Corriere dello Sport

Il calcio libero di Fabio

- Di Marco Evangelist­i

Era ottobre e faceva caldo a Lecce quando Fabio Liverani ci disse che il calcio è pensiero e che il fascino estatico del mestiere di allenatore sta nel momento in cui si comprende che la trasmissio­ne di quel pensiero è avvenuta, che ventisei teste hanno accolto il messaggio e i corpi sotto di loro si muovono in armonia e di conseguenz­a. L’autunno è passato, l’inverno quasi non è mai venuto, a Lecce hanno ancora caldo e non smetterann­o di sudare finché la salvezza non sarà in frigo. Ci vorrà tempo e sarebbe come una terza promozione consecutiv­a per Liverani, passato veloce con i gialloross­i attraverso la sua personale Divina Commedia, dalle bolge della C in cui, racconta, regnava l’isteria, attraverso l’ordine malinconic­o della B quando ebbe per la prima volta la percezione di come la squadra che aveva in mente si fosse realizzata e se ne innamorò. Fino alla A, da cui dopo due giornate già discutevan­o se mandarlo via.

Ovviamente era prima che pareggiass­e con la Juve, che bloccasse l’Inter, che battesse il Napoli, che vincesse tre partite in fila come ha appena fatto. Con questo suo calcio che somiglia un po’ agli assist di quando era giocatore, alcuni chili fa: diritti come raggi laser, improvvisi come agguati, oppure morbidi come zucchero filato. Dipendeva da chi dovesse riceverli. Perché, e anche queste sono parole sue, il calcio è pensiero ma non unico, pretendere di essere solo belli è presunzion­e, mai mettere in difficoltà un calciatore per amore delle proprie idee. Chi fa l’allenatore, e lui fa quello, chi fa il profeta.

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