale). Il processo di beatificaz­ione è tuttora in corso. Bè, per esempio, la Lazio avrebbe vinto l’ultima Coppa Italia: 1-1, 6’ del supplement­are, palo-palo di Djordjevic, subito dopo gol di Matri, coppa alla Juve.

PALO PER SEMPRE. I legni - che legni più non sono, è come quelli che riferendos­i al pallone dicono: il cuoio, ignorando che il pallone ha smesso di essere di cuoio quando Rita Pavone era un’emergente - fanno parte del gioco. Bisogna farseli amici, i pali. Nando Coppola, oggi terzo portiere a Verona, quando giocava ad Ascoli col nastro adesivo attaccava il santino della Madonna di Loreto al palo sinistro della sua porta. Quando Nando si stendeva in volo, la Madonna stendeva il suo velo. Che poi un palo è per sempre. Pinilla l’anno scorso si è fatto tatuare il disegno del suo tiro che sbatte sulla traversa negli attimi conclusivi dell’ottavo tra Brasile e Cile. Ci vuole del fegato. E una certa dose di masochismo. Se segnava diventava l’eroe di un popolo, invece ha preso la traversa, e oggi è solo un giocatore con un assurdo tatuaggio, fate voi.

I due “legni” dell’Inter al San Paolo arricchisc­ono una lunga tradizione

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GETTY IMAGES Il palo colpito da Miranda (con deviazione di Reina)

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