Corriere dello Sport

«Simone ottimista Pippo ossessivo ecco i loro segreti»

«Che stagione con Lazio e Benevento Il primo è sempre positivo, il secondo disegna persino gli schemi a tavola Mai frizioni tra i miei figli vincenti»

- Di Fabrizio Patania

Lo chiamano Gianca, mica papà. Complicità non scontata di rapporto. Una triangolaz­ione stupenda. I suoi figli sono Pippo e Simone, i fratelli del calcio italiano. Sfondavano le reti. Ora stracciano record in panchina. Alle undici di mattina il signor Inzaghi aveva appena finito di leggere i giornali catturati in edicola (solo carta stampata, niente web), stava passeggian­do sotto il sole di Abano Terme e aveva già sentito al telefono l’allenatore della Lazio, pronto a salire in macchina per raggiunger­e Formello. Il tecnico del Benevento, chiuso un girone d’andata da applausi in Serie B, era in volo verso le isole Maldive. Padre, consiglier­e, amico fidato, forse anche manager. Giancarlo, detto Gianca, è tutto per gli Inzaghi.

Mica male chiudere l’anno con la Supercoppa a Riyad di Simone e il record in Serie B di Pippo? «E’ stata un’annata eccezional­e, di grandi soddisfazi­oni, posso dire di averne vissute tante nel calcio grazie ai miei figli. Qualcosina abbiamo vinto. Fa piacere, sono giornate bellissime, da conservare nel cuore. L’esperienza ci insegna che si può passare dai momenti bellissimi ad altri meno belli, ma ce ne facciamo una ragione».

Parla con il noi. E’ una triangolaz­ione unica con Pippo e Simone. «Il rapporto è rimasto lo stesso di quando erano bambini e sono passati 40 anni, li sento tre o quattro volte al giorno. La prima telefonata, 4 minuti dopo la fine di una partita, mi arriva sempre da Simone. Magari solo per dirmi due parole. Mi ha chiamato da Riyad, era ancora in campo. Pippo mi chiama dopo 15-20 minuti, a volte contesta le mie consideraz­ioni tattiche. “Ma cosa stai dicendo?“mi risponde. Abbiamo un rapporto unico». Cosa le ha detto Pippo al telefono dopo aver sbriciolat­o il record della Juve in B?

«In bianconero giocavano Buffon, Del Piero, Trezeguet, Camoranesi, qualche nome importante c’era... Centrare un’impresa del genere alla guida del Benevento è stata una soddisfazi­one enorme. Un grande risultato. Lo stesso vale per la Supercoppa di Riyad. L’unità di gruppo del Benevento e della Lazio sta facendo la differenza. Non è scontato averla. Diventa determinan­te per vincere e ottenere certi risultati».

Simone era collegato?

«Era appena atterrato a Roma, stava scendendo le scalette dell’aereo, non mi ha fatto parlare. Ho risposto e mi ha detto: “Gol di Tuia”. Io stavo vedendo la partita in tv, mi ha anticipato, lo sapeva già. Il Benevento sta facendo una cavalcata incredibil­e». Mai stata invidia o gelosia tra Pippo e Simone?

«Mai. Non esiste neanche la parola nel nostro vocabolari­o. Non è pronunciab­ile. Uno gode delle vittorie dell’altro e soffre se perde l’altro. Mai sentito una critica, da parte di tutti e due, nei confronti del fratello».

Il 26 dicembre di un anno fa si sono affrontati in Bologna-Lazio. Ora può parlarne liberament­e.

«Sapevo come sarebbe andata a finire prima di salire in tribuna al Dall’Ara. Il Bologna poi è cambiato, si è rinforzato. L’ho vissuta con emozione, è stato bello vederli abbracciat­i davanti alle panchine. Era una partita diversa dalle altre, ma non c’erano motivi per cui mi dovessi sentire agitato. Sapevo come poteva finire. La differenza tra le due squadre era sostanzial­e».

Adesso si gode le vacanze anche Gianca.

«Sì. Mi rilasso, durante le feste stava giocando solo Filippo. Le sorprese ci possono stare, ma il Benevento è una grandissim­a realtà. Tutti si rendono conto della forza di squadra e di gruppo. Lo stesso discorso vale per la Lazio. Gran bella squadra. Poi magari con altri 8-10 innesti...». Come funziona a casa quando i suoi figli vanno in panchina? «Viviamo la partita separati. Mia moglie in camera. Io mi ritiro in salotto. Le tapparelle sono abbassate, non deve filtrare un filo di luce. Dopo un quarto d’ora comincia a salire un po’ di fumo. Le sigarette di venerdì, sabato e domenica diventano la mia trasgressi­one. Durante la settimana non fumo. E poi un goccino di nocino oppure di bargnolino, il liquore della nostra regione». Cosa è cambiato rispetto all’epoca in cui giocavano?

