PEZZELLA GIURA «SARÀ RINASCITA FIORENTINA»
«Avere i tifosi dalla nostra parte è la chiave per reagire. La gioventù non è un alibi: ora serve lottare da squadra come ci chiede Iachini»
Rinascita viola. Era già successo, tanto tempo fa. I leader del tifo e Davide Astori, un patto per uscire dalla palude. Ci riuscirono. Insieme. E’ successo di nuovo, ancora i tifosi, ancora il capitano della Fiorentina, ora German Pezzella, e la squadra. Il primo gennaio scorso, prima di andare all’allenamento a porte aperte. Il nuovo patto e una nuova fascia da capitano. I tifosi hanno dato il benvenuto a Iachini e hanno spiegato a Pezzella e alla squadra perché un uomo come il nuovo allenatore, pur non avendo vinto niente da giocatore viola, era tanto rispettato: perché aveva sempre messo l’anima in campo, correndo dappertutto, lottando come un leone. E vedendosi riconosciuto, per questo motivo, rispetto perenne, a distanza di anni e di pellegrinaggi lontani da Firenze, prima da giocatore poi da allenatore. Ai giocatori, i tifosi hanno chiesto lo stesso atteggiamento, senza alibi da accampare. Una storia di valori da rispettare. Allora il patto era venuto dopo una sconfitta (Verona) e proprio prima della trasferta a Bologna (vittoria). Astori mise la fascia, fu battaglia e la Fiorentina vinse. Ma al di là dei ricorsi, è il grande valore dell’accordo tifosi-squadra che conta, adesso come in passato. Il patto della rinascita viola. Abbiamo incontrato Pezzella in esclusiva e ci siamo fatti raccontare quel che è successo e quello che potrebbe succedere. Faccia a faccia con il capitano della Fiorentina, il confronto con un uomo che non ha mai cercato alibi o scorciatoie. E il racconto è limpido, a tratti quasi doloroso e proprio per questo vero. Ricomincia così la storia della nuova Fiorentina. Da un atto di fede.
German Pezzella, che effetto le ha fatto l’incontro coi tifosi dell’altro giorno?
«E’ stato un momento molto positivo, perché in momenti tanto delicati c’è bisogno dell’apporto di tutti. Se la gente è dalla nostra parte, passatemi il termine, per tutti noi che scendiamo in campo è “più facile” lottare. E’ stato un modo ulteriore, il loro, per metterci di fronte alle responsabilità che noi giocatori abbiamo. A volte quando tutto ti rema contro è più difficile reagire, ma questo calore che abbiamo respirato, anche nel primo allenamento dell’anno a porte aperte ha lasciato il segno».
Attaccamento alla maglia, “garra”, voglia di buttare le difficoltà alle spalle: Firenze chiede questo.
«Che è poi quello che anche io, come tifoso della mia squadra, voglio sempre. Vedere un gruppo che dà tutto, che non risparmia mai un grammo di energia, magari che si arrabbia pure, sempre con intelligenza, però».
Qualcosa è successo per forza: è incredibile pensare che da novembre siano arrivati appena due punti.
«A volte, quando tutto ti va contro, quando ogni cosa che succede è uno schiaffo continuo, diventa difficile anche trovare la chiave per contrattaccare. Che poi è esattamente quello che è successo alla Fiorentina in questa parte di stagione».
Nel mezzo, oltre alle continue sconfitte, è arrivato anche il cambio in panchina: da Montella a Iachini.
«E specie quando si cambia in corsa, si deve essere lesti a capire subito cosa chiede il nuovo tecnico, perché nessuno è uguale al predecessore. Ci sono stati tanti fattori che hanno influenzato questa primi mesi della stagione. Fino alla seconda giornata, la squadra non era al completo: venivamo da un cambio di proprietà e per queste cose serve tempo, anche se nel calcio non ce n’è mai abbastanza. Poi siamo riusciti a trovare un certo equilibrio in campo, quando siamo riusciti a mettere insieme sei risultati utili consecutivi, di cui tre vittorie (contro Sampdoria, Milan e Udinese, ndr). C’erano le prestazioni, con una squadra per lo più abituata a proporsi attraverso un modulo. Abbiamo perso con la Lazio, ma subito dopo vinto a Reggio Emilia col Sassuolo e pareggiato col Parma. Dopo di che, poi, la discesa si è fatta ripidissima. Il nostro unico pensiero, ogni partita, è sempre stato lo stesso: risaliamo subito. Ed è stato in quei momenti che ci siamo resi conto che invece c’era sempre qualcosa dietro l’angolo pronto a creare nuove difficoltà».
«L’incontro avuto con la nostra gente è stato assai utile. Siamo stati messi davanti alle responsabilità che ci spettano»
«Abbiamo perso l’equilibrio, anche se sono tantissime le cose che sono andate storte. Col cambio di allenatore niente incertezze»
Il primo ko è stato quello di Cagliari, pesantissimo per altro. «Abbiamo perso male, molto male, con un approccio non giusto da parte nostra. Il problema è che poi gli schiaffi si sono moltiplicati, uno dietro l’altro, complicatissimi da evitare e respingere. Chiesa che si è trovato frenato da fastidi fisici, Badelj costretto a stringere i denti per scendere in campo la domenica dopo aver sofferto di problemi durante la settimana, io che a Verona finisco fuori causa dopo due minuti di gioco. Ribery che, dopo essere rientrato dalla squalifica, col Lecce si infortuna e perdiamo pure lui. Onestamente non è stato semplice, ma da tutto questo chiunque di noi ha imparato».
