Corriere dello Sport

Matteo serve per le Finals

Parigi, Berrettini cerca i punti per il Masters di Londra: stasera debutto contro Tsonga

- Di Stefano Semeraro

Pressione, pressione, pressione. E’ la materia di cui si cibano i campioni. Di quelli che puntano in alto e sono, si sentono, costretti a vincere. Matteo Berrettini a Parigi punta alle Atp Finals, un traguardo che sarebbe sembrato folle a inizio anno e che ora è lì, ad un passo. «Impossible non pensarci», ha ammesso il Beretta a Vienna, dove arrivando in semifinale ha messo in cassaforte un tesoretto che potrebbe rivelarsi fondamenta­le. «Fino a che non c’è la qualificaz­ione aritmetica, però, non c’è nulla», ha tagliato corto. «Farcela sarebbe un sogno, se non dovessi riuscirci non sarebbe un dramma». Verissimo. Ma quando ci arrivi così vicino, al sogno…

DEBUTTO. Al momento Matteo è dentro, numero 8 della Race. Oggi debutta al primo turno contro uno degli eroi di casa, Jo-Wilfried Tsonga, e a Bercy il pubblico sa come farsi sentire. Un passo falso potrebbe costargli caro, come è capitato ieri a Khachanov, inciampato al primo ostacolo sul martello tedesco di Jan-Lennard Struff, il tennista onomatopei­co. Di avversari sulla carta a Matteo ne rimangono sette, arrivando in finale però avrebbe la certezza di sbaragliar­li tutti.

ARMA IN PIU’. Quando si ha il destino in mano il nemico peggiore,

norma, è quello che ti combatte dentro: l’ansia da prestazion­e, la paura di scivolare ad un passo dal traguardo. Matteo però ha un’arma in più, il servizio. Meglio: il servizio in situazioni di stress. E’ vero che a luglio sul Centre Court di Wimbledon contro Federer, l’unica occasione in cui si è fatto bloccare dalla tensione, neanche il servizio gli è…. servito a molto, ma uno studio di Craig O’ Shannessy, il video analyst che collabora con l’Atp e con lo stesso Berrettini, ha dimostrato che nei momenti di stress la prima palla del romano è la più efficace in assoluto. In media quando la mette in campo

Matteo ne ricava il 78,68 per cento di punti, l’ottava migliore percentual­e nel Tour che però sale ad un fantastico 84,87 in occasione delle palle-break. Quando il gioco si fa duro, insomma, Matteo non ha paura di giocare. Al secondo posto, ma staccato di quasi 5 punti, c’è proprio Struff, al terzo il bombardier­e americano John Isner. Appena fuori dal podio il Genio in persona, Roger Federer, con il 78,99 per cento, mentre quinto si piazza Nick Kyrgios, uno abituato a tirare la seconda anche più forte della prima.

IN ALTO. Gli ace di seconda di Nick il selvaggio però, molto spesso, sono fughe in avanti; Matteo invece, anche senza piazzare l’ace, nei momenti più ‘caldi’ riesce quasi sempre a confeziona­re un servizio vincente, o comunque a mettere in grande difficoltà l’avversario. A impression­are ancora di più è il fatto che mentre Berrettini affrontand­o una palla-break alza del 6,58 la sua percentual­e di punti vinti, gli altri nove migliori del circuito la abbassano del 2,06. Una qualità innata e anche costruita, «Metà merito dei suoi genitori - come spiega il mental coach di Berrettini, Stefano Massari - e metà allenata nel corso del tempo. Matdi teo ha imparato a pensare che se anche sbaglia non è un dramma, non ne uscirà sminuito come persona. E’ pronto ad accettare l’errore, e quindi sbaglia di meno. Con Federer si era bloccato, ma era riuscito a digerire la sconfitta con l’ironia, anche se si trattava di una figuraccia davanti a milioni di telespetta­tori. Già con Nadal è andata molto meglio: ormai si era costruito “l’enzima”. E a New York, dopo quel doppio fallo con Monfils che poteva costargli la semifinale, si è detto: ‘me la sono fatta sotto, okay. Ma è normale, perché questa è la partita più importante della mia carriera. Quindi non pensiamoci più, e continuiam­o a giocare’. E quella partita l’ha vinta». Questione di cuore. Di cervello. E di enzimi.

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