«Sono cambiate le consideraz­ioni. Allenare è molto più difficile. Quando giochi, badi a te stesso, ti curi e basta. Ora Pippo e Simone, con la collaboraz­ione delle società, devono pensare a trenta-quaranta persone. Le preoccupaz­ioni sono tante. Mi emoziono di più rispetto a quando giocavano. Sembra strano, ma è così. Comincio ad andare in fibrillazi­one il venerdì, conto le ore prima delle partite. Sono ore lunghe. Le passo camminando nei boschi, ma il pensiero è sul campo. Pensavo fosse un’emozione minore, non è assolutame­nte vero. Mi rendo conto, vedendoli lavorare negli spogliatoi, di un impegno enorme, i giornali addosso, le discussion­i, le critiche, gli elogi. Ci sono tante cose a cui un allenatore deve dare una risposta».

Questo spirito competitiv­o glielo ha trasmesso il padre? «Nooo... Io sono uno tranquillo .... Mi comincio ad agitare alle 8 di mattina e finisco a mezzanotte... Non posso avergli inculcato niente, a parte la grande passione per il calcio e un’educazione che viene dalla famiglia. Mai avuto bisogno di fargli una critica fuori dal calcio. I miei due figli hanno avuto un comportame­nto esemplare, lo dico sinceramen­te e non perché sono il padre. Ora spero nei nipoti. Tommaso è un bravo studente, vive a Londra, non mi sembra portatissi­mo per il calcio. Lorenzo lo aspetto, mi sembra che abbia talento».

E’ vero che Pippo fa gli schemi a tavola?

«Sempre. E’ successo anche quando ha avuto la prima riunione con il presidente del Benevento a Posillipo. Lo ha raccontato proprio Vigorito, persona amabilissi­ma. “Mi ha impression­ato - diceva - perché dopo dieci minuti già faceva la formazione disponendo le arance sul tavolo”. E’ stato conquistat­o dalla fame che gli stava dimostrand­o Pippo nonostante la carriera di centravant­i».

Simone, quando finisce di lavorare, riesce a staccare? «L’impression­e è che stacchi. “Non ci pensare, lo so io come stacca dopo le partite...” mi dice Gaia, sua moglie. Non lo dà a vedere».

La passione per il calcio come gliel’ha trasmessa? «Giocavano nel San Nicolò. Uno aveva sei anni e l’altro nove. Con meno 5 e un freddo cane, eravamo ogni domenica allo stadio del Piacenza, mai saltata una partita. Aspettavan­o che i giocatori uscissero per l’autografo. Mulinacci, il numero 9, era il loro idolo. Poi sono diventati dei centravant­i. L’ho già raccontato. Se penso ai regali, mi vengono in mente cento o duecento palloni. Altro che trenini o macchinine. Qualche libro, loro due e un pallone sotto al braccio sul campo di Ferriere, in montagna, dove ab

«Pippo è ossessivo e faceva gli schemi a tavola con la frutta Così ha conquistat­o Vigorito. Il record? Neanche la Juve andava così forte»

«Simone deluso solo quando perse all’ultima giornata la Champions, ma non lo dava a vedere Si tiene tutto dentro e sa nascondere»

«Mi emoziono più di quando giocavano Ho pronto il quadro con la Supercoppa: nessuno potrà più toglierci quel che è stato già vinto»

«Simone, quando perde, è il primo che mi tranquilli­zza: “Vedrai, mi risollevo abbiamo la forza e il gruppo per farlo” Non si abbatte mai»

«Il piccolo Lorenzo giocherà a calcio e da Pippo aspetto un altro nipote

Ne ho già due meraviglio­si, se lo stampo è questo...»

biamo casa. Cominciava­no alle 9,30. Mia moglie andava a prenderli alle 12,30. Alle 15 erano di nuovo a giocare e finivano alle 7 del pomeriggio. State intervista­ndo me, ma la persona che ha l’80 per cento del merito è mia moglie Marina. Ha una pazienza incrollabi­le. Il rapporto di Pippo e Simone con la mamma è incredibil­e».

Era faticoso tenerli a freno?

«Avevamo una mansarda, diventava un campetto. Loro due usavano il camino come fosse una porta, l’altra era la porta del bagno dalla parte opposta. Prendevano quattro-cinque calze e arrotoland­ole ne facevano un pallone. Appena strillavo e salivo per dirgli di smettere, li trovavo seduti sul divano, grondanti di sudore. “Mica è vero che stiamo giocando”, dicevano. Un giorno, giocando in mansarda, Pippo si ruppe il metatarso. Non appoggiava

il piede a terra e mi diceva: “Non mi sono fatto niente”».

I primi successi?

«Al torneo dei bar a Ferriere. Avevano 12 e 15 anni. Li mettevano dentro squadre fatte da gente di 30-35 anni. Sai che rivalità in paese. Pippo cominciò a prendere i primi ingaggi importanti. Un giorno mi disse: “Non gioco più con il bar tabaccheri­a, ma con la squadra della pizzeria di Barbara, perché ogni partita

vinta mi offrono tre pizze”. Aggiungeva una condizione. Giocava soltanto se poteva inserire suo fratello in squadra. Pippo la buttava dentro. Simone a 12 anni aveva finta e controfint­a. Me lo ricordo da ragazzino, era un fenomeno. Segnò 100 gol in un anno con gli Esordienti del San Nicolò. Era mezzo metro più alto degli altri».

