Da Baggio a Sullo, numeri per sempre
Facchetti, Franco Baresi, quando entri nel cuore di club e tifosi. Ma ogni tanto...
Ritiri la maglia, fissi la Storia. Nel momento in cui lo fai reciti il mantra: niente sarà più come prima. In un certo senso, ridimensioni il tuo orizzonte. Giusto o meno, la tendenza (che scimmiotta la Nba americana) ha preso piede. Lo prevede la liturgia del calcio, che ha bisogno di questi gesti per celebrare se stesso all’infinito. E dunque: togli la maglia dall’arena, la esponi in bacheca. Le sfili la vita di dosso, e con essa il fango di tante battaglie, l’er-
ba che vi resta appiccicata, le gioie, i dolori; e allo stesso tempo la innalzi a simulacro. E’ un atto di riconoscenza, un tributo post-mortem, un inchino a chi - per quella maglia - ha dato tanto.
L’INIZIO DI TUTTO. Fu il Milan ad aprire le danze nel ‘97: andava onorato l’addio di Franco Baresi, il Piscinin, venti stagioni in rossonero, che una vita non basta a raccontarlo. C’è qualcosa di molto solenne nel ritirare una maglia. Alla morte di Giacinto Facchetti, Mo- ratti non ebbe dubbi. Nessun altro nerazzurro vestirà la sua 3. E’ successo anche con Javier Zanetti. 19 anni tatuati sulla pelle sempre con il 4. Al passo d’addio Alessandro Del Piero, opponendosi alla scelta della Juve, spiegò perché il suo numero, il 10, doveva rimanere vivo: «E’ giusto che altri possano sognare di indossarla». Come aveva fatto lui con Platini. La maglia ritirata è come l’isola che non c’è (più). Il Genoa ha pensato fosse giusto ritirare la 6 di Gianluca Signorini, morto a 42 anni di Sla; poi ha ceduto alle insistenze della tifoseria, che aveva chiesto di rimuovere dal quotidiano la 7 di Marco Rossi, idolo della curva. Il Messina ha voluto partecipare alla vittoria di Salvatore Sullo (sconfisse la leucemia), spostando nel campo dei miti la n.41. Dal 2005 la n.11 del Cagliari non esiste più: di Gigi Riva ce n’è stato uno solo. Anche di Maradona: il Napoli ritirò la 10 nel 2000, nel 2004 - in C - fu costretto a ripristinarla per via della numerazione obbligatoria, la tolse di nuovo un paio d’anni dopo. Il n.25 che fu
di Pierpaolo Morosini a Livorno e a Vicenza non c’è più: resta il ricordo.
LA RICONOSCENZA. Non conta se sei stato un campione o un onesto mestierante. Conta quello che hai seminato. Via a Salerno la 4 (che fu di Breda), via a Siena la 4 (di Mignani), via ad Avellino la 10 (di Lombardi). Così il Brescia ha ritirato (oltre alla 10 di Baggio) anche la 13 di Mero, il Bologna la 27 di Galli, l’Atalanta la 14 di Pisani e il Chievo la 30 di Mayele, tutti prematuramente scomparsi. Talvolta si eccede. Più folcloristica che altro la scelta di eliminare la n.12 - la maglia del pubblico, il dodicesimo uomo - da parte di Torino, Lecce, Atalanta, Genoa, Parma e Palermo. Capita poi che si faccia dietrofront. Nel 2003 la Roma ritirò la 6 di Aldair. Ops, scusate, ci siamo sbagliati: dall’anno scorso la indossa Strootman. Meglio allora fare come Paolo Maldini. La sua n.3 è in stallo, in attesa che uno dei suoi figli arrivi lì, prenda la misura e indossi la Storia.