La partita da 790 milioni di euro passa dal “closing” per lo stadio
Il valore del brand e il patrimonio netto, la “rosa” e il patrimonio immobiliare, che sarà decisivo
Superata l’attesa per il preliminare di vendita del gruppo AS Roma, l’interesse degli addetti ai lavori si sposta, inevitabilmente, sul prezzo di vendita (790 milioni di euro), considerato record e per certi versi troppo elevato per il mercato italiano.
L’analisi parte dai “fondamentali” del brand giallorosso alla luce dell’offerta di Dan Friedkin. Esaminati nello specifico gli ultimi 5 bilanci aziendali (periodo 2015-2019). Il valore netto della produzione, nel 2015, è stato pari a 180,62 milioni di euro, per poi salire a 219,42 milioni (2016), prima di scendere a
Passivo, quest’ultimo, ancora più pesante senza le cessioni di Kostas Manolas e Luca Pellegrini per complessivi 52 milioni di euro.
Il patrimonio netto del club, al 30 giugno 2019, è risultato negativo per 127.452.000 di euro. Ecco perché è necessaria la ricapitalizzazione, del valore di 150 milioni di euro, inserita nel preliminare tra James Pallotta e Dan Friedkin. L’obiettivo è ricostituire il patrimonio per garantire la “continuità aziendale”. Sempre nell’offerta da 790 milioni vi è l’impegno all’abbattimento dell’esposizione finanziaria (circa 270 milioni di euro). Al netto di queste operazioni l’impegno economico dell’imprenditore texano è misurabile in 370 milioni di euro. C’è da notare che la “media fatturato” del club capitolino, nell’ultimo quinquennio, è stato pari a 211,73 milioni di euro. Ma è anche vero che le spese per il “personale” rappresentano ormai il 79,2% del fatturato netto (bilancio giugno 2019), un indicatore molto negativo sul terreno del Fair play finanziario.
A Friedkin spetterà il compito più difficile Posare la prima pietra del nuovo impianto
La gestione Pallotta, impegnata sin dal primo anno (primavera 2011) nella cessione di molti pezzi pregiati della “rosa”, non è riuscita a coprire i costi di produzione. Nel periodo 2015-2019, infatti, sono stati sempre superiori ai ricavi prodotti dall’area commerciale.
Ulteriori parametri da valutare nell’esame del prezzo di vendita sono il valore del brand, la “rosa” e il patrimonio immobiliare (presente e futuro). Nel 2018, “Brand Finance”, società londinese specializzata nell’analisi del valore dei “marchi aziendali”, ha inserito l’AS Roma al 24° posto, nella classifica dedicata ai brand sportivi, per un controvalore di 216 milioni di euro (in linea pertanto con il fatturato medio dell’ultimo quinquennio).
Molto più elevato è il valore della squadra, stimato dal portale internazionale “Transfermarkt” in 443 milioni di euro (con Nicolò Zaniolo valutato in 50 milioni di euro). Mentre l’AS Roma inserisce, nell’ultimo bilancio (giugno 2019), un “valore rosa” più prudenziale: 253,82 milioni di euro.
Discorso a parte merita il patrimonio immobiliare. Il Centro di allenamento di Trigoria, per anni sede storica della società (adesso gli uffici commerciali e amministrativi sono concentrati nel quartiere dell’Eur), è valorizzato in oltre 30-35 milioni di euro, con un contratto di “sale & lease back” in scadenza proprio nel prossimo anno. Un tipico strumento di finanziamento (attivato nel 2005 dalla proprietà Sensi) mediante la cessione di un bene ad una società di leasing, con riacquisto a termine attraverso il pagamento dei canoni contrattualmente previsti.
L’AFFAIRE STADIO. In attesa di analizzare le linee guida del piano industriale (oltre che sportivo) del futuro proprietario della Roma, l’attenzione si sposta sul progetto del futuro stadio della Roma. La società che dovrebbe sviluppare l’operazione dell’impianto di Tor di Valle, dopo l’ottenimento dei permessi, è “Stadio TDV” ed è controllata al 100% dalla stessa controllante di AS Roma, cioè Neep Roma holding. Terminata quindi la due diligence per l’acquisizione del gruppo AS Roma, Dan Friedkin si lancerà in un’operazione ancora più complicata, ovvero l’apertura ufficiale del cantiere per la costruzione dello stadio.
Un affaire complicato sia ai tempi dei Sensi, sia per gli “uomini” di Pallotta e dove ben tre sindaci (nello specifico Gianni Alemanno, Ignazio Marino e adesso Virginia Raggi) si sono letteralmente impantanati senza riuscire a trovare una soluzione concreta.