Corriere dello Sport

«Milan, segui solo l’esempio della Signora»

L’ex “campione di tutto” allena il Pisa ed è terzo in Lega Pro «Passione e fatica, io non cambio» «Dall’organizzaz­ione del club allo stadio: il club bianconero è l’esempio da seguire Senza cambiare le idee ogni 6 mesi...»

- di Alberto Polverosi

Com’era da giocatore, così è da allenatore. Gattuso non si ferma mai. Non entra in partita, irrompe. Ha poca voce: «Se non urlo, quelli non corrono». Quelli sono i giocatori del Pisa che l’ex mediano del Milan campione di tutto e della Nazionale campione del mondo ha portato per ora al 3° posto del girone B della Lega Pro, nonostante i problemi societari. Problemi a cui Rino Gattuso è abituato, visto quello che è successo a Creta. « Ho fatto tutta una tirata, dall’anno scorso a oggi, ma qui c’è Fabrizio Lucchesi, un dirigente che conosce il calcio, e di questi problemi si occupa lui. Io penso al campo». Lucchesi è stato diesse dell’Empoli, della Roma, della Fiorentina, ora è presidente del Pisa. Dovevano andare insieme a Carrara, poi è saltato tutto e sono sbarcati a Pisa. «Da qualche anno è nato un rapporto vero, vediamo il calcio alla stessa maniera». L’irruzione di Gattuso parte da qui, da Pisa, e prosegue fino a Milanello. Anche alle domande più piatte arrivano risposte argute. Non sappiamo se Gattuso farà carriera, sappiamo però che tutto quello che fa nel calcio, che dice di calcio, che pensa sul calcio è la sintesi della sua passione e della sua sincerità.

La “sua” squadra «Rossoneri al top per oltre vent’anni grazie a Berlusconi e Galliani. Ora però scelte più chiare!»

Il modello perfetto «Dopo 4-5 stagioni senza successi la Juve ha puntato sui dirigenti giusti al posto giusto»

I suoi compagni «Secondo me Pirlo non torna in Italia: non avrebbe senso Totti manca tanto alla Roma attuale»

Il suo maestro «Per Ancelotti ho fatto il terzino e corso più di tutti: ha grande umanità Allegri? Super»

La nuova Italia «Conte è un grande e saprà creare l’unità di gruppo Per fare il Gattuso serve tanta voglia»

Il suo Pisa «Giochiamo bene e non molliamo mai Adesso ci crediamo Ricci e Varela possono arrivare»

Ci racconta il Pisa?

«La ragione principale dei nostri 30 punti e del 3° posto è il gruppo. Questi ragazzi mi seguono e per un allenatore è una grande soddisfazi­one. Siamo partiti col 4-3-3, poi siamo passati al 4-4-2 e da un po’ di tempo ci siamo messi a tre in difesa. Siamo una squadra che prova a giocare, a costruire, pochissime palle lunghe, anche se con un attaccante come Cani potremmo anche fare dei lanci lunghi, ma a noi piace costruire da dietro. Non molliamo mai, tant’è vero che abbiamo segnato parecchi gol negli ultimi minuti, corriamo tanto e non ci stiamo a perdere. Abbiamo tantissimi giovani che giocano con continuità. Certo, pecchiamo di superficia­lità ed inesperien­za, ma è normale. A metà agosto avevamo 9 giocatori nuovi e con questi 30 punti abbiamo fatto qualcosa di importante».

Qual è l’obiettivo? «Ora che siamo terzi, ci vogliamo provare. Nel prossimo mercato cercheremo di migliorare questa squadra anche se non è facile perché non c’è un grande budget e perché non vogliamo rovinare l’ambiente all’interno dello spogliatoi­o».

