«Simone ottimista Pippo ossessivo ecco i loro segreti»
«Che stagione con Lazio e Benevento Il primo è sempre positivo, il secondo disegna persino gli schemi a tavola Mai frizioni tra i miei figli vincenti»
Lo chiamano Gianca, mica papà. Complicità non scontata di rapporto. Una triangolazione stupenda. I suoi figli sono Pippo e Simone, i fratelli del calcio italiano. Sfondavano le reti. Ora stracciano record in panchina. Alle undici di mattina il signor Inzaghi aveva appena finito di leggere i giornali catturati in edicola (solo carta stampata, niente web), stava passeggiando sotto il sole di Abano Terme e aveva già sentito al telefono l’allenatore della Lazio, pronto a salire in macchina per raggiungere Formello. Il tecnico del Benevento, chiuso un girone d’andata da applausi in Serie B, era in volo verso le isole Maldive. Padre, consigliere, amico fidato, forse anche manager. Giancarlo, detto Gianca, è tutto per gli Inzaghi.
Mica male chiudere l’anno con la Supercoppa a Riyad di Simone e il record in Serie B di Pippo? «E’ stata un’annata eccezionale, di grandi soddisfazioni, posso dire di averne vissute tante nel calcio grazie ai miei figli. Qualcosina abbiamo vinto. Fa piacere, sono giornate bellissime, da conservare nel cuore. L’esperienza ci insegna che si può passare dai momenti bellissimi ad altri meno belli, ma ce ne facciamo una ragione».
Parla con il noi. E’ una triangolazione unica con Pippo e Simone. «Il rapporto è rimasto lo stesso di quando erano bambini e sono passati 40 anni, li sento tre o quattro volte al giorno. La prima telefonata, 4 minuti dopo la fine di una partita, mi arriva sempre da Simone. Magari solo per dirmi due parole. Mi ha chiamato da Riyad, era ancora in campo. Pippo mi chiama dopo 15-20 minuti, a volte contesta le mie considerazioni tattiche. “Ma cosa stai dicendo?“mi risponde. Abbiamo un rapporto unico». Cosa le ha detto Pippo al telefono dopo aver sbriciolato il record della Juve in B?
«In bianconero giocavano Buffon, Del Piero, Trezeguet, Camoranesi, qualche nome importante c’era... Centrare un’impresa del genere alla guida del Benevento è stata una soddisfazione enorme. Un grande risultato. Lo stesso vale per la Supercoppa di Riyad. L’unità di gruppo del Benevento e della Lazio sta facendo la differenza. Non è scontato averla. Diventa determinante per vincere e ottenere certi risultati».
Simone era collegato?
«Era appena atterrato a Roma, stava scendendo le scalette dell’aereo, non mi ha fatto parlare. Ho risposto e mi ha detto: “Gol di Tuia”. Io stavo vedendo la partita in tv, mi ha anticipato, lo sapeva già. Il Benevento sta facendo una cavalcata incredibile». Mai stata invidia o gelosia tra Pippo e Simone?
«Mai. Non esiste neanche la parola nel nostro vocabolario. Non è pronunciabile. Uno gode delle vittorie dell’altro e soffre se perde l’altro. Mai sentito una critica, da parte di tutti e due, nei confronti del fratello».
Il 26 dicembre di un anno fa si sono affrontati in Bologna-Lazio. Ora può parlarne liberamente.
«Sapevo come sarebbe andata a finire prima di salire in tribuna al Dall’Ara. Il Bologna poi è cambiato, si è rinforzato. L’ho vissuta con emozione, è stato bello vederli abbracciati davanti alle panchine. Era una partita diversa dalle altre, ma non c’erano motivi per cui mi dovessi sentire agitato. Sapevo come poteva finire. La differenza tra le due squadre era sostanziale».
Adesso si gode le vacanze anche Gianca.
«Sì. Mi rilasso, durante le feste stava giocando solo Filippo. Le sorprese ci possono stare, ma il Benevento è una grandissima realtà. Tutti si rendono conto della forza di squadra e di gruppo. Lo stesso discorso vale per la Lazio. Gran bella squadra. Poi magari con altri 8-10 innesti...». Come funziona a casa quando i suoi figli vanno in panchina? «Viviamo la partita separati. Mia moglie in camera. Io mi ritiro in salotto. Le tapparelle sono abbassate, non deve filtrare un filo di luce. Dopo un quarto d’ora comincia a salire un po’ di fumo. Le sigarette di venerdì, sabato e domenica diventano la mia trasgressione. Durante la settimana non fumo. E poi un goccino di nocino oppure di bargnolino, il liquore della nostra regione». Cosa è cambiato rispetto all’epoca in cui giocavano?
