Corriere dello Sport

CASSANI NON SMETTE DI SOGNARE

Oggi compie sei anni da c.t. E con i Giochi in vista sente che il meglio deve arrivare «Ho bisogno di Nibali ancora per due anni, Moscon è da Olimpiade e ho quella che Martini chiamava “la Squadra”, con la maiuscola»

- di Alessandra Giardini

È un rullo compressor­e ma dentro ha un cuore romantico. Vive di passioni e va sempre di corsa, spinto da una curiosità inesausta e da una scintilla che gli si è accesa dentro più di cinquant’anni fa. Davide Cassani ha bisogno di poco per stare bene: otto ore di sonno ogni notte e almeno un’ora di sport al giorno. Il giorno di Capodanno ha compiuto 59 anni, è pericolosa­mente vicino a un traguardo importante e non se n’è ancora reso conto. «Quando correvo quelli di quarant’anni mi sembravano vecchi, io non ci posso credere di averne 59, mi sembra impossibil­e, ma come, sono ancora qui che sogno». Come quando il suo babbo, Vittorio, lo portò a vedere il Mondiale di Imola: svegliò i suoi bambini che era ancora buio per andare a prendere posto sui Tre Monti. «Volevo vedere Gimondi, il mio eroe e alla fine lo vidi. Quel giorno di settembre decisi che avrei fatto il corridore».

Era nato sotto il segno del Capricorno. «Come mio padre e mio nonno, Mario Cassani. Abbiamo la testa dura, è una qualità che serve, soprattutt­o per i mestieri che ho fatto io. Io l’ho capito da bambino, nel ciclismo impari subito che non devi mollare mai, è uno dei vantaggi degli sport di fatica. Sai che devi tenere duro, e hai un confronto immediato, feroce: se uno ti stacca vuol dire che tu vai più piano, non ci sono scuse». Riavvolgen­do il nastro, non riesce a trovare neanche una volta in cui ha mollato prima del tempo. «Gianluca Giardini, che correva con me, mi aveva dato il soprannome giusto, mi chiamava il tenace. Quello sono io».

SAX E PALLONE. A 59 anni Cassani è ancora lì che sogna, vive di progetti, di traguardi da inseguire, di strade da scoprire. Altre le sa a memoria, e percorrerl­e vuol dire tornare a casa. «Sono nato a Faenza perché a Solarolo non c’è l’ospedale. La mia casa era in via Molinello 2, a San Mauro, in campagna. Ho abitato lì ventotto anni, la mia mamma era figlia di mezzadri, papà faceva il camionista. Ancora adesso casa è la Romagna, quando sono qui sono in pace col mondo, esco tutti i giorni in bici, sto bene. Il mio lavoro è ancora una passione, forse è per questo che non mi pesa aver fatto anche l’anno che è appena passato centomila chilometri in macchina e aver dormito otto mesi in albergo, lontano da casa. In bici sono arrivato a 11.200 chilometri proprio l’ultimo dell’anno, ho fatto il Passo della Colla e poi sono tornato a Faenza».

Cassani è convinto che nella vita ci siano due giorni che contano più degli altri. «Il primo è il giorno che nasci, l’altro è quello in cui capisci il perché». Lui questa cosa della bici ce l’ebbe chiara a 7 anni, quel sabato in cui si mise sui Tre Monti ad aspettare il Mondiale. Quel giorno era andato lì per Gimondi e invece vinse Adorni. E Davide capì perché era venuto al mondo. «Per la prima bici però dovetti aspettare ancora, mio padre quando diceva una cosa era quella. Mi disse che non mi avrebbe mai pagato il motorino, e così fece. Per la bicicletta disse che avrei dovuto aspettare di avere 14 anni, e così fu».

Intanto Davide faceva molto altro, oltre a sognare. Giocava a pallone. «Attaccante, ero bravino, facevo tanti gol nel Solarolo. Smisi quando arrivò finalmente la bicicletta. Ma la passione per il calcio ce l’ho ancora. Sono tifoso del Bologna, come mio padre. Tifoso vero, sono andato fino a Lecce a vedere l’ultima partita, mi sono proprio divertito. No, Mihajlovic non ho il piacere di conoscerlo. Io non sono nato negli anni giusti, ero troppo piccolo per godermi l’ultimo scudetto, quando ho cominciato ad andare allo stadio il ritornello era: Son finiti i tempi belli di Pascutti e Bulgarelli. L’amore per il calcio l’ho passato anche a mio figlio: Stefano allena gli Under 16 del

Ravenna. Rebecca invece lavora nella moda, per Pucci. Nel rapporto con loro assomiglio molto a mio padre: ho sempre avuto il massimo rispetto per le loro scelte. E faccio come faceva lui, che per sapere come stavo andava da mia madre: chiedi a Davide come sta. Io, anche se siamo separati, chiamo la mia ex moglie per sapere come stanno i bambini».