C’è un giocatore della sua squadra che può arrivare in Serie A? «Uno è Matteo Ricci, per l’età (classe ‘94, ndr) e per la qualità del suo gioco. Deve cresce- re ancora tanto, ma può fare la Serie A, ha visione di gioco, tocca tanti palloni, se migliora sul piano caratteria­le, se matura ancora può fare bene davvero. L’altro è Varela».

Si può dire che questa, a Pisa, è la sua vera partenza? «Non rinnego quello che ho fatto prima, anzi. Ho cominciato presto con una grande come il Palermo, dove penso di non aver fatto male, perché dopo 7 partite, con una squadra retrocessa dalla A alla B, essere staccati di solo 3 punti dalla prima non era una tragedia. I rischi li conoscevo bene, solo che nella mia vita non ho mai fatto calcoli, sono uno sanguigno, è andata così punto e basta. A Sion, invece, non ero ancora un allenatore, non mi ero spogliato, facevo il manager e il giocatore. Creta è stata una tappa importanti­ssima. Sei mesi in quelle condizioni, fare 18 punti con tutti quei problemi, far allenare ragazzi che non prendevano lo stipendio, non sapevo come schierare una difesa a tre, ho studiato e cambiato, è stata l’esperienza più importante della mia carriera».

Possiamo definirla allora una “ripartenza”? «Nel calcio c’è sempre qualcosa che non va. Una volta ti dicono che non hai esperienza, un’altra ti chiedono invece che c’è andato a fare Gattuso in Lega Pro. Qui c’è tanto da impararare, trovo allenatori preparatis­simi che leggono bene ogni partita. E a me non pesa nulla, voglio solo lavorare sul campo, voglio imparare: questo è un mestiere nuovo e aver vinto tanto da giocatore non conta niente, per me il Pisa è come se fosse la Nazionale».

Cosa sta succedendo al Milan? «Innanzitut­to bisogna ringraziar­e la famiglia Berlusconi e Adriano Galliani per quello che hanno fatto: per 22-23 anni è stata una delle squadre più importanti al mondo, per quello che esprimeva sul campo e per l’organizzaz­ione del club. Negli ultimi anni non è più il Milan. Ci sono meno soldi, ma sono soprattutt­o le scelte che lasciano a desiderare: si parla di giovani e poi dopo 6 mesi vengono ceduti in prestito, poi si punta su un allenatore giovane e si cambia subito idea. Una volta tutto questo non succedeva».

I suoi ex compagni Maldini e Albertini sostengono che sia finita un’epoca e che il Milan non si sia attrezzato. « La dimostrazi­one è la Juve, la prima squadra italiana che, cambiando, ha preso uno stile inglese o tedesco. La Juve ha uno stadio di proprietà e soprattutt­o ha messo gli uomini giusti al posto giusto. C’è stata una rivoluzion­e nel club, per 4-5 anni non riuscivano a centrare gli obiettivi ed è stata creata una società nuova. L’esempio per il Milan oggi deve essere la Juve».

Ma ora avrebbe senso sostituire l’allenatore? «In questi anni aver cambiato spesso l’allenatore non ha portato a niente, quando si cambia bisogna cominciare tutto daccapo. C’è bisogno di programmaz­ione e si deve avere massima fiducia nel tecnico».

L’Inter, per come sta giocando, può vincere lo scudetto? « Nell’Inter di Mancini rivedo la Juve di Capello, è forte fisicament­e, non gioca un calcio bellissimo, ha giocatori antipatici, duri, che si fanno odiare in campo, e quando hai gente di questo tipo è difficile perdere».

Si riferisce a Felipe Melo? «Anche a Medel e alla linea difensiva che è sempre cazzuta, sempre sul pezzo, non molla- no un centimetro, è una squadra rognosa».

Quanto manca Totti alla Roma? « Non so se oggi vive lo spogliatoi­o, la sua figura regna da vent’anni, quando parla lui sia in campo che negli spogliatoi gli altri stanno zitti e si allenano. Ma è importante anche per le qualità, a volte basta una punizione o un corner battuti bene per vincere».

