Il motore della speranza
Ogni volta che il calcio si ferma e poi riparte, assume un significato aggiunto. Esce da sé, si trasforma in altro. Non è più soltanto una semplice attività reduce da un’interruzione, diventa il simbolo di un tentativo di ripresa e il motore di una speranza. Questa sua funzione quasi sopravanza il resto. Ci sono stati passaggi nella vita di una città o di un Paese in cui una partita di pallone o un intero campionato hanno saputo svolgere un ruolo più ampio. Non c’entra il famoso oppio dei popoli. Qui nessuno vuol far dimenticare qualcosa a qualcuno. Si tratta di tenere compagnia, di accarezzare, di confortare. Trieste ebbe una grande Triestina, con un suo valore morale e simbolico, nel dolore e nella confusione del dopoguerra. Firenze ebbe una grande Fiorentina nel lutto e nel trauma cittadino per l’alluvione e gli straripamenti dell’Arno. Napoli ebbe un grande Napoli nella stagione del terremoto del 1980. Che piaccia o meno, il calcio è il più banale e il più profondo riferimento di una comunità. Non cancella la memoria delle vittime come potrebbe - ma ha il potere di offrire una squadra in cui riconoscersi, un mondo condiviso, una passione comune, un’identità collettiva per provare a rialzarsi.
Se è vero che nel tempo i club di calcio si sono trasformati prima in soggetti da entertainment e poi addirittura in media company, in produttori di contenuti, diventando in questo modo vettori di comunicazione, in questa fase di smarrimento e di confusione del Paese dovranno giocare in modo maturo e a tutto campo il loro ruolo. Dovranno avere il tempo di riorganizzarsi e prendere le misure a questo tempo nuovo fatto di precauzioni e responsabilità, ma poi avranno un compito a suo modo stimolante da svolgere. Riempire un vuoto, contribuire a restituire animo, fiducia, fin dove è possibile un minimo di entusiasmo, nel rispetto di chi è in trincea in questa battaglia al posto nostro e di chi ne ha pagato un prezzo.
Esiste un’urgenza di unità nazionale che il campionato di calcio non può ignorare, ed è simbolico che questo passaggio incroci Juventus-Inter, la partita più avvelenata d’Italia dal 1961, ancor più da Calciopoli in avanti. È una prova immediata di maturità per i protagonisti, chiamati a vivere la loro rivalità senza che sia giusto chiedergli di cancellarla, ma nella consapevolezza che le priorità della nostra vita quotidiana, più che mai adesso, sono altre. Sia discreto, il calcio. Solo così potrà essere molto di più.