Che cosa?
«Che essere giovani non è un alibi per nessuno, che è giusto che i “vecchi” si prendano le responsabilità, ma che a fare la differenza sono i dettagli, quindi anche chi si trova a dover sostituire l’assente deve dare il massimo. Il segnale di ripartenza lo vedo ora in tutti i miei compagni, non solo in me, Boateng, Ribery o Chiesa. C’è in Terzic e pure in Zurkowski. Ciascuno sa bene il significato della parola “rispetto”, che non significa non fare casino, ma correre anche per chi non può. Chiesa è rimasto a lavorare a Firenze durante la sosta natalizia del campionato per farsi trovare pronto: lo ha fatto per tutti noi, esattamente come lo ha fatto Benassi che si era fermato prima della gara contro la Roma. E che dire di Ribery? E’ qui ogni giorno, lo vediamo arrivare in stampelle. Per questo dobbiamo correre al 300%, perché la stessa responsabilità che ci mette Franck è la nostra. Sono questi i particolari che ti segnano e ti fanno ben sperare e noi abbiamo imparato a riconoscerli».
Qual è la prima impressione ricevuta da Beppe Iachini? «Quel senso di cattiveria sportiva che fin da subito, dal primo colloquio telefonico che ho avuto con lui, non appena è stato formalizzato l’ingaggio, ha manifestato e trasmesso. Ho capito subito che cosa volesse e siamo pronti ad accontentarlo, a rinascere nel segno della
«Il Bologna è forte La vicenda Sinisa gli ha dato carica e compattezza A noi accadde con Astori, che non dimentico»
sua impronta. Quando si cambia in corsa, non c’è tempo da perdere: bisogna trovare subito la quadratura del cerchio ed è su questo che stiamo lavorando, con attenzione e impegno».
Qualcuno, dopo la gomitata che l’ha messa ko a Verona, ha “punzecchiato”
la Fiorentina, accusandola di essere troppo….buona: si sarebbe dovuto protestare di più di fronte all’intervento di Di Carmine sul suo zigomo. «Onestamente, era difficile che i miei compagni, dopo appena due minuti, forse anche meno, potessero rendersi conto di quanto accaduto. Intanto perché i sanitari mi hanno coperto subito il volto, e poi pure perché eravamo concentratissimi nel cercare di uscire dal tunnel. La squadra è rimasta piuttosto sotto choc. E’ vero, esiste una linea sottile, che divide rabbia e cattiveria agonistica, e noi non siamo arrivati a rasentarla; ma se qualcuno di noi avesse perso la testa, magari rimediando un rosso, avremmo finito con il restarne travolti comunque».
Che avversario è il Bologna?
«Una squadra forte, che dalla passata stagione, con l’arrivo di Mihajlovic, ha dimostrato di cosa sia capace. Erano ultimi in campionato, non solo si sono salvati ma hanno mostrato una identità precisa, per altro con una formazione che è, più o meno, è sempre la stessa. Si conoscono bene, ma noi siamo pronti».
Crede che la simbiosi che si è venuta creando tra il tecnico e la squadra, durante la malattia, sia un valore aggiunto? «Credo che oggi possano raccontarsi tutti di aver superato questo momento terribile insieme, la loro è stata una presa di coscienza collettiva reciproca. Forte. Queste sono le cose che ti fanno capire cosa sia davvero la vita: ecco perché, se c’è da tuffarsi su un pallone, non puoi tirarti indietro mai, così come non puoi innervosirti di fronte ad uno scarpino magari non sistemato a dovere. Ci sono momenti che ti segnano, a volte in maniera indelebile. A noi è successo con Davide Astori, che ciascuno si porterà dietro a prescindere da dove andrà a giocare. Per Mihajlovic il calcio è vita».
A proposito di serbi, Vlahovic nel momento di maggiore difficoltà della squadra è come rinato. Erano maturi i tempi o si è sorpreso anche lei? «Vlahovic adesso deve stare attento a non finire nel vortice delle attenzioni. Ha segnato molto, giocando poco e sfruttando ogni occasione possibile. Ha fatto un gol, quello contro l’Inter, meraviglioso, soprattutto per quella corsa da centravanti vero, ma io non ho dimenticato le critiche che gli ho sentito cucite addosso dopo le due palle gol non andate a buon fine a Lecce, o anche dopo la sfida di Torino. Non ha ancora 20 anni, un potenziale sconfinato, e proprio per questo deve restare concentrato, per provare a trovare la maggiore continuità possibile. Vale per lui e per tutti gli altri che si stanno affacciando alla Serie A per la prima volta o quasi: siamo giovani, è vero, ripeto, questo non è un alibi. Siamo una squadra, questo è quello che conta».
E con Firenze al proprio fianco, la miscela può davvero diventare esplosiva. Nel segno del combattente Beppe Iachini.
«Vlahovic non ha 20 anni, possiede un potenziale che è enorme ma non deve distrarsi Vale per lui e per ognuno di noi»