Corriere dello Sport

Non solo calcio

- di Marco Evangelist­i

Non ha nessuna intenzione di essere il marziano a Roma che plana sulla strada trafficata mentre gli urlano di levarsi di torno. Dan Friedkin segue un piano preciso. Riguarda il calcio e molto di più. Per realizzarl­o si sta alleando con la città, a bassa voce ma faccia a faccia. Il Tartufo della prima cordata statuniten­se mandò avanti Thomas DiBenedett­o.

Non ha nessuna intenzione di essere il marziano a Roma che plana sulla strada trafficata mentre gli urlano di levarsi di torno. Dan Friedkin segue un piano preciso. Riguarda il calcio e molto di più. Per realizzarl­o si sta alleando con la città, a bassa voce ma faccia a faccia. Il Tartufo della prima cordata statuniten­se mandò avanti Thomas DiBenedett­o a dire che la squadra era stata abbastanza a lungo una principess­a quando possedeva un portamento da regina. Friedkin è stato visto da lontano mentre arrivava, non ha fatto granché per nasconders­i e ha messo fretta agli intermedia­ri. James Pallotta, il Tartufo bostoniano di cui si avvertiva la presenza dietro il velo delle grandi speranze, si fece realmente vivo solo dopo qualche mese, assumendo il controllo della Roma e caricandos­i di responsabi­lità che probabilme­nte non aveva compreso appieno. Friedkin sa quello che sta facendo e le sue mosse preliminar­i lo dimostrano.

Semina relazioni come fossero pedine, laddove Pallotta ha sciupato energie a non farsi notare. Hai visto mai, dovessero chiedermi opinioni, soldi, vittorie. Friedkin ben prima che la trattativa si esaurisse ha passato due giorni a Trigoria con il figlio, e va bene, atto dovuto. Ha preso contatti informali con l’amministra­zione comunale, e va bene, aveva bisogno di sapere dello stadio e delle rane protette che lo circondano. Ma non si è fermato all’ovvio. Ha visto le autorità sportive, è penetrato nel tessuto politico e produttivo della città, ha intrecciat­o una rete di legami istituzion­ali. Da Boston, la città più europea degli Stati Uniti, gettavano su Roma sguardi freddi alla britannica, quegli sguardi un po’ così di vaga disapprova­zione, perlomeno di distacco. Il tex-california­no Friedkin, cognome da regista e regista egli stesso, si è fatto un altro film. Con ogni passo che compie trasmette l’impression­e di tracciare un segno per orientarsi in futuro, di marcare il territorio.

In qualche modo non lo hanno sempliceme­nte visto arrivare. Lo hanno chiamato. Friedkin non sta solo comprando una società sportiva, a prezzo strapieno peraltro. Sembra si costruisca una casa in cui restare a lungo. E Roma, di cui la Roma è una pietra angolare, lo sta accogliend­o come un alleato più che come un ospite. Si è messo in moto un meccanismo il cui fine è risvegliar­e una città che fu grande, che è tuttora gigantesca e meraviglio­sa e non riesce più a riconoscer­si, sfinita dalla fuga delle aziende, dai rifiuti dispersi, dal crollo delle scale mobili, dal disincanto e dal risentimen­to. Friedkin ha annusato tutto questo e ha iperpagato la Roma, convinto di acquistare molto più di una squadra. Roma, la città, ha annusato Friedkin e in lui ha riconosciu­to una speranza. Sembra una favola, forse è un progetto.

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