Non bastava l’inghilterra
Contro l’italia due “dinastie” polinesiane
LONDRA - «A Twickenham? Non ci abbiamo mai giocato veramente. Sei nella casa del rugby e ti senti sempre sotto esame, come se dovessi giustificare ogni volta il solo fatto di esserci. E' un problema psicologico» . Massimo Giovanelli, capitano dell'Italia che negli anni 90 abbatté a spallate le porte dell'allora Cinque Nazioni, parla con il Daily Telegraph e mette il dito nella piaga. Twickenham, che sta al rugby come Wembley al calcio e Wimbledon al tennis, è l'incubo di tre generazioni di rugbisti azzurri. Incapaci non solo di vincere, ma anche solo di esperimersi sotto le pareti di pubblico e di storia dell'HQ (headquarters), il quartier generale del rugby inglese. Qui ne abbiamo presi 80 nel 2001, peggior punizione di sempre nel Torneo, e ancora 59 due anni orsono, quando l'ala Chris Ashton segnò 4 delle 8 mete dei bianchi. «Giocare una grande partita a Twicken- LONDRA - Non c'è rosa senza spine. Anche se la rosa è quella dei Lancaster e campeggia sulle maglie bianche dell'Inghilterra ovale. Equiparati, sì o no? A queste latitudini la polemica è aperta. Perché ormai l'esclusivo Pennyhill Park Hotel a Bagshot, l'eremo dei bianchi di Stuart Lancaster, è un porto di mare. E passi per i sudafricani (Barritt, Botha, Fourie) o i neozelandesi (Hartley, Waldron), pronipoti dei Colonials. Ma a molti l'invasione dei polinesiani stenta ad andar giù. Possibile che un Paese che conta due milioni di giocatori di rugby - venti volte l'Italia - non possa fare a meno di Manu Tuilagi e Mako Vunipola? Possibile, visto che i due guerrieri delle isole partono oggi titolari contro gli azzurri a Twickenham, dove tre mesi fa sono caduti gli All Blacks. Routine per il primo, che a 21 anni ha già alle spalle un Mondiale; prima assoluta per il secondo, che a 22 aveva sin qui qualche cap da panchinaro.
Tuilagi e Vunipola sono la punta di un iceberg che promette di trasformare il rugby inglese in colonia delle sue ex colonie. Samoano il primo, tongano il secondo, vengono da straordinarie dinastie ovali. Manu è l'ultimo di sette figli: sei rugbisti (Freddie, Henry, Alesana, Andy, tutti nazionali samoani, e Vavae), ed uno allevato come... una donna (Julie, al secolo Olotuli), secondo un'antica tradizione polinesiana. Mako è il pri- Panchina - INGHILTERRA: 16 Hartley, 17 Wilson, 18 Marler, 19 Lawes, 20 Croft, 21 B. Youngs, 22 Burns, 23 Twelvetrees. ITALIA: 16 Giazzon, 17 Lo Cicero, 18 Cittadini, 19 Pavanello, 20 Minto, 21 Favaro, 22 Botes, 23 Benvenuti. Arbitro: Clancy (Irlanda) Si gioca a: Twickenham, ore 16. In Tv: diretta SkySport 2, ore 16; differita La7, ore 18. mogenito di Fe'ao, ex capitano di Tonga, uno dei sette rampolli (Satisi, Kapelilei, Viliami, Manu, Elisi, Sikuti gli altri, tutti nazionali) di Sione, ex poliziotto e terza centro con 5 caps.
Il fratello di Mako, Billy, ventenne, è già nella “rosa” inglese. Tuilagi è un centro di 112 kg, Vunipola un pilone sinistro di 130 (!). Forza, potenza e mobilità sono scritte nei cromosomi, la tecnica l'hanno affinata alla scuola del rugby inglese. GUAI - Il vero nome di Manu è Manusamoa. Glielo diedero perché nacque il giorno in cui Freddie debuttava in Nazionale. Papà Vavae è un ex politico, mamma Ali'itasi gestisce un negozio di alimentari. Cresciuto giocando a piedi scalzi sulla spiaggia, a 13 anni Manu ha raggiunto i fratelli a Leicester con un visto turistico di sei mesi (mai rinnovato). Per studiare. Studiare e placcare. «Per lui placcare un avversario, intimidirlo, era più importante che segnare una meta» racconta oggi un suo professore del liceo.
La convocazione per l'Inghilterra U.16 impose una riunione di famiglia. «Dovevo o no tradire le Samoa? I miei fratelli hanno deciso per me» . Da allora una pioggia di mete e di guai. A 19 anni saltò fuori il visto scaduto: ci volle una campagna mediatica e politica per evitargli l'espulsione. A 20 una scazzottata con Chris Ashton stava per costargli la Coppa del Mondo: venne convocato perché batte tutti i compagni, avanti inclusi, alla panca e nella lotta.
In Nuova Zelanda, due mete e 7.500 euro di multe tra un paradenti sponsorizzato e un tuffo dal traghetto nella baia di Auckland (!). Da allora s'è redento e in novembre ha distrutto gli All Blacks con una meta d'intercetto e due assist. «Il modo migliore per fermare Tuilagi? Chiuderlo in spogliatoio» scherza amaro il c.t. azzurro Brunel. Per l'Italia, oggi, è il pericolo numero uno.
SCELTA - Il vero nome di Mako è... Mako. Lui è arrivato in Europa a 8 anni con il padre, ingaggiato dai gallesi del Pontypool, e la madre Iesinga, pastore metodista. Da Pontypool a Bristol, ad High Wycombe seguendo la famiglia. Sino a finire come Tuilagi nel mirino degli scout inglesi e nel programma di sviluppo allestito proprio da Lancaster, l'attuale c.t.
«Ho provato a convincerlo a giocare per il Galles - dice oggi papà Fe'ao - E' grazie al Galles se siamo qui» . «Ma lui ci ha sempre detto che dobbiamo sforzarci di essere i migliori ed è per questo che ho scelto l'Inghilterra» ribatte Mako. E' un pilone dalla potenza esagerata, che oggi sosterrà l'esame di laurea contro il nostro Castrogiovanni. «La polemica sugli equiparati non mi tocca - dice - Io vado in campo e do tutto per mostrare il mio amore per l'Inghilterra» . La nuova Inghilterra multicolore. Piaccia o no. ham sarebbe un segno di maturità» conclude Giovanelli.
«Non è lo stadio, è l'Inghilterra che in casa è una brutta bestia per chiunque» svicola Sergio Parisse, il capitano (ritrovato) dei nostri giorni. Prima di ammettere che «dobbiamo pensare poco all'ambiente e molto a noi, ritrovare la strada smarrita dopo la Francia. Ai ragazzi dirò: proviamo a cambiare la storia dell'Italia a Twickenham, a non subire lo stadio e il contesto come in passato» .
In generale l'Italia tigre (o quasi) di Roma si trasforma in gattino oltre confine. «Inconsciamente fuori casa non abbiamo la stessa serenità che ci accompagna nel nostro stadio - riconosce Parisse, al rientro dopo la farsa della squalifica per il presunto insulto all'arbitro Cardona - Non sentire la differenza tra casa e fuori d'altronde è dote delle grandi squadre e noi ancora non lo siamo» .