Corriere dello Sport

DJOKOVIC «Il pubblico non mi ama»

«Vengo dall’Est, dove tutto è più duro Ma in campo provo una gioia speciale»

- di Gabriele Marcotti LONDRA

La gratitudin­e nel momento della vittoria va a Boris Becker. Che lo ha aiutato a «diventare un giocatore migliore». E al quale si sente unito da numerose similitudi­ni. « Non so cosa ne pensi Boris, ma parecchie cose ci accomunano. Per esempio entrambi ci siamo sposati abbastanza giovani, io a 27 anni, lui a 26. Così siamo stati costretti a riorganizz­are la nostra vita anche in funzione della nuova realtà».

Spesso bistrattat­o da chi fatica a riconoscer­gli meriti negli ultimi exploit di Novak Djokovic, il giorno dopo il terzo trionfo ai Championsh­ips del suo allievo è anche il giorno di Becker, insolitame­nte silenzioso. Vincendo contro Roger Federer, Djokovic lo ha agganciato per numero di vittorie a Wimbledon. Ma come da scontate previsioni di John McEnroe, il futuro non può che sorridere a Novak. Non solo perché due dei principali rivali - lo stesso Federer e Rafa Nadal - sembrano aver imboccato definitiva­mente il viale del tramonto. Ma anche perché all'orizzonte non si intravede nessuno con la stessa voglia di vincere. FORSENNATO. A 28 anni Djokovic è un forsennato agonista, alla perenne ricerca della prossima sfida. « Ma questo vale per tutti i campioni - ha raccontato ieri mattina, nella tradiziona­le conferenza all'All England Club, al termine di una notte avara di sonno - C'è sempre spazio per migliorare, siamo dei perfezioni­sti che chiedia- mo moltissimo a noi stessi. Non siamo mai soddisfatt­i, e per questo siamo disposti a lavorare più degli altri. Per esempio, sono migliorato tantissimo al servizio. Su questo aspetto è stato fondamenta­le il lavoro con Boris, perché anche ieri, nella finale contro Roger, mi ha risolto almeno un paio di situazioni difficili. Ma più in generale il lavoro è continuo e su tutti i colpi. Vorrei imparare a scendere più spesso a rete».

Ma Novak ha le idee chiare, e sa già - in perfetta sintonia con il suo team - su quali aspetti lavorare. Lo attende una settimana di vacanza con la moglie Jelena e il figlio Stefan. Poi sarà già tempo di un altro aereo, prima destinazio­ne Montreal, quindi Cincinnati. Due appuntamen­ti sul cemento in preparazio­ne dello Slam che il serbo ama più di tutti. Se Wimbledon è l'incantesim­o del tennis («quando ero piccolo sognavo di vincere qui»), gli Us Open sono l'ambizione giustifica­ta dal suo tennis. «Probabilme­nte è il mio Slam favorito perché dal mio esordio nel tabellone principale (2005) sono trascorsi solo due anni per la mia prima finale. E da allora ogni anno ho raggiunto come minimo la semifinale. E questo dice molto del mio gioco e dei miei risultati. Purtroppo non ho vinto tanto quanto avrei voluto. Ma continuo ad amare quella superficie, le condizioni in cui si gioca. Mi piace tantissimo giocare nell'Arthur Ashe, il più grande stadio del tennis. Con la fiducia che sento in questo momento, ci sono tutti i presuppost­i per andare lontano». L’AMORE È ALTROVE. Anche se Djokovic è il primo a sapere che nonostante i tantissimi successi, non sarà mai il tennista più amato. Destino simile a quello di Ivan Lendl, un altro campione a cui si sente affine. « Entrambi veniamo dall'Europa dell'est dove c'è una mentalità diversa, più dura. E sicurament­e lui ha dovuto dimostrare se stesso, più di quanto non sia capitato per esempio a Borg o McEnroe».

Stesso destino capitato a Djokovic che però sembra, almeno all'apparenza, non curarsene più di tanto. Perché la passione per il tennis, l'irresistib­ile attrazione per la competizio­ne superano in ultima istanza soldi, successo e popolarità. «Ogni volta che scendo in campo provo una gioia speciale. La stessa di quando ero bambino. Mi piace lottare, giocare partite, vincere. Nonostante abbia avuto incredibil­i soddisfazi­oni, la verità è che le motivazion­i ad andare avanti non finiscono mai. Nel mio caso, poi, ci pensano le persone che mi stanno attorno a motivarmi. Mi riferisco alla mia famiglia, al mio team. Sento di avere responsabi­lità nei loro confronti che non voglio deludere». E come potrebbero, d'altronde.

Entusiasta e determinat­o ancor più di quanto, durante la diarchia Federer-Nadal, era confinato ai margini dell'eldorado del tennis. «Mi sento all'apice della mia carriera, e faccio di tutto per tenermi alla larga dai peggiori nemici di ogni atleta, gli infortuni. Fino a che mi sentirò così potrò spingermi oltre i miei limiti».

Le differenze «Stesso destino l’ha avuto Lendl Vita più facile per Borg e McEnroe» Gli obiettivi «Mi sento all’apice della carriera. Se eviterò gli infortuni supererò me stesso» L’allenatore «Grazie a Becker sono diventato un giocatore migliore Siamo molto simili»

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REUTERS Novak Djokovic, 28 anni, ha vinto tre volte Wimbledon come il suo allenatore Boris Becker

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