«IL 2020 SARÀ DECISIVO PER IL FUTURO DELLA C»
Il bilancio di un 2019 sofferto ma che fa intravedere luci da alimentare con le riforme e l’aiuto delle istituzioni
«Ci siamo fermati il 22 dicembre per lanciare un segnale Chiediamo di avere la possibilità di puntare su crescita e formazione»
«La nostra sfida è la sostenibilità Al calcio noi diamo assai più di quanto ci viene restituito Da noi nessuno fa i soldi, anzi...»
«Prossime mosse? Deciderò insieme ai miei presidenti gente che alimenta spesso il sistema mettendosi la mano in tasca per pagare»
Francesco Ghirelli, presidente di Lega Pro, parla delle battaglie fatte e di quelle da fare: «Sciopero? Siamo adirati ma vogliamo costruire»
All’alba del 2019 lo scenario dava l’idea di un magma infernale. Un paio di squadre dissolte, altre sull’orlo del baratro. Solo due certezze: la cocciutaggine di Francesco Girelli, allora da poco più di un mese presidente di Lega Pro, e un asse con Gabriele Gravina, numero uno federale ma con il cuore scolpito nella Serie C. Dodici mesi più tardi, Ghirelli ha chiuso l’anno con uno sciopero: «Il primo “di categoria” del calcio italiano. Non è poco».
Passerà per un barricadero.
«Mi è dispiaciuto ritardare per 15’ l’inizio delle partite del 15 dicembre e rinviare la giornata di campionato prima di Natale. È come aver interrotto un’emozione. Ma eravani e tuttora siamo arrabbiati. Siamo convinti di aver riconquistato credibilità, oggi è un altro mondo rispetto al capodanno 2019. Le iscrizioni al campionato si ottengono con norme chiare e stringenti, dopo due bimestri in cui non vengono pagati i tesserati o dopo due partite non giocate si va fuori dal campionato. Blacklist per tenere i banditi fuori dai club. Verifiche di onorabilità e di sostenibilità economica su chi acquisisce quote di società in C, 40 stadi sistemati, raddoppiati gli abbonati dei club, triplicati gli abbonamenti al canale tematico streaming. Poi il nuovo regolamento che dà risorse a chi fa giocare giovani calciatori, di più se sono di proprietà e cresciuti nel proprio settore giovanile. Ridotto il numero di prestiti e delle valorizzazioni, è stato istituito il corso per responsabili delle settore giovanile a Coverciano, grazie ad Albertini. Siamo parte del mondo sotterraneo che regge questa Italia “che soffre”, siamo parte del tessuto sociale».
E scioperate.
«Il rinvio della giornata ci ha fatto conoscere. I presidenti sono quelli che mettono dalla propria tasca mediamente dai 2 ai 4 milioni di euro ogni campionato. Ora speriamo che si passi agli atti di governo, come la restituzione del credito di imposta».
La defiscalizzazione... «Chiediamo da tanto tempo che ci vengano restituiti fino a un massimo di 240.000 euro di credito di imposta per ogni club. Per fare cosa? Per investire tale credito in centri sportivi e formazione di giovani calciatori. È evidente che i presidenti dovrebbero coinvestire. Si darebbe lavoro, e alla fine tornerebbe allo Stato molto di più di quanto erogato all’inizio della operazione. Sono pochi denari ma sarebbero un segnale, capiremmo che il governo vuol contribuire a difendere il calcio dei Comuni d’Italia e dei valori».
Non c’è solo questa battaglia in corso.
«Non è facile ma andremo avanti con ancor più decisione. Al presidente Gravina è stato detto che abbiamo ragione ma ci vuole tempo. Dobbiamo ragionare, come sistema calcio, su altri temi più strutturali: l’1 % sull’ammontare degli introiti rivenienti dalle scommesse sportive; il ripristino e la gestione del totocalcio, il semiprofessionismo. Siamo dirigenti dotati di responsabilità. Il problema è che non c’è molto tempo: nel 2020 dobbiamo sapere se saremo economicamente sostenibili, se questa esperienza calcistica italiana situata nella faglia tra professionismo e sociale, tra azienda e presidio territoriale ha un futuro».
La vicenda Catania è un campanello di allarme.
«E’ l’evidenziatore di una situazione. Facendo saltare la giornata del 22 dicembre abbiamo voluto dare un segnale netto: occorrono atti concreti per costruire un processo che consenta di arrivare alla sostenibilità dei club di Serie C. Noi dobbiamo fare ancora di più, ridurre i costi, vedere se occorre rafforzare le regole. Questa vicenda ci deve servire come lezione, non c’è più tempo».
Che farete?
«Discuterò con i componenti del direttivo e con i presidenti. Andremo nelle regioni italiane, partendo dall’Emilia Romagna e dalla Calabria, convocheremo i club, chiameremo i sindaci, chiederemo un aiuto ai tifosi, parleremo al volontariato e all’associazionismo, inviteremo gli imprenditori dell’industria e dell’agricoltura, vorremmo che venissero i ragazzi e le ragazze».
Legge Melandri e riforma dei campionati stanno a cuore del pianeta C.
«La riforma della legge Melandri con una ripartizione diversa tra le leghe professionistiche non è rinviabile. Che ci sia bisogno di fare un salto di qualità in chiarezza sulla riforma dei campionati italiani è bene dirlo in modo secco».
Che fotografia scatta della Lega Pro oggi?
«60 squadre. Dieci-dodici, per blasone, tradizioni e bacino di utenza, ci usano in senso buono come transito per andare in serie A. Poi ci sono i club, tantissimi, della forte provincia italiana che debbono pensare a patrimonializzare in primis facendo crescere giovani calciatori e anche giovani calciatrici».
Puòcitareduetraguardiraggiunti? «Il museo su Artemio Franchi, il più grande dirigente del calcio italiano. Poi noi siamo condannati ad innovare e dobbiamo farlo prima degli altri. E ci imitano. Prendete le cinque sostituzioni, ora la serie A attraverso il presidente Gravina ha chiesto alla Fifa di poterle fare».
C’è il sogno coltivabile?
«Veda lei, io sogno una serie C normale, capace di avere regole severe ma chiare; avere i club sostenibili, gli tadi accoglienti e di proprietà».