Corriere dello Sport

SCHUMACHER BUIO E SPERANZA

A un anno dall’incidente di Michael, tra riserbo sulle sue condizioni e attesa di una svolta

- Di Fulvio Solms

Un anno per rifletterc­i sopra, un anno intero per renderci conto che è tutto incredibil­mente vero: il cervello che permise a Schumacher Michael da Hermülheim di diventare il grande Schumi oggi è in tilt e lo inchioda all’immobilità. Mani premurose e uno staff di medici e paramedici continuano però a bombardare di stimoli positivi il corpo passivo del campione, nella speranza che dia segni di presenza.

Il pilota più vincente di sempre, uscito indenne da vent’anni di Formula 1, il 29 dicembre dello scorso anno cadde in una di quelle trappole che sembrano poter inghiottir­e solo gente sprovvedut­a. Schumacher aveva imparato da grande a sciare, ma la sua mania di cercare la perfezione in tutto gli aveva permesso di acquisire un movimento fluido ancorché con gli sci un po’ larghi, in sicurezza.

Una leggerezza gli costò cara: in una giornata radiosa con il figlio Mick e alcuni suoi amici a Meribel, in Francia, sbagliò alla biforcazio­ne di un tracciato e decise di recuperare tagliando in fuoripista. Ricorderet­e come andò: un filo di neve celava appena le rocce sporgenti, uno sci si piantò su quelle tagliole e Michael andò giù, sbattendo tanto violenteme­nte la testa da rendere vana la protezione del casco. DAL BIANCO AL NERO. Schumacher dal bianco totale di Meribel fu risucchiat­o nel buio e stessa sorte toccò alla sua figura pubblica, giacché la famiglia elevò attorno a lui altissimi muri nel nome della privacy. Un comportame­nto anche comprensib­ile ma non senza punte di paranoia, che hanno avuto l’effetto di alimentare millanta ipotesi sul suo stato. Dell’eroe dei sette titoli mondiali e soprattutt­o dell’epopea Ferrari di inizio anni Duemila non si è saputo quasi più nulla, se non

Michael Schumacher, vincitore di sette titoli mondiali in F.1 (due con la Benetton e cinque con la Ferrari), sabato prossimo compirà 46 anni

Il luogo dell’incidente sulle Alpi francesi che dopo le operazioni neurochiru­rgiche e due lunghe degenze ospedalier­e era stato riportato nel settembre scorso nella sua reggia di Gland, in Svizzera.

Mura amiche, l’amore della famiglia, la presenza continua di uno staff medico di assistenza, un grande parco in cui mantenere il contatto con la natura, continui stimoli sensoriali. Ma i pochissimi amici autorizzat­i a fargli visita escono da lì con un senso di sgomento perché Michael, già infragilit­o dalla perdita di decine di chili di muscoli, non è presente.

Uno di essi ci ha riferito che i suoi occhi sono aperti ma non guardano né, forse, vedono. Schumi non controlla né analizza. La comunicazi­one a lui diretta è continua, ma una reazione finora non c’è stata. Il suo cervello ha subito quello che i neurologi definiscon­o un grave danno assonale, ma la domanda oggi è: arriva al suo cuore ciò che la moglie Corinna, i figli Gina Maria e Mick e gli affetti più cari cercano di trasmetter­gli?

Non possiamo escluderlo e anzi dobbiamo crederci, non essendoci al momento più un problema che la me- dicina possa risolvere. Intanto piccoli Schumi crescono giacché Mick - secondo tre mesi fa nel Mondiale Kart KF junior - a 15 anni ha già provato una Formula 4 e l’anno prossimo potrebbe debuttare con le monoposto. FORZA JULES. Pensando a Schumi non è possibile non abbracciar­e anche Jules Bianchi, vittima di un analogo danno neurologic­o ma per un incidente avvenuto in gara, come sappiamo con modalità assurde. Il percorso di una Formula 1 non dovrebbe mai incrociare quello di un trattore eppure è avvenuto, due mesi e mezzo fa nel GP del Giappone.

Michael e Jules erano amici, sono amici, entrambi interpreti - con tempi e modalità differenti - di una fede ferrarista. Il grande campione da poco ritiratosi (fine 2012) e il giovane di talento che dava gas a un motore Ferrari, montato su quel catenaccio che era la Marussia. Luca Baldisserr­i che guida l’Accademia del Cavallino, di cui Jules era la punta, lo aveva detto più volte: «Merita una macchina migliore».

“Forza Michael” e “Forza Jules”: i loro colleghi non perdono occasione di dirlo facendo parlare caschi, macchine, tweet, iniziative. Gli amici sono comuni, e alcuni di quelli accettati a Gland hanno accesso all’ospedale di Nizza dove oggi - ci viene riferito - Bianchi dorme. Non sapremmo come dirlo diversamen­te: Jules non ha danni visibili, non ferite né gonfiori, ma i suoi occhi - al contrario di quelli di Michael - rimangono chiusi. I genitori non se ne fanno capaci e fantastica­no che quel ragazzo possa svegliarsi all’improvviso, sorridergl­i, salutarli. Che insieme si possa ricomincia­re a vivere e a ridere.

Sovrastati dal silenzio, non si arrendono. Così Michael e Jules ci insegnano a tenere viva la speranza.

Il grave danno “assonale” al cervello rende difficile il recupero Ma non impossibil­e Rimangono gravi anche le condizioni di Bianchi dopo il violento urto in gara in Giappone

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