Non solo calcio
Non ha nessuna intenzione di essere il marziano a Roma che plana sulla strada trafficata mentre gli urlano di levarsi di torno. Dan Friedkin segue un piano preciso. Riguarda il calcio e molto di più. Per realizzarlo si sta alleando con la città, a bassa voce ma faccia a faccia. Il Tartufo della prima cordata statunitense mandò avanti Thomas DiBenedetto.
Non ha nessuna intenzione di essere il marziano a Roma che plana sulla strada trafficata mentre gli urlano di levarsi di torno. Dan Friedkin segue un piano preciso. Riguarda il calcio e molto di più. Per realizzarlo si sta alleando con la città, a bassa voce ma faccia a faccia. Il Tartufo della prima cordata statunitense mandò avanti Thomas DiBenedetto a dire che la squadra era stata abbastanza a lungo una principessa quando possedeva un portamento da regina. Friedkin è stato visto da lontano mentre arrivava, non ha fatto granché per nascondersi e ha messo fretta agli intermediari. James Pallotta, il Tartufo bostoniano di cui si avvertiva la presenza dietro il velo delle grandi speranze, si fece realmente vivo solo dopo qualche mese, assumendo il controllo della Roma e caricandosi di responsabilità che probabilmente non aveva compreso appieno. Friedkin sa quello che sta facendo e le sue mosse preliminari lo dimostrano.
Semina relazioni come fossero pedine, laddove Pallotta ha sciupato energie a non farsi notare. Hai visto mai, dovessero chiedermi opinioni, soldi, vittorie. Friedkin ben prima che la trattativa si esaurisse ha passato due giorni a Trigoria con il figlio, e va bene, atto dovuto. Ha preso contatti informali con l’amministrazione comunale, e va bene, aveva bisogno di sapere dello stadio e delle rane protette che lo circondano. Ma non si è fermato all’ovvio. Ha visto le autorità sportive, è penetrato nel tessuto politico e produttivo della città, ha intrecciato una rete di legami istituzionali. Da Boston, la città più europea degli Stati Uniti, gettavano su Roma sguardi freddi alla britannica, quegli sguardi un po’ così di vaga disapprovazione, perlomeno di distacco. Il tex-californiano Friedkin, cognome da regista e regista egli stesso, si è fatto un altro film. Con ogni passo che compie trasmette l’impressione di tracciare un segno per orientarsi in futuro, di marcare il territorio.
In qualche modo non lo hanno semplicemente visto arrivare. Lo hanno chiamato. Friedkin non sta solo comprando una società sportiva, a prezzo strapieno peraltro. Sembra si costruisca una casa in cui restare a lungo. E Roma, di cui la Roma è una pietra angolare, lo sta accogliendo come un alleato più che come un ospite. Si è messo in moto un meccanismo il cui fine è risvegliare una città che fu grande, che è tuttora gigantesca e meravigliosa e non riesce più a riconoscersi, sfinita dalla fuga delle aziende, dai rifiuti dispersi, dal crollo delle scale mobili, dal disincanto e dal risentimento. Friedkin ha annusato tutto questo e ha iperpagato la Roma, convinto di acquistare molto più di una squadra. Roma, la città, ha annusato Friedkin e in lui ha riconosciuto una speranza. Sembra una favola, forse è un progetto.