«Sono cambiate le considerazioni. Allenare è molto più difficile. Quando giochi, badi a te stesso, ti curi e basta. Ora Pippo e Simone, con la collaborazione delle società, devono pensare a trenta-quaranta persone. Le preoccupazioni sono tante. Mi emoziono di più rispetto a quando giocavano. Sembra strano, ma è così. Comincio ad andare in fibrillazione il venerdì, conto le ore prima delle partite. Sono ore lunghe. Le passo camminando nei boschi, ma il pensiero è sul campo. Pensavo fosse un’emozione minore, non è assolutamente vero. Mi rendo conto, vedendoli lavorare negli spogliatoi, di un impegno enorme, i giornali addosso, le discussioni, le critiche, gli elogi. Ci sono tante cose a cui un allenatore deve dare una risposta».
Questo spirito competitivo glielo ha trasmesso il padre? «Nooo... Io sono uno tranquillo .... Mi comincio ad agitare alle 8 di mattina e finisco a mezzanotte... Non posso avergli inculcato niente, a parte la grande passione per il calcio e un’educazione che viene dalla famiglia. Mai avuto bisogno di fargli una critica fuori dal calcio. I miei due figli hanno avuto un comportamento esemplare, lo dico sinceramente e non perché sono il padre. Ora spero nei nipoti. Tommaso è un bravo studente, vive a Londra, non mi sembra portatissimo per il calcio. Lorenzo lo aspetto, mi sembra che abbia talento».
E’ vero che Pippo fa gli schemi a tavola?
«Sempre. E’ successo anche quando ha avuto la prima riunione con il presidente del Benevento a Posillipo. Lo ha raccontato proprio Vigorito, persona amabilissima. “Mi ha impressionato - diceva - perché dopo dieci minuti già faceva la formazione disponendo le arance sul tavolo”. E’ stato conquistato dalla fame che gli stava dimostrando Pippo nonostante la carriera di centravanti».
Simone, quando finisce di lavorare, riesce a staccare? «L’impressione è che stacchi. “Non ci pensare, lo so io come stacca dopo le partite...” mi dice Gaia, sua moglie. Non lo dà a vedere».
La passione per il calcio come gliel’ha trasmessa? «Giocavano nel San Nicolò. Uno aveva sei anni e l’altro nove. Con meno 5 e un freddo cane, eravamo ogni domenica allo stadio del Piacenza, mai saltata una partita. Aspettavano che i giocatori uscissero per l’autografo. Mulinacci, il numero 9, era il loro idolo. Poi sono diventati dei centravanti. L’ho già raccontato. Se penso ai regali, mi vengono in mente cento o duecento palloni. Altro che trenini o macchinine. Qualche libro, loro due e un pallone sotto al braccio sul campo di Ferriere, in montagna, dove ab
«Pippo è ossessivo e faceva gli schemi a tavola con la frutta Così ha conquistato Vigorito. Il record? Neanche la Juve andava così forte»
«Simone deluso solo quando perse all’ultima giornata la Champions, ma non lo dava a vedere Si tiene tutto dentro e sa nascondere»
«Mi emoziono più di quando giocavano Ho pronto il quadro con la Supercoppa: nessuno potrà più toglierci quel che è stato già vinto»
«Simone, quando perde, è il primo che mi tranquillizza: “Vedrai, mi risollevo abbiamo la forza e il gruppo per farlo” Non si abbatte mai»
«Il piccolo Lorenzo giocherà a calcio e da Pippo aspetto un altro nipote
Ne ho già due meravigliosi, se lo stampo è questo...»
biamo casa. Cominciavano alle 9,30. Mia moglie andava a prenderli alle 12,30. Alle 15 erano di nuovo a giocare e finivano alle 7 del pomeriggio. State intervistando me, ma la persona che ha l’80 per cento del merito è mia moglie Marina. Ha una pazienza incrollabile. Il rapporto di Pippo e Simone con la mamma è incredibile».
Era faticoso tenerli a freno?
«Avevamo una mansarda, diventava un campetto. Loro due usavano il camino come fosse una porta, l’altra era la porta del bagno dalla parte opposta. Prendevano quattro-cinque calze e arrotolandole ne facevano un pallone. Appena strillavo e salivo per dirgli di smettere, li trovavo seduti sul divano, grondanti di sudore. “Mica è vero che stiamo giocando”, dicevano. Un giorno, giocando in mansarda, Pippo si ruppe il metatarso. Non appoggiava
il piede a terra e mi diceva: “Non mi sono fatto niente”».
