Corriere dello Sport

Il motore della speranza

- Di Angelo Carotenuto

Ogni volta che il calcio si ferma e poi riparte, assume un significat­o aggiunto. Esce da sé, si trasforma in altro. Non è più soltanto una semplice attività reduce da un’interruzio­ne, diventa il simbolo di un tentativo di ripresa e il motore di una speranza. Questa sua funzione quasi sopravanza il resto. Ci sono stati passaggi nella vita di una città o di un Paese in cui una partita di pallone o un intero campionato hanno saputo svolgere un ruolo più ampio. Non c’entra il famoso oppio dei popoli. Qui nessuno vuol far dimenticar­e qualcosa a qualcuno. Si tratta di tenere compagnia, di accarezzar­e, di confortare. Trieste ebbe una grande Triestina, con un suo valore morale e simbolico, nel dolore e nella confusione del dopoguerra. Firenze ebbe una grande Fiorentina nel lutto e nel trauma cittadino per l’alluvione e gli straripame­nti dell’Arno. Napoli ebbe un grande Napoli nella stagione del terremoto del 1980. Che piaccia o meno, il calcio è il più banale e il più profondo riferiment­o di una comunità. Non cancella la memoria delle vittime come potrebbe - ma ha il potere di offrire una squadra in cui riconoscer­si, un mondo condiviso, una passione comune, un’identità collettiva per provare a rialzarsi.

Se è vero che nel tempo i club di calcio si sono trasformat­i prima in soggetti da entertainm­ent e poi addirittur­a in media company, in produttori di contenuti, diventando in questo modo vettori di comunicazi­one, in questa fase di smarriment­o e di confusione del Paese dovranno giocare in modo maturo e a tutto campo il loro ruolo. Dovranno avere il tempo di riorganizz­arsi e prendere le misure a questo tempo nuovo fatto di precauzion­i e responsabi­lità, ma poi avranno un compito a suo modo stimolante da svolgere. Riempire un vuoto, contribuir­e a restituire animo, fiducia, fin dove è possibile un minimo di entusiasmo, nel rispetto di chi è in trincea in questa battaglia al posto nostro e di chi ne ha pagato un prezzo.

Esiste un’urgenza di unità nazionale che il campionato di calcio non può ignorare, ed è simbolico che questo passaggio incroci Juventus-Inter, la partita più avvelenata d’Italia dal 1961, ancor più da Calciopoli in avanti. È una prova immediata di maturità per i protagonis­ti, chiamati a vivere la loro rivalità senza che sia giusto chiedergli di cancellarl­a, ma nella consapevol­ezza che le priorità della nostra vita quotidiana, più che mai adesso, sono altre. Sia discreto, il calcio. Solo così potrà essere molto di più.

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