DJOKOVIC «Il pubblico non mi ama»
«Vengo dall’Est, dove tutto è più duro Ma in campo provo una gioia speciale»
La gratitudine nel momento della vittoria va a Boris Becker. Che lo ha aiutato a «diventare un giocatore migliore». E al quale si sente unito da numerose similitudini. « Non so cosa ne pensi Boris, ma parecchie cose ci accomunano. Per esempio entrambi ci siamo sposati abbastanza giovani, io a 27 anni, lui a 26. Così siamo stati costretti a riorganizzare la nostra vita anche in funzione della nuova realtà».
Spesso bistrattato da chi fatica a riconoscergli meriti negli ultimi exploit di Novak Djokovic, il giorno dopo il terzo trionfo ai Championships del suo allievo è anche il giorno di Becker, insolitamente silenzioso. Vincendo contro Roger Federer, Djokovic lo ha agganciato per numero di vittorie a Wimbledon. Ma come da scontate previsioni di John McEnroe, il futuro non può che sorridere a Novak. Non solo perché due dei principali rivali - lo stesso Federer e Rafa Nadal - sembrano aver imboccato definitivamente il viale del tramonto. Ma anche perché all'orizzonte non si intravede nessuno con la stessa voglia di vincere. FORSENNATO. A 28 anni Djokovic è un forsennato agonista, alla perenne ricerca della prossima sfida. « Ma questo vale per tutti i campioni - ha raccontato ieri mattina, nella tradizionale conferenza all'All England Club, al termine di una notte avara di sonno - C'è sempre spazio per migliorare, siamo dei perfezionisti che chiedia- mo moltissimo a noi stessi. Non siamo mai soddisfatti, e per questo siamo disposti a lavorare più degli altri. Per esempio, sono migliorato tantissimo al servizio. Su questo aspetto è stato fondamentale il lavoro con Boris, perché anche ieri, nella finale contro Roger, mi ha risolto almeno un paio di situazioni difficili. Ma più in generale il lavoro è continuo e su tutti i colpi. Vorrei imparare a scendere più spesso a rete».
Ma Novak ha le idee chiare, e sa già - in perfetta sintonia con il suo team - su quali aspetti lavorare. Lo attende una settimana di vacanza con la moglie Jelena e il figlio Stefan. Poi sarà già tempo di un altro aereo, prima destinazione Montreal, quindi Cincinnati. Due appuntamenti sul cemento in preparazione dello Slam che il serbo ama più di tutti. Se Wimbledon è l'incantesimo del tennis («quando ero piccolo sognavo di vincere qui»), gli Us Open sono l'ambizione giustificata dal suo tennis. «Probabilmente è il mio Slam favorito perché dal mio esordio nel tabellone principale (2005) sono trascorsi solo due anni per la mia prima finale. E da allora ogni anno ho raggiunto come minimo la semifinale. E questo dice molto del mio gioco e dei miei risultati. Purtroppo non ho vinto tanto quanto avrei voluto. Ma continuo ad amare quella superficie, le condizioni in cui si gioca. Mi piace tantissimo giocare nell'Arthur Ashe, il più grande stadio del tennis. Con la fiducia che sento in questo momento, ci sono tutti i presupposti per andare lontano». L’AMORE È ALTROVE. Anche se Djokovic è il primo a sapere che nonostante i tantissimi successi, non sarà mai il tennista più amato. Destino simile a quello di Ivan Lendl, un altro campione a cui si sente affine. « Entrambi veniamo dall'Europa dell'est dove c'è una mentalità diversa, più dura. E sicuramente lui ha dovuto dimostrare se stesso, più di quanto non sia capitato per esempio a Borg o McEnroe».
Stesso destino capitato a Djokovic che però sembra, almeno all'apparenza, non curarsene più di tanto. Perché la passione per il tennis, l'irresistibile attrazione per la competizione superano in ultima istanza soldi, successo e popolarità. «Ogni volta che scendo in campo provo una gioia speciale. La stessa di quando ero bambino. Mi piace lottare, giocare partite, vincere. Nonostante abbia avuto incredibili soddisfazioni, la verità è che le motivazioni ad andare avanti non finiscono mai. Nel mio caso, poi, ci pensano le persone che mi stanno attorno a motivarmi. Mi riferisco alla mia famiglia, al mio team. Sento di avere responsabilità nei loro confronti che non voglio deludere». E come potrebbero, d'altronde.
Entusiasta e determinato ancor più di quanto, durante la diarchia Federer-Nadal, era confinato ai margini dell'eldorado del tennis. «Mi sento all'apice della mia carriera, e faccio di tutto per tenermi alla larga dai peggiori nemici di ogni atleta, gli infortuni. Fino a che mi sentirò così potrò spingermi oltre i miei limiti».
Le differenze «Stesso destino l’ha avuto Lendl Vita più facile per Borg e McEnroe» Gli obiettivi «Mi sento all’apice della carriera. Se eviterò gli infortuni supererò me stesso» L’allenatore «Grazie a Becker sono diventato un giocatore migliore Siamo molto simili»