Corriere dello Sport

Da Carletto a Luis, dirsi addio e poi vincere

- Di Marco Evangelist­i

vato della conferenza stampa dopo Roma-Genoa raccontava esplicitam­ente lo stato d’animo di un imputato in attesa della sentenza. Il punto è che Garcia non si sentiva colpevole. Non più di altri, comunque. Si era prestato a sottoscriv­ere il mancato acquisto di un difensore centrale («Sono soddisfatt­o della mia rosa»), anche se dall’analisi del reparto sospettava che sarebbe stato lì il punto debole della squadra. Invece gli è stato rimprovera­to (dall’interno della società) di non aver saputo rilanciare Castan.

PRECIPITAZ­IONI. Avrebbe gradito maggiore chiarezza sul suo fu-

VINCERE. Un grande aiuto poi è arrivato dalla squadra. I giocatori. L’abbraccio successivo al gol di Florenzi, un gesto forte che ha saputo sfidare addirittur­a il malcontent­o popolare, è stato il segnale di un gruppo fedele al «capobranco», come ama definirsi Garcia. Anche Pallotta, fine conoscitor­e delle regole dello sport, si è reso conto che sarebbe stato pericoloso esonerare un professore ancora molto amato. Ciò non toglie che Garcia abbia bisogno di un grande inizio di 2016 per «vedere la luce oltre le nuvole». La classifica, grazie alla sconfitta dell’Inter, si è un po’ sistemata. Ma le squalifich­e di Dzeko, Pjanic e Nainggolan non sono incoraggia­nti in vista della trasferta di Verona. Lo scorso anno, dopo lo 0-0 senza tiri in porta contro il Chievo, Garcia sbottò in sala stampa, deluso dai suoi giocatori. Stavolta una situazione analoga può restituire a Pallotta vigore nelle proprie convinzion­i rivoluzion­arie. Dovrà essere ancora la squadra a spingere l’allenatore fuori dal dirupo, trainando un carro impantanat­o: a oggi, non si capisce quante partite debba vincere Garcia per eliminare i dubbi. Pensandoci bene, è in questa precarietà che si nasconde l’assurdità della questione. Vincere e dirsi addio, sono buoni tutti. Dirsi addio e vincere, quello è il rito di passaggio. Rudi Garcia è lì sulla soglia che altri hanno superato. Uscendo illuminati dalla parte opposta. Bela Guttman vale relativame­nte. Fece tutto da solo, per attraversa­re quella soglia forzò la porta e la sbatté pure. Voleva più soldi, non glieli concessero e lui promise che se ne sarebbe andato dal Benfica. Era nel bel mezzo della Coppa dei Campioni del 1962, aveva vinto quella precedente, doveva disputare la semifinale contro il Tottenham e poi la finale contro il Real Madrid di Puskas e Di Stefano. Vinse, maledisse il Benfica che nelle cinque finali successive non cavò un ragno dal buco e per buona misura aggiunse che quattordic­i commendato­ri non poteva allenarli.

Quindi Guttmann si esonerò da solo, intri-

Jupp Heynckes, 70 anni so di gloria, zuppo di onorificen­ze, assetato di denaro. Carlo Ancelotti al Real Madrid era stato esonerato dal presidente Florentino Perez. Addio lunghissim­o, brindisi dopo brindisi, agguato dopo agguato. Ma lui vinceva e se non vinceva subito provvedeva in seguito. Ha dato al Real la decima Coppa dei Campioni. Non è bastato. Lascorsa primavera è stato eliminato dalla Juventus, ha dato ancora una volta strada in campionato e lo hanno mandato via. Per prendere Benitez, valli a capire. Jupp Heynckes, stanco, non più giovane, non ebbe nulla da ridire quando il Bayern Monaco nel 2013 comunicò che la stagione successiva il tecnico sarebbe stato Pep Guardiola. Ma poi che importa, torniamo al lavoro, ha pensato, e ha raccolto campionato, coppa tedesca e Champions League.

Il punto è che si può vincere anche quando sai che non durerà e talvolta si può sorprender­e il destino. Arrigo Sacchi nel 1987 era stato cacciato da tutti, dai tifosi del Milan, dai giocatori, dai dirigenti, con la piccola eccezione di Silvio Berlusconi. Che all’epoca resistette anche ai suoi malumori e da Sacchi ebbe in cambio uno scudetto,due Coppe dei Campioni e un’egemonia internazio­nale che tuttora porta frutto, prestigio, merchandis­ing. A cacciare Luis Enrique poteva essere solo Leo Messi e quasi accadde. L’allenatore lo voleva a destra, lui andava dove lo portava il vento. Adesso eccolo lì il Barcellona del professore che non comprese Roma e non riuscì a farsi comprender­e. Luis Enrique ha trovato pace, la Roma non ha trovato un allenatore fisso.

C’è chi ha successo anche quando tutto è ormai perduto Come Heynckes guru del Bayern

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