Un normalizzatore per ripartire
L’esercizio della pazienza, se non vogliamo chiamarla arte, al calcio non viene naturale. Deve trattarsi di un impedimento cronico.
L’esercizio della pazienza, se non vogliamo chiamarla arte, al calcio non viene naturale. Deve trattarsi di un impedimento cronico - quasi un bug di sistema - se nel momento di firmare la loro prima decisione rilevante da dirigenti, sterzando dall’est di Giampaolo all’ovest di Pioli, due ex calciatori con 1.282 partite da professionisti alle spalle si regolano come chi ne ha giocate 1.282 meno di loro, come avrebbe fatto un qualunque imprenditore proprietario di qualche centro commerciale. Ci sono cascati finanche Boban e Maldini. Come se non fosse possibile neppure a un vecchio campione rinunciare a un vecchio schema. Il punto è che il Milan di oggi non ha margini di attesa. Si presume che nessuno più di Boban e Maldini sappia cosa succede dentro le pareti di casa - ed è forse questa la lezione che ci lascia la svolta rossonera, il segno generale di una resa, il segno dell’impossibilità di portare le buone intenzioni dentro le mura del regno del pallone. Il mondo è pieno di rivoluzionari convertiti. Non parliamo poi dell’Italia.
Se d’altra parte al Tottenham considerano l’ipotesi di separarsi dall’allenatore che ha cambiato il corso del cammino al club, fino a condurlo in finale di Coppa dei Campioni, perché il Milan non dovrebbe fermarsi a ragionare - decimo com’è, senza un minuto in Champions da sei anni - sull’eventualità di aver sbagliato la propria scelta un’estate fa? Salvato per qualche settimana dalla suggestione di un confronto tra la sua posizione e quella del celebre Arrigo nel glorioso 87/88, Marco Giampaolo misura sulla sua pelle la distanza che passa tra la totale condivisione di un’idea rivoluzionaria (Berlusconi/Galliani/Sacchi) e l’adesione di un istante a una moda, a uno Zeigeist, allo spirito del tempo che assegna il credito del bel gioco a 30 passaggi consecutivi. Se ora il Milan si affida a Pioli, un allenatore mediaticamente narrato come un “normalizzatore”, significa che fin qui sente di aver vissuto in una irregolarità. È difficile da spiegare dopo soli tre mesi alla platea del tifo, dalla quale poi si esigono pazienza e razionalità. È difficile dirle che sbaglia a sentirsi smarrita quando l’allenatore dell’Inter è un totem della Juve, quello della Juve voleva farsi simbolo di Napoli, quello del Napoli è una bandiera del Milan e quello del Milan ha messo in piazza il suo tifo per l’Inter. La pancia è del tifoso, a tutti prima o poi tocca fare i conti con i fischi o con la gogna di un hashtag. Ma se gli ex calciatori vogliono cambiare il calcio, mostrino al calcio la loro diversità.