Guardiola contro Ancelotti duello all’ombra di Klopp
City-Everton: i tecnici più blasonati devono inventarsi un ruolo nuovo
Hanno iniziato a vincere nel primo decennio del Duemila, non hanno smesso nel secondo e domani pomeriggio aprono il terzo uno di fronte all’altro, due signori da 47 titoli a contarli assieme, eppure entrambi alla ricerca di una nuova identità. Dopo aver lasciato le loro impronte digitali sulla storia del calcio recente, Ancelotti e Guardiola hanno davanti la stessa sfida, capire che ruolo giocare, e come, nel calcio del futuro. Carletto è l’uomo che ha cominciato nel modo in cui nove allenatori su dieci non riescono a finire, alzando come primo trofeo la Coppa dei Campioni, addirittura tre giorni prima della Coppa Italia. Era il 2003, aveva 44 anni e già undici d’esperienza per colpa delle ginocchia di cristallo. Pep se lo ricorda bene perché in quel 2003 giocava ancora a Brescia. Solo sei anni più tardi sarebbe toccato a lui, e adesso il conto delle celebrazioni e dei giri in cielo che i calciatori ti fanno fare lanciandoti nell’aria è in suo favore per 28 a 19.
NESSUNO COME LORO. Nessuno ha vinto più di loro in questi 19 anni, il punto è cosa fare, cosa essere, cosa diventare, dal ventesimo in avanti, da domani. Sono due uomini curiosi, tutti e due viaggiatori, più attenti all’orizzonte che all’ombelico loro, eppure entrambi portatori del proprio mondo in ogni angolo che hanno abitato. Guardiola si è trasformato in un’icona capace di andare oltre il calcio. Tiene conferenze, parla di politica, potrebbe candidarsi alla guida della Catalogna e nessuno ne sarebbe sorpreso. Ancelotti conserva la stessa aria antica di chi sta dentro ogni giornata con una leggerezza immutabile, benefica per sé e per gli altri. Uno si è costruito una narrazione da innovatore, filosofo, visionario; l’altro da straordinario gestore delle risorse umane, un semplificatore. Così che oggi Guardiola pare l’architetto ideale a cui rivolgersi se devi ridisegnare gli spazi in casa e Ancelotti il compagno perfetto che vorresti avere affianco se ti si ferma la macchina in mezzo al deserto.
REINVENTARSI. Eppure, tra i due, è Carletto quello che conosce di più l’arte di reinventarsi. Ha cambiato spesso. Ha l’insospettabile aria di averne ogni tanto bisogno. Come faccia a sembrare oggi il più sereno e il più solido tra i due, lui che è stato licenziato solo 21 giorni fa, rimane materia di studio forse per gli psicologi. Guardiola fa più fatica a nascondere una stanchezza che ormai in Inghilterra non sfugge più a nessuno. È dentro il peggior inizio di stagione della sua carriera, non vincerà il campionato e per portare agli emiri la Coppa che gli chiedono da anni sa di dover battere a febbraio il Real Madrid. Auguri. Ha attraversato questi anni da leader del pensiero futbolistico, un pensiero egemone si direbbe, costringendo l’universo dei colleghi a stargli dietro per non sembrare superati, e lasciando credere che fosse riproducibile ovunque un calcio che aveva invece bisogno di eccellenze per brillare, gli Xavi, gli Iniesta, i Messi. Quando non li ha avuti più, il guardiolismo si è dovuto evolvere. Lui lo sapeva, gli imitatori no. La faccia del Guardiola più recente è una maschera che prova a nascondere la voglia di fuga che lo tenta. Rassicura, garantisce che l’anno prossimo sarà ancora al Manchester, ma sa che pochi gli credono e teme che fra quei pochi non ci siano i suoi giocatori. «La sola cosa che possiamo fare, adesso che abbiamo 14 punti o 17 di distacco dal Liverpool, è provare a giocar bene partita dopo partita. È da folli pensare di raggiungerli ma se smettessimo di stare concentrati sulla Premier, rischieremmo di non finire tra le prime quattro».
IRRIPETIBILE. Anche Ancelotti ha sempre giocato un calcio irripetibile, nel senso che ovunque ha avuto campioni unici ma modelli da ridisegnare. Solo a Napoli sono riusciti a dargli dell’ideologo. Ha un’idea più definita del suo futuro. Si circonda di uno staff moderno che lo tiene aggiornato. Cercava un progetto laterale da curare, come uno che ha sempre fatto crescere grattacieli e adesso vuole vedere i fiori nei giardini. Era Napoli quel progetto nella sua testa, aveva creduto alla leggenda superata che fosse una città d’amore. In cinque giorni si è cercato un altro mondo da abbracciare e lo ha trovato all’Everton, dirimpettaio urbano di quel Klopp che sta ridisegnando la scena delle idee del calcio. È il rivale che di nuovo unisce questi due maestri diversi, uno in fuga dall’Italia amara e l’altro - si dice - solleticato dall’idea di tornarci: entrambi alle prese con allievi ribelli, Arteta per Pep e Gattuso per Carletto. Guardiola contro Ancelotti è proprio una bella maniera di ricominciare. Questo alla fine chiediamo al calcio, di stupirci ogni giorno senza distruggere quello che abbiamo sempre avuto.
Il primo è considerato un filosofo, il secondo un gestore. Ora hanno lo stesso rivale: Klopp