Quale criterio? Nessun criterio
Ho ancora negli occhi l’espressione tra lo stupito e il compiaciuto di Jurgen Klopp al gol con cui domenica Curtis Jones ha deciso il derby di FA Cup. Ho invidiato i tifosi del Liverpool: freschi di titolo mondiale, si stavano godendo anche la prodezza di un diciottenne pieno di talento e futuro. Da mesi - coltivando un amore cinquantennale per il calcio inglese - seguo con un gusto infinito Foden (20) del City, Mount (21), Hudson-Odoi (20) e Abraham (22) del Chelsea, Calvert-Lewin (22) e Holgate (23) dell’Everton, Garner (18) e James (19) dello United, Rice (21) del West Ham. E non vedo l’ora di rivedere Brewster (19) e Neco Williams.
Proprio mentre ammiravo Jones, il Milan si restituiva un vecchio fusto che del talento del Liverpool potrebbe essere il padre, avendo il doppio dei suoi anni: Ibra.
Ho ancora negli occhi l’espressione tra lo stupito e il compiaciuto di Jurgen Klopp al gol con cui domenica Curtis Jones ha deciso il derby di FA Cup. Ho invidiato i tifosi del Liverpool: freschi di titolo mondiale, si stavano godendo anche la prodezza di un diciottenne pieno di talento e futuro. Da mesi - coltivando un amore cinquantennale per il calcio inglese - seguo con un gusto infinito Foden (20) del City, Mount (21), Hudson-Odoi (20) e Abraham (22) del Chelsea, Calvert-Lewin (22) e Holgate (23) dell’Everton, Garner (18) e James (19) dello United, Rice (21) del West Ham. E non vedo l’ora di rivedere Brewster (19) e Neco Williams (18).
Proprio mentre ammiravo Jones, il Milan si restituiva un vecchio fusto che del talento del Liverpool potrebbe essere il padre, avendo il doppio dei suoi anni: Ibra.
Ero tra quelli che non approvavano l’operazione condotta in prima persona da Boban per restituire un senso ai prossimi cinque mesi di un club peraltro nelle mani di un fondo americano. Ma quando Zlatan è entrato in campo riempiendolo immediatamente di sé mi sono arreso alla superiorità, alla differenza, al carisma: ho avvertito la stessa sensazione che provai nel vedere Ribery conquistare San Siro con la maglia della Fiorentina.
Dove voglio arrivare? Alla conclusione più semplice, grave, onesta: noi italiani non possiamo permetterci una linea retta, un progetto a lunga scadenza. Il nostro calcio è a tutti gli effetti lo specchio di un Paese incapace di fare sistema, abituato ad affrontare in un modo o nell’altro, quasi sempre attraverso aggiustamenti, disarmonie e salti di registro, vuoti, emergenze, crisi di risultati e di consenso. Una sola cosa conta da noi e per noi: salvare le chiappe.
Siamo così, e dobbiamo misurarci con la nostra realtà, la nostra natura di individualisti. Abbiamo trovato una Nazionale di giovani soltanto perché arrivavamo da un’assenza disperante agli ultimi Mondiali e ci siamo affidati a Mancini, un tecnico controcorrente portato a fare scelte talvolta estreme e molto personali. Uno che chiama Zaniolo quando non gioca nel club oppure Kean titolare di un posto in panchina.
Noi siamo quelli che un giorno criticano l’acquisto del trentaseienne Ribery e poche settimane dopo ne celebrano le gesta, specialisti a imbarazzo zero del salto sul carro. Quelli che, volutamente assurdi (l’assurdo non è più percepito come tale) e allegramente incoerenti, non capiscono perché l’Inter vada sul trentacinquenne Ashley Young ma temono che possa rivelarsi una mossa vincente. O che accusano Juve e Milan di aver spedito due giovanotti di belle speranze in Premier (Kean e Cutrone) e dopo pochi mesi si mostrano freddi di fronte all’eventualità che i due possano rientrare.
Ogni volta che qualcuno pone interrogativi e dubbi sul comportamento di un club italiano mi torna in mente un episodio raccontatomi da Italo Cucci: Anni 60, il presidente dell’Ancona telefona alla redazione di Stadio, per sua sfortuna gli risponde Lamberto Albertazzi, “libero docente all’Università del calcio di Saragozza”. «Mi scusi» attacca il dirigente «avete visto il mio centravanti che partita ha fatto? Eppure gli avete dato un voto basso. Può spiegarmi con quale criterio assegnate i voti in pagella?».
Secca la risposta: «Nessun criterio».
PS. Ne approfitto per sottolineare le mancanze di una federazione che da sempre non si assume la responsabilità del fallimento della nostra scuola calcistica e che oggi non si sente investita del compito di affrontarne la ricostruzione. Noi non abbiamo i giovani che ho segnalato e i pochi discreti vengono rovinati dalla pessima gestione di club, agenti, famiglie e media adoranti.