I bambini viaggiano intorno ai trent’anni, ma anche loro per Cassani non crescono mai. «Nonno? No, non sono per niente pronto. Che fretta c’è». Ma torniamo al bambino Davide Cassani. A Solarolo giocava in attacco e suonava nella banda del paese. «Il sassofono me l’aveva comprato mio padre a Bologna spendendo 240.000 lire, me lo ricordo ancora. Dopo le medie volevo andare al conservato­rio ma mia madre non ne volle sapere di mandarmi a studiare a Bologna così piccolo, e allora andai a Faenza, a fare ragioneria». Intanto era arrivata la prima bicicletta, e il mondo era cambiato per sempre.

«Moscon è il futuro Ciccone fa passi avanti, Viviani è una certezza Trentin dimentichi gli ultimi 100 metri del suo Mondiale»

«Ero bambino e vedendo passare Gimondi nel 1968 capii che avrei fatto il corridore Oggi a 59 anni sogno ancora»

«La Romagna è casa mia e qui sono in pace con il mondo Esco in bici e nel 2018 ho coperto 11.200 chilometri Così sono felice»

CANTANTI E CATTEDRALI. Il giorno della prima vittoria Davide Cassani ha sedici anni, la corsa è la Bologna-Monghidoro. «Vinsi a casa di Gianni Morandi, che poi ho conosciuto, è tifoso del Bologna come me. E sette giorni dopo vinsi la seconda corsa a casa di Vasco, la Vignola-Zocca, un legame con la musica c’era sempre». L’altro è Laura Pausini, cresciuta a poche centinaia di metri da casa Cassani. «Non sono di quelli che tenevano la bici in camera da letto, sempliceme­nte perché in campagna lo spazio non mancava: la bicicletta la tenevo in quella che chiamavamo cameraccia, dove c’erano il vino e l’olio. E un freddo che mi torna in mente tutte le mattine che esco in bici e mi dimentico i guanti. Sono ancora quel ragazzino che la domenica mattina puliva le sedici ruote del camion del suo babbo. Mi congelavo».

Davide passa profession­ista nel 1982, anno di vittorie mondiali: quella dell’Italia del calcio in Spagna, e quella di Beppe Saronni a Goodwood. «Il mio sogno era diventare un profession­ista. Quando Reverberi telefonò a casa, rispose mia madre, io credevo che fosse uno scherzo. Poi il mio sogno è diventato la maglia azzurra. L’anno prima ero stato convocato nell’Italia B al Giro

delle Regioni e mi avevano dato una maglia azzurra con le spalline bianche. C’ero quasi».

In azzurro fu convocato nove volte, da uomo squadra prezioso che sapeva vincere corse di prestigio, finché nel febbraio di quattordic­i anni dopo una macchina lo investì mettendo fine alla prima vita, quella di corridore. Un mese più tardi cominciava già la seconda: commentato­re tecnico per la Rai al fianco di Adriano De Zan. «Era il Giro di Sardegna, andò subito molto bene, io mi sentivo felice. Di fianco a De Zan sono diventato più colto, Adriano mi ha fatto capire che c’era sempre qualcosa da vedere quando andavamo a una corsa: un museo, un ponte, una cattedrale. Diventai ancora più curioso, volevo approfondi­re tutto. Lui mi diceva: devi sapere cento cose, anche se magari ne dirai solo dieci». Non ha mai smesso di fare fatica: passava le notti in bianco per costruirsi l’archivio, per ricopiare fogli e fogli di ordini d’arrivo. «Alle prime Olimpiadi, nel 2000 a Sydney, mi sembrava di essere un bambino a Disneyland: andavo a vedere tutte le gare che potevo, fu un’emozione incredibil­e».

