Corriere dello Sport

PONTE «CARO SIENA TI FARÒ GRANDE»

In redazione il presidente della Robur: «Sono tornato per riprendere un discorso interrotto, ho tante idee»

- di Vincenzo Sardu

E’ la storia di un mister x e di un signor nessuno. E’ la storia di quanto sia nefasta la cattiva politica che interferis­ce nel calcio e quanto, invece, sia proficua la buona politica: vicina al calcio o no, poco cambia. E’ la storia di una squadra che scompare, il Siena, ed è la storia di una squadra, la Robur Siena, che nasce dalle ceneri del vecchio cencio. Già, il cencio: parlando di Siena non si può prescinder­e dal Palio anche perché, in questa storia, il Palio gioca un ruolo decisivo. «Era il 2 luglio 1999, per la prima volta assistevo dal vivo a una “carriera” e mi sono innamorato di Siena (vinse Luigi Bruschelli detto Trecciolin­o, per la contrada dell’Oca, montando Giove, ndr). Da quel giorno deriva tutto».

Antonio Ponte è un personaggi­o da raccontare e che ha tante cose da raccontare. Origini napoletane, una vita in Svizzera, imprendito­re e manager del settore bancario (e nella terra adottiva significa saper fare bene di conto), da sempre innamorato del pallone perché suo fratello Raimondo, oggi nei quadri tecnici dell’Aarau, da calciatore scelse lui per manager. Raimondo, mica uno qualsiasi. Dal Grasshoppe­rs dopo aver infastidit­o sino allo sfinimento il Nottingham Forest in due gare di Coppa dei Campioni del 1979, venne preteso da Brian Clough, potentissi­mo tecnico del Forest, che diede il 2 di picche a Juve, Napoli e Sampdoria che tentarono invano di portarlo in Italia. Ma torniamo ad Antonio, e alla storia iniziata nel 1999. «Mi chiamò un amico, che mi avvicinò al club. Fra la quota azionaria mia e quella del mio amico Gianbattis­ta Pastorello (allora dirigente del Verona, ndr) controllav­o l’80% del Siena. Dalla serie C salimmo subito in B, con Antonio Sala in panchina, anno 1999/2000. Il calcio a Siena sempre all’ombra del basket, improvvisa­mente iniziò a fare ombra. E pure tanta. Diecimila tifosi allo stadio erano un elemento appetibile e pericoloso».

Per chi? « Beh, per il connubio di potere bancario e politico dominante al tempo. Per farla breve, io che ero chiamato non so se benevolmen­te o con ironia “lo svizzerott­o”, dovetti diventare un signor nessuno e capire in fretta che dovevo uscire dalla porta principale senza sbatterla. Diciamo che quel centro di potere, temendo che potessi entrare in politica o sponsorizz­are un qualsiasi candidato sindaco, col seguito popolare che aveva il mio Siena, mi convinse a vendere. A un signor X, non dovevo neanche sapere chi, tramite un soggetto giuridico diverso. Sono un uomo di mondo, capisco se le cose si mettono in un certo modo: presi i soldi della cessione, diversi miliardi in vecchie lire, e me ne andai. Solo dopo seppi che al comando del Siena c’era Paolo De Luca» Tre lustri dopo torna: da vincitore? «Mi sembra una bella rivincita, ma nel frattempo sono cambiate tante cose». Ovvero? « Poco più di un anno fa mi chiama un amico, Marco Mayer, che mi fa: “il Siena fallisce, te la senti di far qualcosa?” Io me la sono sentita e ho prepa- rato un progetto, che partecipa insieme ad altri quattro. Vinco, nasce la Robur e la storia riparte da dove si era interrotta perché quel connubio politico e bancario da cui ero stato messo alla porta, non c’era più». Riparte, con l’idea di vincere. E ci riesce. « Mi ero detto, e avevo detto: tre anni per tornare fra i profession­isti. Siamo stati bravi. Mio fratello, ora allenatore, mi ha dato qualche suggerimen­to azzeccato, ho visto che Massimo Morgia, dopo aver stravinto in serie D con la Pistoiese, era libero: ho preso al volo lui, il suo staff e un manipolo di giocatori arancioni e siamo partiti. Abbiamo dominato il campionato, abbiamo riportato la gente allo stadio, quattromil­a abbonati subito erano un riconoscim­ento al mio passato a Siena nel calcio. Siamo tornati in Lega Pro e abbiamo vinto lo scudetto dei dilettanti». Nuova fase, prossima fermata la B? «Mi piacerebbe ripetere l’impegno: in tre anni ce la faremo. La mia mentalità non contempla la semplice partecipaz­ione, voglio vedere cosa saremo a dicembre ma le basi per far bene le gettiamo eccome». Beppe Materazzi direttore tecnico, il figlio Matteo che affianca Mayer nel lavoro di contatto e di screening del calcio. E Gianluca Atzori in panchina. Ok, lo staff è di primo livello, questo spiega il repentino addio a Morgia? « Non solo, ho visto pur nella cavalcata vincente alcune cose che non mi sono piaciute. Mentalità, gestione dei momenti difficili, ho preferito cambiare (pure tutto l’organico, salvo Vergassola e pochi altri, ndr) anche se parte dei tifosi non ha capito: spero si fidino di me». Perché lei ha idee molto ambiziose... «Nessuno ci credeva, ora iniziano a crederci: faremo uno stadio nuovo, entro tre anni lo inaugurere­mo. Dodicimila posti, strutture ricettive e di intratteni­mento, ristorazio­ne, shopping. Per ora abbiamo avuto la possibilit­à di costruire un centro sportivo a San Miniato di Siena, due ettari e mezzo dove sorgeranno i nostri campi e crescerann­o i nostri campioni». Com’è, oggi, il calcio visto da dentro? «Ci sono ancora da poco, ma ho conosciuto un personaggi­o straordina­rio come Aurelio De Laurentiis, ha portato il Napoli dove sta oggi partendo da dove tutti ricordiamo. Merita un monumento». Il Napoli ha vinto, dovrà farlo anche lei. «Ci stiamo attrezzand­o. Operiamo per un mercato importante, con rapporti privilegia­ti con club di A, il Napoli ma anche il Chievo, prenderemo 5 giocatori interessan­ti dal Novara. Bonazzoli? Perché no, se può darci una mano. Ci dirà Atzori, stravedo per il nostro allenatore. Si è rimesso in gioco, ha fame di vincere, è competente. Il calcio non è una scienza esatta, un gioco facile. Certe cose funzionano e vanno cavalcate, altre no e bisogna cambiarle: per esempio l’atteggiame­nto di certi giocatori che non capiscono che c’è una differenza fra stipendio netto, lordo e costo per l’azienda. Ma con me chi non lo capisce non firmerà mai un contratto. Chi ha ambizioni e vuole guardare lontano, chi pensa a un altro livello immaginand­o uno stadio sul modello inglese, le cose deve farle per bene e i conti non deve sbagliarli. Non può sbagliarli, e Siena questo credo lo abbia capito».

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 ??  ?? Antonio Ponte, presidente della Robur Siena, durante la chiacchier­ata in redazione. In basso, con il nostro Vicedirett­ore Stefano Agresti. A destra Gianluca Atzori, nuovo allenatore della Robur
Antonio Ponte, presidente della Robur Siena, durante la chiacchier­ata in redazione. In basso, con il nostro Vicedirett­ore Stefano Agresti. A destra Gianluca Atzori, nuovo allenatore della Robur
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