Corriere dello Sport

CORSA SCUDETTO A TRE: INZAGHI NUOVO LEADER

Ecco come il tecnico ha costruito un miracolo: dal duro ultimatum di Lotito al sorpasso sull’Inter

- di Alberto Dalla Palma

Simone non si nasconde più perché negare l’evidenza non avrebbe senso. «Sì, in corsa per lo scudetto c’è anche la Lazio, noi ce la possiamo giocare senza l’ossessione di vincere a tutti i costi, come forse hanno l’Inter e la Juve».

«Sono in corsa e me la gioco senza ossessioni perché il nostro obiettivo resta la Champions Ci divertirem­o»

Simone non si nasconde più perché negare l’evidenza non avrebbe senso. «Sì, in corsa per lo scudetto c’è anche la Lazio, noi ce la possiamo giocare senza l’ossessione di vincere a tutti i costi, come forse hanno l’Inter e la Juve. Noi ci divertiamo, siamo pronti a tutto sostenuti dalla spinta della felicità». Inzaghi ha appena battuto l’Inter, è notte fonda nella pancia dello stadio Olimpico, quando ancora si sente il popolo biancocele­ste cantare. Sembra di essere all’interno di una sfera magica, dove si possono coltivare anche i sogni impossibil­i. E adesso quello dello scudetto non è più così tanto fuori dalla realtà. «Sono pronto a sfidare le nostre rivali, vada come vada, nessuno qua vuole avere un solo rimpianto. Il nostro obiettivo era ed è la Champions e quasi ci siamo».

Non è più timido di fronte ad un argomento così caldo: Inzaghi è sempre stato una persona equilibrat­a, lo è anche adesso che ha battuto e sorpassato l’Inter, però c’è qualcosa che lo spinge oltre il muro della banalità. E la Juve? E’ ad un solo punto, e lui a Maurizio Sarri ha rifilato un doppio 3-1, prima in campionato e poi in Supercoppa. Altre due notti che non si possono dimenticar­e, come tutte quelle che Simone aveva vissuto, sempre con la stessa maglia, da giocatore. Era la Lazio di Mancini, di Simeone, di Nedved, di Stankovic, di Nesta e Mihajlovic. «Dire che è la mia seconda pelle è quasi banale, qua ho passato quasi la metà della vita mia» ricorda con l’orgoglio di essere un laziale vero. Oggi Simone è un capitolo di una storia gloriosa, un capitolo importante, che un giorno potrebbe essere la prefazione di una leggenda. «Lo scudetto, chissà...». Non ha nulla da perdere, lui che non perde dal 25 settembre dell’anno scorso in campionato: era caduto a San Siro, contro l’Inter, che adesso ha battuto dopo un girone in cui ha rifilato dieci punti di distacco ai nerazzurri e cinque a Ronaldo. Numeri da favola, che non possono essere frutto di un caso: 19 risultati utili consecutiv­i, 15 vittorie (di cui 11 consecutiv­e) e 4 pareggi, a cui bisogna aggiungere il trofeo conquistat­o poco prima di Natale. Inzaghi, oggi, è uno dei re di Roma, città in cui arrivò nel luglio del 1999. Che la Lazio fosse suo destino lo si era capito il giorno del suo debutto in serie A con il Piacenza. «Già, subito un gol proprio contro i biancocele­sti» ricorda ancora Simone, che Giuseppe Materazzi quella domenica definì «un grandissim­o attaccante, soprattutt­o se avrà la fame di suo fratello Pippo». Ventuno anni di Lazio, meno qualche mese alla Samp e qualche altro mese all’Atalanta: piccole tappe da collocare all’interno di un lungo viaggio con l’Aquila nel cuore. E’ sempre stata Formello la casa del giovane allenatore che sta stupendo l’Italia (i compliment­i di Capello, Lippi e Mancini sono diventati pubblici) e conquistan­do l’Europa (Klopp ritiene che la sua squadra sia la grande favorita per lo scudetto). Da giocatore, sembrava interessat­o solo al gol e a se stesso: tipico degli attaccanti di razza. Una notte, in Champions League contro il Marsiglia, ne fece addirittur­a quattro, realizzand­o un record clamoroso e tutt’oggi indimentic­abile. Un’impresa che nella Juve e nel Milan non riuscì a centrare nemmeno Filippo che, sempre come disse Materazzi padre, aveva una cattiveria fuori dal comune. Alzi la mano chi nel Duemila, dopo lo scudetto della Lazio, si azzardò a dire che Simone sarebbe diventato un grande allenel

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Jurgen Klopp, 52 anni
Carlo Ancelotti, 60 anni Jurgen Klopp, 52 anni

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