Corriere dello Sport

Un normalizza­tore per ripartire

- Di Angelo Carotenuto

L’esercizio della pazienza, se non vogliamo chiamarla arte, al calcio non viene naturale. Deve trattarsi di un impediment­o cronico.

L’esercizio della pazienza, se non vogliamo chiamarla arte, al calcio non viene naturale. Deve trattarsi di un impediment­o cronico - quasi un bug di sistema - se nel momento di firmare la loro prima decisione rilevante da dirigenti, sterzando dall’est di Giampaolo all’ovest di Pioli, due ex calciatori con 1.282 partite da profession­isti alle spalle si regolano come chi ne ha giocate 1.282 meno di loro, come avrebbe fatto un qualunque imprendito­re proprietar­io di qualche centro commercial­e. Ci sono cascati finanche Boban e Maldini. Come se non fosse possibile neppure a un vecchio campione rinunciare a un vecchio schema. Il punto è che il Milan di oggi non ha margini di attesa. Si presume che nessuno più di Boban e Maldini sappia cosa succede dentro le pareti di casa - ed è forse questa la lezione che ci lascia la svolta rossonera, il segno generale di una resa, il segno dell’impossibil­ità di portare le buone intenzioni dentro le mura del regno del pallone. Il mondo è pieno di rivoluzion­ari convertiti. Non parliamo poi dell’Italia.

Se d’altra parte al Tottenham consideran­o l’ipotesi di separarsi dall’allenatore che ha cambiato il corso del cammino al club, fino a condurlo in finale di Coppa dei Campioni, perché il Milan non dovrebbe fermarsi a ragionare - decimo com’è, senza un minuto in Champions da sei anni - sull’eventualit­à di aver sbagliato la propria scelta un’estate fa? Salvato per qualche settimana dalla suggestion­e di un confronto tra la sua posizione e quella del celebre Arrigo nel glorioso 87/88, Marco Giampaolo misura sulla sua pelle la distanza che passa tra la totale condivisio­ne di un’idea rivoluzion­aria (Berlusconi/Galliani/Sacchi) e l’adesione di un istante a una moda, a uno Zeigeist, allo spirito del tempo che assegna il credito del bel gioco a 30 passaggi consecutiv­i. Se ora il Milan si affida a Pioli, un allenatore mediaticam­ente narrato come un “normalizza­tore”, significa che fin qui sente di aver vissuto in una irregolari­tà. È difficile da spiegare dopo soli tre mesi alla platea del tifo, dalla quale poi si esigono pazienza e razionalit­à. È difficile dirle che sbaglia a sentirsi smarrita quando l’allenatore dell’Inter è un totem della Juve, quello della Juve voleva farsi simbolo di Napoli, quello del Napoli è una bandiera del Milan e quello del Milan ha messo in piazza il suo tifo per l’Inter. La pancia è del tifoso, a tutti prima o poi tocca fare i conti con i fischi o con la gogna di un hashtag. Ma se gli ex calciatori vogliono cambiare il calcio, mostrino al calcio la loro diversità.

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