Itoje, il poeta incubo degli All Blacks
Quindici placcaggi riusciti, dieci touche catturate, otto palloni portati, tre turnover forzati. Sono le cifre, mostruose, di Maro Itoje nella semifinale contro gli All Blacks. Mostruose in assoluto e ancor di più se si considera la qualità degli avversari. Ma quello che i numeri non dicono sono le unghiate tirate dal ragazzo nei momenti chiave. Un pallone strappato al mediano Aaron Smith, materializzandosi da non si sa dove oltre un raggruppamento, e un placcaggio devastante, d’incontro, su Sam Whitelock mentre i neozelandesi stavano producendo il massimo sforzo. Un’azione che psicologicamente vale quanto una meta. Assegnare titolo di “uomo-partita” non è mai stato così facile.
Il bello - o il brutto, dipende se avete parenti Down Under - è che il giovane inglese era stato eletto “man of the match” contro gli All Blacks anche nel giorno della vittoria dei Lions a Wellington, due anni fa. Sabato scorso a fine gara, mentre i tifosi della Rosa cantavano “Oh-Ma-ro-Ito-je” sulle note di “Seven Nations Army”, il c.t. dei neri, Steve Hansen, è sceso in campo ed è andato a stringergli la mano. Un gesto che vale più di una laurea.
Nell’Inghilterra che sabato sfiderà il Sudafrica a Yokohama, Coppa del Mondo in palio, Maro Itoje è l’arma definitiva, il campione assoluto. I campagni lo chiamano “il Prescelto”, come Lebron James, o “la Perla Nera”, come il veliero di Jack Sparrow nella saga dei “Pirati dei Caraibi”. Un decatleta prestato al rugby dai mezzi fisici eccezionali (115 kg per 1.95), un mentale d’acciaio e una spavalderia che sfiora la supponenza. «Per essere il migliore devi battere i migliori», aveva detto alla vigilia del match con gli All Blacks citando Ric Flair, mito del wrestling. Nulla di sorprendente per un ragazzo che, campione del mondo con l’Inghilterra U.20, ha debuttato con i Saracens a 19 anni, con l’Inghilterra a 21 - a Roma, contro l’Italia - e nei Lions britannici ad appena 22. Oggi che ne ha “solo” 25, la sua bacheca conta due Sei Nazioni (con un Grand Slam), tre Champions e quattro titoli di Premiership...
RADICI. Maro, diminutivo di Oghenemaro, è nato a Londra da genitori nigeriani (Efe e Florence), emigrati in Inghilterra nel 1992. Le radici affondano nel delta del fiume Niger, in una cittadina di nome Warri. E lui è molto legato alle sue origini, al punto da frequentare la Scuola di studi orientali e africani di Londra. «La Nigeria è importante per me dice - il mio sangue viene da lì e noi sentiamo forte la tradizione familiare. Quand’ero piccolo trascorrevo sempre l’estate dai nonni, ma una volta entrato nell’Academy dei Saracens non è stato più possibile: rientravo con troppi chili in più...».
Da ragazzino il nostro lanciava il peso e «non ero male, ma il rugby era più divertente». Gli inizi all’Harpenden, piccolo club di Sesta Divisione inglese che ha svezzato anche Owen Farrell e George Ford, capitano e apertura del XV della Rosa. Leggenda vuole che fosse terribilmente scoordinato e i tecnici non credevano troppo in lui. Ma la testa e la voglia di sfondare possono molto, se non tutto. L’esempio di Muhammad Ali, il suo idolo d’infanzia, era lì a indicargli la strada. Sin da adolescente Itoje si allenava da solo alle 7 di mattina, prima di andare a scuola
Oggi lo paragonano a Martin Johnson, il carismatico capitano dell’Inghilterra mondiale nel 2003. E il pilone anglo-tongano Mako Vunipola garantisce che «Maro è veramente forte. Vabbè, non sa cantare nè ballare, ma non si può avere tutto dalla vita». In compenso ama scrivere poesie, per concentrarsi o rilassarsi. «Nulla di che, ma i compagni mi considerano Shakespeare».
Intanto nelle buie serate neozelandesi, le mamme hanno un’arma in più per domare i figlioletti riottosi: «Guarda che se non vai a letto chiamo Maro Itoje». God save the Springboks.
Di origini nigeriane è già stato due volte “uomo partita” contro i tuttineri
Demolisce i rivali adora Muhammad Ali, ma si rilassa scrivendo poesie