Corriere dello Sport Stadio (Toscana)

La guerra è vicinissim­a ma si pensa a nuotare

Siria a pochi km: oggi il via in Israele, tutto esaurito per Pellegrini & c.

- di Paolo de Laurentiis

I bambini tornano a casa da scuola a piedi, da soli, con la cartella in spalla. Subito dopo pranzo qualcuno di loro scende in spiaggia per una lezione di surf: la temperatur­a (22 gradi) e le onde rendono l'atmosfera ideale per gli ultimi bagni. Ma se entri in un centro commercial­e ti chiedono cortesemen­te di aprire lo zaino. Cortesemen­te, ma devi farlo controllar­e.

Netanya accoglie i Campionati Europei di nuoto in vasca corta nel modo più naturale possibile. Il sindaco (anzi, la sindaco) Miriam Feirberg ringrazia la Len - la Lega Europea di Nuoto - e gli atleti per essere venuti qui, in un momento così difficile. È sincera, si vede. Perché continua a stringere mani anche dopo la conferenza stampa ufficiale. Gli attentati di Parigi e la controffen­siva in Siria aggiungono inquietudi­ne a un Paese, Israele, che vive in conflitto da decenni. Ancora oggi, nel terzo millennio, ci sono paesi arabi che non ti fanno entrare se sul passaporto hai il timbro israeliano. A sud la striscia di Gaza, con i missili che possono arrivare fino a Tel Aviv, una manciata di chilometri da Netanya. A nordest la Siria bombardata in seguito ai fatti di Parigi: tra Tel Aviv e Raqqa ci sono 580 chilometri. Tra Roma e Milano sono solo un centinaio di meno, per rendere l'idea.

CALMA APPARENTE. Il campionato europeo comincia oggi in questa atmosfera di calma apparente. Un grosso lavoro di controllo è stato fatto a monte, prima della partenza: una volta arrivati a Tel Aviv tutto fila liscio e anche velocement­e (a parte il traffico degno del raccordo anulare): l'importante è stare nell'elenco giusto. Sarà la loro abitudine a vivere in modo normale una situazione precaria, ma sembrano davvero non fare caso a quello che potrebbe succedere. E di cui nessuno parla, se non con mezze frasi. «Qui è tranquillo». Ed è il “qui” a fare la differenza. Perché poco distante è tutta un'altra cosa.

La filosofia di Greg Paltrinier­i spiega molto: «È vero, sono successe tante cose nelle ultime settimane. Ma oggi qual è un posto sicuro? Penso sia impossibil­e rintanarsi in casa senza fare niente, è giusto continuare le nostre vite nel modo più normale possibile». Federica Pellegrini ne avrebbe fatto volentieri a meno e lo ha anche detto apertament­e nei giorni scorsi, ma ora appare tranquilla: «Sono rassicurat­a dalle misure di sicurezza, ero più che altro preoccupat­a per il viaggio». Gli azzurri alloggiano a una decina di chilometri dalla sede della gare: non è certo un hotel a cinque stelle ma una sistemazio­ne dignitosa. Con loro anche altri atleti. Gli spostament­i sono esclusivam­ente con il pullman che li porta direttamen­te in piscina.

IL DOPO-PARIGI. Le incertezze del dopo-Parigi non hanno mai messo seriamente a rischio la manifestaz­ione. C'è stato un tentativo ungherese nell'ottobre scorso - e quindi precedente ai fatti francesi - rispedito immediatam­ente al mittente da parte della Len. Budapest voleva l'Europeo anche (o forse soprattutt­o) per rifarsi un'immagine dopo le discusse scelte contro i rifugiati siriani. La sede delle gare, il Wingate Institute di Netanya, è un centro sportivo che può ricordare l'Acqua Acetosa. Non è blindato e anche in questi giorni è frequentat­o da studenti che vivono a contatto con gli atleti: in tribuna - 2.500 posti - si annuncia il tutto esaurito per tutte le giornate di gare (il via oggi, chiusura domenica). Un solo paese - la Germania - ha dato libertà di scelta agli atleti: «Se non ve la sentite, state a casa». Nessuna rinuncia. Sarà un'edizione record, con 48 paesi e 500 atleti in vasca. Tutti insieme: dai russi ai turchi o il neonato Kosovo, presente con due atleti. Perché come accade sempre più spesso, lo sport unisce quello che politica e religione cercano di dividere.

La calma regna sia negli edifici dove sono ospitati gli atleti sia nella sede delle gare

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