Oggi che effetto le fa vedere Simone con gli occhiali?

«Mi ha lasciato perplesso le prime volte, sono lenti riposanti e per leggere, è bene non stressare la vista. Mi fa pensare che gli anni passano per tutti. Tanto alleneremo altri 25 anni e poi basta...».

Pippo non lo vorrebbe vedere sposato?

«E’ già come se lo fosse con Angela. Mi piacerebbe avere un altro nipote, dico la verità. Ne ho già due meraviglio­si. Se lo stampo è questo, andiamo bene».

Di cosa è più orgoglioso dei suoi figli?

«Perché possono essere un esempio di serietà e di correttezz­a per i giovani. Lo dico perché lo meritano. Uno ha 47 anni e l’altro 44: nei miei confronti non hanno mai cambiato il tono di voce, eppure a una certa età poteva succedere. Quando mi capita di rimprovera­rli per una formazione, un cambio o uno stop sbagliato, si rifugiano dalla mamma: “Digli qualcosa perché oggi è insopporta­bile”».

Avete mai pensato, solo per gioco, a una squadra tutta vostra?

«La teniamo come estrema soluzione se le cose non andassero bene. Compriamo noi la squadra. Allenatore in prima e in seconda una settimana a testa. Io sono il presidente e faranno quello che dico io».

Per Pippo è stata dura dopo il Milan?

«Mi sembra sia stata dura anche per altri 8-9 allenatori arrivati dopo... Psicologic­amente ha reagito subito. Dopo aver lasciato il Bologna, disse: “Mi prendo un anno e mezzo sabbatico, mi riposo e mi rilasso”. Tre settimane più tardi arrivò un’altra telefonata: “Devo tornare subito ad allenare, altrimenti divento matto”».

La Champions mancata nel 2018 è stata la vera delusione per Simone? «Il campionato si poteva chiudere con due o tre partite d’anticipo, perdere il quarto posto all’ultima giornata con l’Inter è stata dura. Se fosse successo a Pippo... Simone era dispiaciut­o, ma lo nascondeva bene, come nasconde fitta. E’ un adesso positivo qualche di natura scon- e ti dice: ci risollevia­mo, “Non ti preoccupar­e abbiamo perché la forza e il gruppo per farlo, alleno dei ragazzi meraviglio­si”. Un gruppo così, dico io, devi essere bravo a crearlo».

Papà Inzaghi in estate ad Auronzo disse “con la Lazio ne faremo tribolare tante”. «Vero. Ci stiamo divertendo. Le cose possono cambiare, ma quanto è stato fatto sinora non ce lo toglie più nessuno».

Anche a Moena, in ritiro con il Benevento, aveva buone sensazioni? «A Moena sono stato una settimana, ho capito che si trattava di un bel gruppo, avrebbero lottato in mezzo ad altre 5-6 squadre forti, ma non li immaginavo così forti».

Champions e Serie A per il 2020 vanno bene?

«Non ne voglio parlare, non pronunciam­o quelle parole. Diciamo questo. Lotteremo sino alla fine e spauracchi­o di tutte in campo. Benevento e Lazio potranno anche perdere, ma per le avversarie sarà sempre dura».

Nella vostra palestra di San Nicolò lavori in vista? Qualche altra foto da sistemare? «Ieri il nostro amico Gianni Scaglia mi ha inviato il collage appena preparato di Pippo e Simone. Dentro ci sono le foto con il successo in Supercoppa e il record del Benevento. Un metro e cinquanta per uno e cinquanta, cornice in legno. Il quadro è già a casa».

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Simone Inzaghi, nato il 5 aprile 1976, e il fratello maggiore Filippo, nato il 9 agosto 1973: sono divisi dunque da tre anni di età E sono legatissim­i
Li dividono tre anni Simone Inzaghi, nato il 5 aprile 1976, e il fratello maggiore Filippo, nato il 9 agosto 1973: sono divisi dunque da tre anni di età E sono legatissim­i
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LAPRESSE Avversari in Bologna-Lazio, il 26 dicembre 2018 al Dall’Ara
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In famiglia: con i genitori, anche i due figli di Simone e la moglie Gaia
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Da sinistra, Simone e Filippo crescono: la prima comunione con papà Giancarlo; da bambini nelle prime squadre, insieme in Nazionale con il ct Dino Zoff; rivali tra i pro’ in un PiacenzaJu­ve, ancora con papà all’inizio della carriera da allenatori
Dall’album di famiglia Da sinistra, Simone e Filippo crescono: la prima comunione con papà Giancarlo; da bambini nelle prime squadre, insieme in Nazionale con il ct Dino Zoff; rivali tra i pro’ in un PiacenzaJu­ve, ancora con papà all’inizio della carriera da allenatori
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