POESIA E PAZIENZA. Più di quattordic­i anni da corridore, diciotto alla Rai. «Nella vita bisogna dedicare tempo a quello che si fa: si semina poi si raccoglie, spero di poterlo fare anche adesso, finora ho sempre lasciato io prima che mi cacciasser­o. So bene che gli anni da ct non saranno diciotto, ma quest’anno ho cominciato a vedere risultati che mi hanno soddisfatt­o, con la nazionale maggiore avevamo quattro eventi importanti, ne abbiamo vinti tre con Ballerini, Ulissi e Viviani e al Mondiale siamo arrivati secondi con Trentin. I risultati cominciano ad arrivare». Oggi sono sei anni da quando Cassani è diventato ct del ciclismo azzurro. «Firmai a casa di Martini. Il 4 gennaio è un giorno speciale, era il compleanno di mio padre: purtroppo però non ha avuto la gioia di vedermi ct. Non dovrei essere io a dire che cos’ho di Alfredo, ma credo di aver preso da lui il modo di vedere il ciclismo, la poesia che ci metteva, la passione, penso anche la sua pazienza e la lungimiran­za, nel senso che sono abituato a pensare all’obiettivo molti mesi prima».

Martini diceva che la bici è libertà. «Per me è vita. Libertà, amicizia, passione, mi ha dato la possibilit­à di realizzare i miei sogni». Da un anno e mezzo Cassani è presidente dell’Azienda di promozione turistica dell’Emilia-Romagna. «Non ci vedo niente di male, anzi: turismo e sport vanno insieme, e lo testimonia quello che stiamo facendo con il Giro Under 23 e con una squadra regionale, spero che presto tutto questo si possa fare anche nel resto dell’Italia. Non c’è nessun conflitto di interessi. E’ qualcosa che mi arricchisc­e, che mi dà tanto, invece di andare in vacanza io lavoro, e allora?».

Questo sarà un anno ancora più importante: agli appuntamen­ti tradiziona­li si aggiunge l’Olimpiade. Il percorso di Tokyo e quello del Mondiale svizzero sono per scalatori, e noi siamo sempre appesi a Nibali. «Sicurament­e Vincenzo è molto importante, e io ho bisogno di almeno un altro paio di anni di Nibali. Però mi auguro di avere anche qualche altra carta. Sono convinto che Moscon possa un giorno vincere un Mondiale e perché no un’Olimpiade, ci sono ragazzi che stanno crescendo. C’è Formolo. C’è Ciccone che sta facendo una carriera più o meno come la mia: è partito con Reverberi, poi è andato in una grande squadra, quest’anno ha fatto un bel salto, è stato fin troppo generoso. Con uno come Nibali a fianco può diventare davvero forte. Trentin si riprenderà, deve prendere il lato positivo, dimenticar­e che poteva vincere il Mondiale e ricordarsi soltanto che fino a cento metri dal traguardo era lì per giocarselo, se ci riesce può vincere una grande classica, una Sanremo o un Fiandre. Viviani è Viviani, una garanzia, la cosa che mi fa piacere è che sono riuscito a creare delle formazioni in cui tutti danno il massimo, c’è voglia di nazionale, c’è quella che Martini chiamava la Squadra, con la maiuscola». Dicono che quando si smette di imparare vuol dire che si è diventati vecchi. «Io allora sono giovane. Mi piace studiare, capire, ascoltare gli altri. Sono sempre un analfabeta».

«La bici per me è vita, libertà, amicizia, passione Invece di andare in vacanza lavoro per l’Azienda del Turismo: e allora?»

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 ?? LAPRESSE ?? Il c.t. Cassani assieme a Gianni Moscon, 25 anni
LAPRESSE Il c.t. Cassani assieme a Gianni Moscon, 25 anni
 ?? LAPRESSE ?? Cassani con Vincenzo Nibali, 35 anni, durante l’ultimo Giro d’Italia
LAPRESSE Cassani con Vincenzo Nibali, 35 anni, durante l’ultimo Giro d’Italia
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In alto: Cassani in una foto nel 2014 sul circuito del Mondiale di Ponferrada (Spagna), il primo affrontato nel ruolo di commissari­o tecnico. L’Italia chiuse quell’edizione con un argento e un bronzo
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A fianco: un giovanissi­mo Davide legge Stadio a Imola, nell’attesa del passaggio di una corsa

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