I primi successi?
«Al torneo dei bar a Ferriere. Avevano 12 e 15 anni. Li mettevano dentro squadre fatte da gente di 30-35 anni. Sai che rivalità in paese. Pippo cominciò a prendere i primi ingaggi importanti. Un giorno mi disse: “Non gioco più con il bar tabaccheria, ma con la squadra della pizzeria di Barbara, perché ogni partita
vinta mi offrono tre pizze”. Aggiungeva una condizione. Giocava soltanto se poteva inserire suo fratello in squadra. Pippo la buttava dentro. Simone a 12 anni aveva finta e controfinta. Me lo ricordo da ragazzino, era un fenomeno. Segnò 100 gol in un anno con gli Esordienti del San Nicolò. Era mezzo metro più alto degli altri».
Oggi che effetto le fa vedere Simone con gli occhiali?
«Mi ha lasciato perplesso le prime volte, sono lenti riposanti e per leggere, è bene non stressare la vista. Mi fa pensare che gli anni passano per tutti. Tanto alleneremo altri 25 anni e poi basta...».
Pippo non lo vorrebbe vedere sposato?
«E’ già come se lo fosse con Angela. Mi piacerebbe avere un altro nipote, dico la verità. Ne ho già due meravigliosi. Se lo stampo è questo, andiamo bene».
Di cosa è più orgoglioso dei suoi figli?
«Perché possono essere un esempio di serietà e di correttezza per i giovani. Lo dico perché lo meritano. Uno ha 47 anni e l’altro 44: nei miei confronti non hanno mai cambiato il tono di voce, eppure a una certa età poteva succedere. Quando mi capita di rimproverarli per una formazione, un cambio o uno stop sbagliato, si rifugiano dalla mamma: “Digli qualcosa perché oggi è insopportabile”».
Avete mai pensato, solo per gioco, a una squadra tutta vostra?
«La teniamo come estrema soluzione se le cose non andassero bene. Compriamo noi la squadra. Allenatore in prima e in seconda una settimana a testa. Io sono il presidente e faranno quello che dico io».
Per Pippo è stata dura dopo il Milan?
«Mi sembra sia stata dura anche per altri 8-9 allenatori arrivati dopo... Psicologicamente ha reagito subito. Dopo aver lasciato il Bologna, disse: “Mi prendo un anno e mezzo sabbatico, mi riposo e mi rilasso”. Tre settimane più tardi arrivò un’altra telefonata: “Devo tornare subito ad allenare, altrimenti divento matto”».
La Champions mancata nel 2018 è stata la vera delusione per Simone? «Il campionato si poteva chiudere con due o tre partite d’anticipo, perdere il quarto posto all’ultima giornata con l’Inter è stata dura. Se fosse successo a Pippo... Simone era dispiaciuto, ma lo nascondeva bene, come nasconde fitta. E’ un adesso positivo qualche di natura scon- e ti dice: ci risolleviamo, “Non ti preoccupare abbiamo perché la forza e il gruppo per farlo, alleno dei ragazzi meravigliosi”. Un gruppo così, dico io, devi essere bravo a crearlo».
Papà Inzaghi in estate ad Auronzo disse “con la Lazio ne faremo tribolare tante”. «Vero. Ci stiamo divertendo. Le cose possono cambiare, ma quanto è stato fatto sinora non ce lo toglie più nessuno».
Anche a Moena, in ritiro con il Benevento, aveva buone sensazioni? «A Moena sono stato una settimana, ho capito che si trattava di un bel gruppo, avrebbero lottato in mezzo ad altre 5-6 squadre forti, ma non li immaginavo così forti».
Champions e Serie A per il 2020 vanno bene?
«Non ne voglio parlare, non pronunciamo quelle parole. Diciamo questo. Lotteremo sino alla fine e spauracchio di tutte in campo. Benevento e Lazio potranno anche perdere, ma per le avversarie sarà sempre dura».
Nella vostra palestra di San Nicolò lavori in vista? Qualche altra foto da sistemare? «Ieri il nostro amico Gianni Scaglia mi ha inviato il collage appena preparato di Pippo e Simone. Dentro ci sono le foto con il successo in Supercoppa e il record del Benevento. Un metro e cinquanta per uno e cinquanta, cornice in legno. Il quadro è già a casa».