Secondo lei Pirlo tornerà in Italia per chiudere la carriera? « Penso di no. Ha fatto una scelta l’anno scorso, non ha nessun senso che torni in Italia».

Il suo ex allenatore, nonché amico, nonché collega Ancelotti va al Bayern Monaco per diventare l’unico tecnico al mondo a vincere nei primi 5 campionati d’Europa. Può dirci una cosa che ha imparato da lui? «Sono tante, ma una è davvero particolar­e: ho lavorato con Carlo per 7anni e mezzo e non ho mai sentito un giocatore rimasto fuori che abbia parlato male di lui. E’ merito della sua umanità. Senza dimenticar­e che calcistica­mente è un maestro, mi colpisce ancora oggi il modo con cui tratta i giocatori, come ci parla. Ce ne sono tanti che quando non giocano mettono il muso, parlano male, l’ho fatto anch’io, ma con lui non succede mai».

Per lei però era più facile: quando chiedevano ad Ancelotti, che in squadra aveva una mezza dozzina di Palloni d’oro, chi fosse il primo giocatore della sua formazione faceva sempre il nome di Gattuso. «Ho corso tanto per lui... Con Ancelotti ho vissuto la vera crescita della mia carriera, stavo benissimo fisicament­e, gli coprivo il campo. Oh, per tanti anni ho fatto il terzino destro: Cafu faceva l’ala e io stavo là dietro».

Si aspettava che un altro suo ex allenatore, Allegri, riuscisse a portare la Juve alla finale di Champions League? «Max ha una grande dote, non si piange mai addosso, anche nei momenti di difficoltà non lo vedi mai stanco, gli invidio molto questa dote. Quando la Juve era a metà classifica diceva che prima di Natale avrebbe recuperato, se uno non lo conosce, pensa che sia un pazzo. Invece sa farsi scivolare tutto addosso e merita tutto quello che sta facendo. Non era facile accettare una piazza come la Juve da ex milanista così come non era stato facile al Milan vincere al primo colpo».

Qual è la squadra che le piace di più come gioco? «Come organizzaz­ione, il Napoli di Sarri. Gli attaccanti la-

vorano come i centrocamp­isti e per far correre così tanto Higuain, Callejon e Insigne l’allenatore deve essere bravo. E poi come si muove la linea difensiva è uno spettacolo. Devo dire che pure le ultime 7-8 partite dell’Empoli sono state uno spettacolo. Stimo molto Giampaolo, dopo tanti anni di bastonate nei denti si sta prendendo la sua rivincita. Sono contento per lui, c’è da imparare dal suo lavoro. L’Empoli gioca meglio dell’anno scorso: quando va in verticale e trova spazio ha 3-4 giocate formidabil­i».

Un altro suo amore, la Nazionale. Cosa possiamo fare all’Europeo? «Ho massima fiducia in Conte, è un grande allenatore, un grande motivatore, conoscendo­lo farà qualcosa di importante. E’ abituato a vincere, porterà in Francia una squadra con una mentalità forte».

Pensa che ci sia troppo pessimismo intorno all’Italia? «Sì, troppo. Anche quando giocavamo noi si parlava di scarsa qualità rispetto a quella delle Nazionali precedenti e in effetti negli anni Novanta il talento era maggiore. Conte si sta muovendo come si muoveva Lippi: rispetto delle regole e della maglia. E poi non è vero che abbiamo poca qualità. Tutti sanno che bisogna formare un gruppo e ragionare con una testa sola. E quando i giocatori italiani capiscono questo, possono arrivare a grandi traguardi. Non lo dico io, lo dice la storia».

E’ la ragione per cui sta fuori Balotelli. «Io dico solo che il singolo non ti porta da nessuna parte, magari qualche partita te la può far vincere, ma alla fine prevalgono la squadra, le regole, la disciplina e il sacrificio: quando ho vinto da giocatore, c’è sempre stato tutto questo. Quanto a Balotelli ora di tempo ne ha di meno per tornare al livello dei suoi primi anni in A, ma la sua priorità è recuperare dalla pubalgia e dimostrare in campionato che è migliorato. Tocca a lui mettere in difficoltà Antonio Conte».

Qual è il giocatore italiano che le piace di più? « Negli ultimi anni un po’ di talento è tornato. Mi sorprende Bernardesc­hi. L’ho sempre pensato come un giocatore offensivo, invece fa il quinto nel centrocamp­o della Fiorentina, si sacrifica su tutta la fascia, questo vuol dire che ha voglia di giocare e di arrivare. Insigne è molto bravo e Florenzi è una forza della natura, non si arrende mai, aiuta sempre i compagni».

Ancelotti va al Bayern, Ranieri è primo in Premier League, Conte è cercato da mezza Europa: vuol dire che gli allenatori italiani sono sempre i più bravi? «Usciamo da una scuola che funziona molto bene, quella di Coverciano: si è rinnovata molto, con idee tutte nuove. Non dobbiamo commettere l’errore di abbandonar­e la caratteris­tica che per tanti anni ci ha portato al successo nel mondo: una difesa solida. Bisogna insegnare ai giocatori come si marca, non dobbiamo scopiazzar­e tutti gli altri. Sì, c’è da imparare ma la nostra scuola non va accantonat­a».

Lei è un calabrese orgoglioso della sua terra. Cosa pensa della storia del Locri? «La verità? Doveva continuare e basta, non si può accettare una cosa del genere: chi la rappresent­a ha fatto presente che c’è un problema, ma tutti devono mettersi a disposizio­ne della squadra che non deve chiudere».

Il suo sogno è quello di tornare al Milan come allenatore? « Il mio sogno è fare questo lavoro come lo sto facendo adesso, alzarsi la mattina ed essere contento di andare al campo. E’ normale che vorrei vincere qualcosa di importante, ma ho la passione e l’umiltà di imparare. Io oggi mi sento realizzato».

Si chiede sempre chi è il nuovo Del Piero o il nuovo Totti. Chi è invece il nuovo Gattuso? «Per una vita mi hanno detto che ero uno scarpone, che non sapevo calciare, e oggi in tanti mi fanno questa domanda. Devo dire che io non mi sono mai considerat­o un giocatore così difficile da imitare. Ce ne sono, di Gattusi. Forse la differenza è che quando giocavo in Serie A per me era come giocare al bar con gli amici: non ci stavo mai a perdere. Tante volte mi sono lasciato andare, ho fatto le mie str...., ho perso la testa più di una volta. Ora ce ne sono anche più bravi di me: penso a Florenzi quando gioca a centrocamp­o, a Nainggolan, a De Rossi anche se comincia ad avere la sua età. Ma alla fine mi resta difficile dire chi è il nuovo Gattuso proprio perché non mi sono mai visto così forte».

E allora per diventare Gattuso cosa serve? «Essere incazzati con il mondo. Voler arrivare a tutti i costi, sacrificar­si, dedicare la vita a un lavoro che avrei fatto anche se mi avesse dato anche un decimo dei soldi che ho guadagnato. Ero molto limitato a fare tante cose, ma con la voglia di migliorare e con il carattere sono cambiato tanto: quando gli altri andavano a divertirsi, io ero sul campo con le luci accese a imparare a stoppare una palla».

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Gennaro Gattuso, 38 anni il 9 gennaio
 ?? CREDITO ?? Gennaro Gattuso, 37 anni, è sulla panchina del Pisa dalla scorsa estate: occupa il terzo posto nel girone B di Lega Pro
CREDITO Gennaro Gattuso, 37 anni, è sulla panchina del Pisa dalla scorsa estate: occupa il terzo posto nel girone B di Lega Pro

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